Nel 1999 ho comperato tre pezzi di Bamboo cavi, attaccati fra loro con la colla ad una mostra missionaria sull’Africa. Sapevo che si chiamava didgeridoo e ne avevo visto uno, solo in una vecchia pubblicità della coca cola, con tre aborigeni che suonando facevano piovere. Quel didgeridoo, piuttosto insuonabile a causa del diametro troppo ampio, della troppa cera e dell’imboccatura troppo grande, mi ha cambiato, in parte, la vita.
Nel 1999 erano poche le persone che per sbaglio avevano incrociato un didje ed erano state così testarde da volere imparare a suonarlo. Ve lo ricorate il 1999? Sono passati solo 15 anni, ma la maggior parte di voi viveva senza smartphone, senza facebook, senza internet e senza email !
Io internet ce l’avevo, ma sul didgeridoo in italiano si trovavano 20 righe mal tradotte dall’inglese. Nel giro di qualche mese decisi di comprarmi il dominio www.didgeridoo.it quasi per scherzo e aiutai l’organizzazione del primo raduno di suonatori italiani. Sarò anche pretenzioso, ma questi due eventi posero le basi per tutto quello che trovate in italiano qui: https://www.google.it/#q=didgeridoo
Ho sempre pensato che a quel raduno ci fossero almeno la metà delle persone che suonavano il didgeridoo in Italia. Ed eravamo una quarantina. Quindi possiamo dire, senza poterlo dimostrare, che nel 2000 in Italia eravamo in 100 a suonare questo strano strumento esotico.
La veloce diffusione di internet e le olimpiadi di Sydney, verso la fine di quell’anno, portarono il nostro pezzo di legno agli onori della cronaca. Considero le olimpiadi, insieme a Jamiroquai e ai viaggi in Australia, le principali molle che hanno spinto molte persone a suonare il didje nei primi anni 2000.
Ma entriamo un pò nel dettaglio. Incontrarsi, conoscersi e scambiare impressioni, trucchi e tecniche, significa automaticamente creare delle amicizie, delle comunità e delle risorse. Nel 2000 eravamo pochi e quindi chi abitava vicino cominciò ad incontrarsi per condividere e sentirsi meno isolato. Si crearono così dei gruppi sporadici di suonatori che piano piano si costituirono associazioni: i Wetonton a Torino, i Wombat a Milano, il Dreamtime a Vicenza, Fiorino Fiorini e Paride Russo a Cesena. Queste associazioni, formali o informali che fossero, sono state molto importanti per la diffusione del tubo di legno, anche perchè organizzando i primi festival aperti anche ai curiosi, hanno diffuso la passione in tutta Italia.
Diciamo che a metà degli anni 2000 c’erano in tutta Italia diversi corsi, diversi festival/raduni come il Didjfest in Piemonte o il Didjin’Oz in Romagna e diversi artisti che si esibivano col didgeridoo. Nel giro di pochi anni si era creato un microcosmo di nicchia, dove a chi voleva approcciarsi al didgeridoo bastava fare una ricerca su google o mandare una email. Diversi suonatori si erano cimentati anche nella costruzione del didge, alcuni con risultati notevoli come Andrea Ferroni che ha il merito, fra le altre cose, di aver tolto al didgeridoo quell’aura da strumento per fricchettoni e avergli dato il posto che meritava: tra gli altri strumenti musicali.
Nel 2010 il didgeridoo era un fenomeno di portata internazionale, non tanto per numero di suonatori (anche se in diversi paesi i suonatori sono tantissimi) ma per connessioni fra i diversi festival , fra i diversi suonatori, fra i diversi siti internet. In questi anni, fino ad arrivare a noi, in Italia molti scoprono e si dedicano ai “deep instument” strumenti lunghi e lunghissimi con note molto basse portati alla ribalta da Ondrej Smeykal e da Dubravko Lapaine.
Oggi lo stile con cui si suona il didgeridoo è molto cambiato rispetto ai miei tempi [ 🙂 ], tanto che ormai si parla di una “Old School”, di cui faccio orgogliosamente parte, e di un nuovo modo di suonare il didgeridoo molto più influenzato dal beatbox e da uno stile che possiamo definire, funky, sincopato, stoppato e veloce allo stesso tempo.
Ormai la comunità globale del didgeridoo è così estesa che non esistono più associazioni di suonatori ma più che altro gruppi facebook. Come per mille altri aspetti anche per il didgeridoo i social network hanno cambiato il modo di relazionarsi fra le persone che lo suonano. Se questo sia un bene o un male non sta a me dirlo, lo vedremo in futuro.
Il futuro è difficile da prevedere e anche solo da pensare. Forse il didgeridoo resterà uno strumento di nicchia, forse la venuta di band che lo utilizzano non solo in qualche brano lo catapulterà improvvisamente agli onori della cronaca musicale. Sono proprio curioso di vedere cosa succederà, intanto vado a farmi due pernacchie.
Ilario Vannucchi