La Natura e il Primo Suono
La prima volta che ho suonato il didgeridoo è stato dopo averlo visto in un film intitolato “Jedda”. L’arte e la cultura aborigena non erano popolari all’epoca, ma la mia giovane immaginazione fu attratta dal loro richiama arcadico.
Ho vissuto per sei anni con gli aborigeni nel deserto imparando a stare nella foresta con poche risorse. Avevo una capanna nella quale vivevo semplicemente, con luce solare, pioggia, acqua del fiume, un frutteto, cucinandomi e riscaldandomi con fuoco a legna.
Suonare il didgeridoo era secondario rispetto allo stare in contatto con la natura; difatti non ho provato un didge in legno fino all’età di 20 anni.
L’apprendimento
Non c’erano insegnanti di didgeridoo e gli unici suonatori all’epoca erano in Arnhem Land e nelle zone del Kimberly; ho quindi imparato interamente con l’intuizione, visto che vivevo a 4000 chilometri di distanza da queste zone.
Ho scoperto la respirazione circolare casualmente a 21 anni; per questo tutti i miei ritmi sono originali e il mio modo di suonare non assomiglia allo stile aborigeno.
Fino agli anni 70 non erano reperibili registrazioni disponibili di didgeridoo tranne alcuni rari LP di 12 pollici fatti da etno-musicologi.
Era eccitante ed interessante imparare a suonare sperimentando in quanto non c’erano delle regole da seguire, cosa che invece deve fare chi inizia a praticare oggi il didge.
L’insegnamento
L’Università è stata un’esperienza stupenda e mi sono divertito a fare l’insegnante per un anno e mi ha fatto avere maggiore rispetto del “sapere” donandomi una spiccata attitudine critica.
Ho preso seriamente la mia responsabilità di insegnante; ero curioso e denunciavo ciò che veniva trasmesso in modo errato. Questo mi ha messo in conflitto con alcuni suonatori “new-age” di didge che mistificavano la realtà, mentre io cercavo di fare maggiore chiarezza.
Vita con gli aborigeni
La vita nel deserto con gli aborigeni era molto differente per quanto erano più spirituali che razionali. La gente di Pintupi e Loitja mi cercava per le mie abilità pratiche nel trovare e purificare l’acqua e altre utilità quotidiane.
Non sono presenti suonatori di didge nel deserto, ma hanno in ogni modo una vita cerimoniale molto articolata e sentita, una sorprendente conoscenza dell’ambiente ed un intricato sistema di parentele in cui anche l’attribuzione dei nomi è molto complessa.
Io fui chiamato Tjapangardi e progressivamente capii come entrare in relazione con gli altri “nomi” o parenti.
Ho vissuto esperienze fantastiche dove molto spesso ero l’unica persona bianca.
Gli amici mi hanno esortato a scrivere un libro, forse lo farò, anche se ci sono già alcuni buoni libri che narrano la vita dei nomadi aborigeni.
Per rispetto della gente non ho mai suonato nessuna canzone o rituale che avevo imparato.
Solo saltuariamente ho usato alcune parole Pintupi nelle mie canzoni: Tjilatjila significa “dolce” per il mio cd acustico con il didjeribone in horn technique; mentre munkarra significa “ciò che non può essere visto” ed è contenuto nel CD dei Gondwana dal titolo Xenophone.
Le terre Pintupi sono molto remote, non avendo avuto fino al 1984 nessun tipo di contatto con il mondo moderno. Sul mio sito potete leggere un articolo di giornale a questo proposito.
Sono ritornato poche volte anche per suonarci, ovviamente con il mio stile. Una foto durante il concerto la potete vedere a lato, scattata a Tintore.
Agli aborigeni è piaciuto il mio originale suono electro-dance e credono si renda ridicolo chiunque voglia imitare il sogno aborigeno.
In Arnhem Land ho imparato molto con David Blanasi riguardo le tradizioni e la costruzione di didje.
Provai una strana esperienza quando David e un altro anziano Djoli Liawonga erano accampati nella foresta con due giovani ragazzi, i quali erano stati puniti per piccoli crimini (rubare, alcool ecc..), mi chiesero se potevo controllare i due ragazzi per un giorno e una notte visto che loro volevano fare una pausa. Io accettai e… capii come la foresta sia meglio di una prigione.
Ai ragazzi furono requisiti i vestiti e per vivere dovevano procacciarsi il cibo.
Creare musica sperimentando
Sperimentare mi diverte. Mi annoio a fare lavori ripetitivi, eccezion fatta per la crescita e cura delle piante.
Ho iniziato a suonare, improvvisando in gruppi rock e con strumenti acustici intorno al fuoco nella foresta. La prima registrazione basata su ritmi di didge fu Gondwanaland Terra Incognita del 1983 e fu suonata con sintetizzatori analogici.
Dopo aver suonato nei pub, abbiamo aggiunto parti di batteria e distribuito Gondwanaland Let the Dog Out, con una parte energica e ballabile ed un’altra parte ambient, nel 1985.
I seguenti 3 cd erano vinili da 12 pollici chiamati Gondwanaland (1997) e Wild Life, un album live del 1989.
Uno dei nostri primi grandi tour fu nel 1986, includeva tutto il Northern Territory e suonammo un’improvvisazione come ospiti per aprire il concerto dei Gondwanaland all’ “Yirkala Manduwuy Yunupingu sang country rock songs”.
Qualche anno dopo Manduwuy formò gli Yothu Yindi e forse notando come i Gondwanaland mischiavano il didge con la musica contemporanea, ispirò l’ondata di didge che diventò consuetudine negli anni 90.
Quando i Gondwanaland si sciolsero nel 1993 io suonai un insieme di stili. Nel cd “Travelling Songs” del 1994 c’erano influenze jazz e orchestrali ed era la prima musica basata su dei complessi loop/samples di didge come in “Wobble” e brani particolarmente veloci come “Ride” e “Swarm riffs”. Alcune canzoni erano scritte insieme a Bobby Bunuggurr, un vecchio da Ramingining.
Una di queste era una canzone Negarti che è una critica alle canzoni del sogno, perché riguardano gli animali straordinari (serpenti,coccodrilli ecc..) ma trascurano le termiti che sono il più importante e prolifico animale nell’ambiente australiano.
Il cd seguente fu Tjilatjila un suono dolce e caldo che introduce l’idea del didje horns che Mike Jackson e Mike Edwards avevano usato nel loro album Axis.
Sound Check
Come suonatore di didj mi sono sentito frustrato da come è difficile ottenere un buon suono con i microfoni. Il problema peggiora, quando si suona rock o altri stili rumorosi.
Ero consapevole che i due problemi di volume insufficiente e qualità audio sono causati dai drone del didj che sembravano un’onda sonora di armonici con frequenza bassa e complessa; mentre strumenti come il violino, la tromba, il piano sono relativamente facili da registrare e hanno anche delle variazioni melodiche per definire la canzone.
Inoltre il didge ha poche frequenze medie di conseguenza alcuni suonatori di didge cercano di perare l’ostacolo
Charlie Mc Mahon suona col face bass
facendo numerosi urli e toots (effetti tromba); tuttavia le urla suonano malissimo ed il suono speciale del didge rimane il suo drone ritmico.
Face Bass
Una notte ho avuto una grande ispirazione: cosa succede se suono il didge da dentro la bocca?
Ho iniziato a fare esperimenti e dopo 8 mesi creai il “Face Bass”, un sensore sismico che è piccolo, duro e impermeabile.
Il face bass-didj, suona come se venisse aggiunto qualche effetto elettronico, in realtà è esattamente come risuona il didge dentro la testa.
E’ necessario che il suonatore eviti alcune delle tecniche comuni per suonare il didj quali il muovere la mandibola e altri movimenti tipici delle guance; mentre la lingua, la respirazione e i suoni vocali sono intensificati dal face-bass e piccoli, insignificanti, delicati movimenti possono creare una vasta gamma di suoni che non immaginavo.
Infatti, battendo questo microfono con le dita, suona come una cassa e un rullante cosi da creare campioni di batteria o basi melodiche su cui suonare sopra.
Il face bass funziona così bene con il didje, perché il didge consente una vibrazione labiale più ampia di ogni altro strumento e di conseguenza molte vibrazioni si ripercuotono sulla testa del musicista.
La nota base scuote la nostra testa e la canzone “Resonate the Head” di Bone Man descrive questa esperienza. L’audio in uscita del face bass è una linea che da più gain rispetto al segnale del microfono, il jack del face bass si innesta al monitor, un amplificatore da basso da 300 watt.
Registrando Xenophon, il primo cd in cui ho usato il face bass, ho provato grandi emozioni.
Anche la gente è rimasta meravigliata dai suoni che riuscivo a creare con questo microfono, devo ammettere a mia volta di essere rimasto sorpreso, tutto questo mi incoraggia a sperimentare!
Grazie al Didjeribone e al suono sismico “scuotiossa” sono Bone man al 200%.
Didjeribone
Il didjeribone da me inventato nel 1981 e prodotto/fabbricato nel 2000 sta divenendo conosciuto tra le persone che hanno imparato molti ritmi e cercano nuove espressioni musicali.
Sto giusto ascoltando dei bravi suonatori che con il didjeribone, producono suoni migliori di quanto riesca a fare io, specialmente con gli ipertoni con i quali è possibile eseguire 3 ottave su una scala di 12 semitoni. Mi da soddisfazione il fatto di aver dato la possibilità di fare musica diversa.
Ho alcuni consigli per i suonatori di didjeribone.
Primo: una buona molletta, pinza o nastro sul microfono a clip è necessaria dato che è impossibile mantenere una distanza fissa su di un microfono normale mentre si fa “scorrere il didge”, poi non usate microfoni economici, quando suono musica acustica, sul didjeribone uso un Sony ECM.
Rhythms & Patterns
La parte più difficile per un suonatore di didje, è suonare un ritmo fisso e abbastanza forte da essere sentito insieme agli altri strumenti e che tale ritmo sia interessante da non diventare noioso.
Il didje è meglio come strumento di sottofondo, le parti soliste o complesse è meglio lasciarle a strumenti con alti armonici o dotati di un potenziale melodico.
La difficoltà con il didge comincia, quando bisogna fare una base ritmica costante e chiara in una canzone. Spesso si sentono ronzii fissi e costanti, suonati con foga e poco chiari.
Questo problema è ancora più evidente dove la canzone è per didj con un pitch alto e il problema non può essere risolto con un microfono diverso.
Il pesante ronzio è causato dalla fusione dei picchi di volume nel ritmo a causa della continua nota fondamentale. Il silenzio è necessario per dare un senso al ritmo, per definirlo.
Le basse frequenze hanno bisogno di più spazio/tempo rispetto ai suoni alti ed è questo il perché gli strumenti con sonorità basse suonano parti, pattern e motivi lenti nelle orchestre, mentre i violini (ad esempio) sono meglio per le parti veloci.
La musica ambient è l’ideale per la nota del didj ma non va bene in un pub o locale vivace (in cui si va per ballare..) e non è neanche una grande sfida per un suonatore “tosto” di didjeridoo.
I didgeridoo player molto bravi mentre suonano usano: molte pause, cambiamenti di ritmo, stoppati con toots, e molte variazioni così da non suonare “pesante” e sono veloci per tutto il tempo. Un buon esempio di riff di didje con intervalli è in “plateau” nel cd Tjilatjila.
In questo CD suono il didjeribone con nota base ritmica in La# per 4 battute ed effetti tromba in Re. Non è necessario continuare a suonare tutto il tempo la nota base, non è una competizione sulla respirazione circolare, è più interessante la tecnica.
Charlie Mc Mahon www.charliemcmahon.com
Traduzione di Andrea Ferroni http://www.andreaferroni.it