di Linda Kohanov
Quando, nel 1987, Steve Roach si recò per la prima volta in Australia, ben poche erano le persone che, al di fuori di quel paese, sapevano cosa fosse un didgeridoo: figuriamoci poi utilizzare questo antico strumento in un contesto musicale moderno. Nel corso degli anni, Roach ha lavorato incessantemente, e di solito dietro le quinte, per far conoscere la musica degli aborigeni australiani e il didgeridoo ad un pubblico più vasto, al tempo stesso mantenendo un sincero e rispettoso collegamento con le radici aborigene dello strumento.
A cavallo tra gli Anni 70 e 80 Roach si era già fatto un nome in qualità d’innovativo compositore di musica elettronica, ma fu la inusitata e arcana qualità organica delle sue trame sonore a far sì che il suo stile si distinguesse dagli altri lavori di musica elettronica del periodo. Roach aveva sempre considerato la natura come la propria principale fonte d’ispirazione; però, sarebbe stato difficile tradurre in musica con i convenzionali moduli espressivi i sentimenti e gli stati mentali dei quali aveva fatto esperienza nel corso delle sue numerose escursioni nelle zone desertiche vicino alla sua casa nella California Meridionale. Come osservò in un’intervista concessa in Europa, “Le idee relative al rallentare e allo stratificare il tempo, mettere a fuoco una consapevolezza della mia vita interiore, esprimere un certo tipo di antica memoria, potevano tutte fondersi ed emergere insieme nei suoni che ero in grado di produrre. Se fossi nato in qualsiasi altra epoca, mi sarebbe stato impossibile esprimere questa cosa a livello musicale; gli strani suoni che è possibile produrre per mezzo dei sintetizzatori ed altre apparecchiature elettroniche mi hanno consentito di scolpire mondi e sentimenti sonori capaci di portarmi fuori dall’ambito dell’ordinaria esperienza umana”.
Anche se in origine le “evocazioni” sonore di Roach gli furono ispirate dal Sudovest americano, presto la sua musica cominciò a comunicare qualcosa anche ad ascoltatori che vivevano a differenti latitudini. Poco tempo dopo l’uscita del suo album del 1984, STRUCTURES FROM SILENCE (un autentico classico), Roach cominciò a ricevere lettere inviategli da persone residenti in Australia e che erano rimaste molto impressionate dal modo in cui la sua musica sembrava rispecchiare la qualità del territorio di quel Paese. “Fu all’incirca in quel periodo che sentii per la prima volta un didgeridoo”, dice, “e per me fu come sentire un qual certo antico suono elettronico che creava un ponte col presente. La forza di quel suono, e il modo in cui evoca sentimenti profondi e primordiali ha un sacco di cose in comune con quello che ho sempre cercato di fare con la mia musica”.
Il continente australiano, insomma, lo stava chiamando, e a gran voce, anche. All’inizio del 1987, Roach aveva già da tempo iniziato a studiare la mitologia aborigena e a comporre musica per un album che aveva tutta l’intenzione di intitolare DREAMTIME RETURN: fu a questo punto che ricevette una telefonata dal fotografo David Stahl. “Mi telefonò questo tizio, che non conoscevo nel modo più assoluto, e mi disse che stava lavorando a un documentario sull’antica arte aborigena del Dreamtime, e che mentre era in auto aveva sentito alla radio STRUCTURES FROM SILENCE, che secondo lui s’intonava perfettamente con l’Australia. Quindi mi chiese se fossi interessato a fornire della musica per quello che stava producendo: puoi immaginare come rimase sbalordito quando gli dissi che, proprio in quel periodo, stavo realizzando un album che volevo intitolare DREAMTIME RETURN.
Qualche settimana dopo, Roach entrò a far parte della troupe di Stahl, e si ritrovò a viaggiare attraverso zone assolutamente isolate e selvagge, dove erano presenti molti esempi di arte rupestre aborigena che pochissime persone avevano visto, eccezion fatta per le tribù native che vivevano in quelle stesse zone. Andò a finire che egli ebbe modo non solo di trarre un sacco d’ispirazione dal territorio, ma anche di conoscere un autentico maestro aborigeno del didgeridoo, David Hudson. Nel periodo di tempo che trascorsero insieme, Hudson insegnò a Roach a suonare il didgeridoo, e gli insegnò addirittura a costruirsene uno secondo il metodo tradizionale. Hudson suonò anche il didgeridoo in DREAMTIME RETURN, un doppio CD che in seguito divenne un autentico classico e ottenne ottime recensioni: ancor oggi la critica continua a definire DREAMTIME RETURN un’opera precorritrice dello stile tribal–ambient.
Nel 1989, Roach progettò un album nel quale il didgeridoo doveva avere un ruolo di maggiore prominenza, e nel quale voleva che suonassero sia didjplayer aborigeni che artisti australiani particolarmente innovativi e che traessero essi stessi ispirazione dal territorio. Egli però incontrò notevoli difficoltà a realizzare il progetto, perché all’epoca nessuna etichetta americana ritenne che valesse la pena supportarlo e – soprattutto – finanziarlo: il sound del didgeridoo, si sentì dire Roach, era troppo grezzo, persino troppo minaccioso, per un pubblico che fosse più ampio di quello composto dai pochi cultori dello strumento. In suo “soccorso” venne Ulli Hansen, un’artista e imprenditrice australiana, la quale, convinta della validità del progetto, finanziò la realizzazione di quello che sarebbe divenuto AUSTRALIA: SOUND OF THE EARTH, un album nel quale suonavano Hudson, Roach, la Darwin Didg Mob e Sarah Hopkins, una violoncellista australiana in grado d’imitare col proprio strumento il suono del didgeridoo e molti suoni naturali. Nell’autunno del 1989 Roach viaggiò in lungo e in largo (in autobus) per l’Australia allo scopo di raccogliere le performance ed i suoni naturali che in seguito inserì sapientemente nella trama sonora di questo apprezzatissimo viaggio sonoro attraverso l’outback.
Bruce Elder, critico musicale del Sydney Morning Herald, scrisse a proposito di AUSTRALIA: SOUND OF THE EARTH: “E’ indicativo del provincialismo dell’Australia (o ella nostra ignoranza) il fatto che non abbiamo mai cercato di, per così dire, incrociare la nostra tradizione musicale occidentale con la musica aborigena. Pertanto, è in qualche modo ironico il fatto che una delle più riuscite fusioni tra la musica occidentale e quella aborigena sia stata operata da uno stimatissimo musicista ambient americano, Steve Roach. Il risultato di ciò, AUSTRALIA: SOUND OF THE EARTH, è uno dei paesaggi sonori australiani più incisivi e penetranti che abbia mai ascoltato… esso evoca alla mente deserti, calura e solitudine, fondendoli con cupe foreste pluviali, primitive paludi e atmosfere d’intensità quasi mistica. A parte questa visione altamente originale, Roach ha anche utilizzato il notevole talento del didjplayer David Hudson… quasi senza dubbio il miglio suonatore di didgeridoo mai registrato in Australia”.
Nonostante ciò, Roach trovò difficile convincere Hudson a fare il passo successivo, ossia registrare un intero album di brani per didgeridoo. Questa opportunità si presentò in occasione di una visita che lo stesso Hudson fece nel 1991 a Roach presso la sua casa di Tucson, Arizona. Hudson e la sua fidanzata di allora, Cindy, decisero di sposarsi proprio nel prato dietro casa di Roach; approfittando dell’occasione, Roach “attirò” Hudson nel proprio studio e gli fece registrare WOOLUNDA, che divenne il primo album di assolo di didgeridoo mai pubblicato su CD.
“All’epoca, David era molto scettico”, ricorda Roach. “Pensava che a nessun interessasse ascoltare il didgeridoo da solo”. La cosa era comprensibile. Hudson faceva parte di quella generazione che ancora stava subendo gli effetti dei tentativi fatti dal governo australiano di estirpare la cultura aborigena, i linguaggi indigeni e il loro sistema di credenze. Con l’inganno e anche con la forza, gli aborigeni erano stati indotti a ritenere che e loro tradizioni fossero semplici superstizioni, obsolete se non addirittura blasfeme. Anche se Hudson e la sua compagnia teatrale, il Tjapukai Dance Theatre, avevano girato il mondo proprio allo scopo di smantellare quest’idea presentando al pubblico occidentale la cultura aborigena in un modo che fosse anche fonte d’intrattenimento, egli pensava che un disco di solo didgeridoo di un’ora di durata fosse eccessivo. Secondo lui, l’unico modo in cui il pubblico poteva accettare il didgeridoo era come strumento ritmico che accompagnasse la chitarra, come era il caso del gruppo degli Outback. Roach insistette, però, e per “gettare benzina sul fuoco” portò Hudson allo Hear Music, un locale negozio di dischi specializzato in musica contemporanea strumentale e world music. Quando il proprietario del negozio, Brit Dornquast, gli disse che tutti i giorni un sacco di gente gli chiedeva se esistessero dischi di solo didgeridoo, Hudson si convinse e si decise a realizzare il progetto – progetto che, ancora una volta, Roach trovò qualche difficoltà a far partire, perché prima dovette convincere la propria casa discografica, la Celestial Harmonies, a correre il rischio. Da allora, comunque, il capo dell’etichetta, Eckart Rahn, ha sostituito il proprio scetticismo con un notevole entusiasmo, fondato sul successo di critica ottenuto da WOOLUNDA e AUSTRALIA: SOUND OF THE EARTH. Adesso egli addirittura trascorre parte dell’anno in Australia, dove ha avviato altri progetti riguardati la musica tradizionale aborigena. E’ anche diventato uno strenuo sostenitore dei progetti di Hudson, visto che ha pubblicato il suo secondo album, RAINBOW SERPENT, prodotto ancora una volta da Roach e realizzato presso il suo studio di Tucson, il Timeroom. In questo album, Hudson ha accostato al proprio strumento anche percussioni e suoni naturali, e ha fatto ampio ricorso agli effetti messi a disposizione dallo studio. Successivamente, ha dato credito a Roach per averlo introdotto a nuovi modi di percepire ed esprimere le proprie radici ancestrali; in fin dei conti, la combinazione organica di suoni primevi e futuristici che lo stesso Roach ha sviluppato nei propri lavori ha dimostrato che è possibile esprimere una voce antica con uno spirito moderno. In qualità di artista aborigeno vivente ed operante alla fine del 20° secolo, Hudson era desideroso di esprimere il proprio retaggio attraverso la prospettiva di una persona cresciuta in entrambi i mondi. Nel corso degli anni, Roach ha anche fatto conoscere a Hudson didjplayer e sostenitori come Alan Shockley e Stephen Kent, contribuendo a far conoscere il talento di Hudson a persone pronte e disposte ad apprezzarlo.
Nel corso del tempo, Roach ha sapientemente inserito il proprio didjplaying in più di una decina di lavori sia solistici che di gruppo, facendo conoscere questo strumento al pubblico di tutto il mondo. ORIGINS (1993, Fortuna) e ARTIFACTS (1994, Fortuna) sono stati salutati dalla stampa internazionale come autentici capolavori, con ARTIFACTS che è stato inserito nei Top 5 dell’anno della NAIRD (National Association of Independent Record Distributors) per la sua categoria. Anche EARTH ISLAND, un’altra produzione di Roach, stavolta con il suo gruppo, i Suspended Memories, è entrata nei Top 5. In questo lavoro il didgeridoo svolge un ruolo molto importante nell’ambito del sensuoso e nondimeno cupamente intransigente sound globale del gruppo.
Anche se Roach, pur essendo un’importante figura, è rimasto in qualche modo dietro le quinte dell’attuale scena internazionale del didgeridoo, la critica musicale lo ha più volte citato per il vigore della sua innovativa visione; egli infatti è riuscito a creare musica che esalta il tradizionale ruolo dello strumento di voce della creazione, il sound della terra.
tratto da: www.steveroach.com
traduzione di Stefano Focacci http://implosions.interfree.it/ABOUT.htm
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