6 tracce – Durata totale 37 minuti
Nel suo precedente CD “Breaking Through”, realizzato con la collaborazione di diversi artisti, Andrea Ferroni aveva colto l’occasione per espandere il proprio raggio d’azione, esplorando in diversi brani i territori di una musica di matrice decisamente più sperimentale rispetto a quanto era stato possibile ascoltare nei suoi precedenti lavori.
In “Ritratto”, seppure in modo molto diverso, e senza l’ausilio dei molti musicisti che lo avevano accompagnato in “Breaking Through”, Andrea Ferroni sembra voler riprendere il filo della sperimentazione sonora, e messe da parte (quasi) del tutto le sonorità/strutture/composizioni “ultra-tecniche” a base di didgeridoo che hanno caratterizzato la maggior parte della propria produzione artistica, sposta il proprio interesse verso la ricerca sonora, verso un modo di utilizzo dello strumento in contesti più “aperti”, desueti e differenziati, sfruttando talora, come nel primo brano “Quiete dopo la Tempesta”, le possibilità offerte dal processamento elettronico (anche massiccio) delle fonti, attraverso applicazione di effetti ed editing audio con l’ausilio del computer.
La struttura dei singoli brani rimane comunque piuttosto semplice, nel senso che non c’è un ampio e preponderante utilizzo di sovraincisioni e missaggi, e questa caratteristica consente ai brani di conservare quel senso di “immediatezza” che viene invece inevitabilmente a mancare in tanta musica che viene realizzata attraverso un ampio, sofisticato, articolato e “ponderato” lavoro di stratificazione/missaggio/montaggio al computer.
Sicuramente non si tratta di un CD intenzionalmente destinato ai “puristi” dell’affascinante strumento australiano, o a chi giudichi negativamente l’utilizzo del didgeridoo in un contesto musicale/culturale così espressamente distante da quello “tradizionale” nel quale per secoli ne hanno fatto uso i nativi australiani.
Ma è sicuramente un CD consigliato a chi invece, prescindendo da considerazioni di tipo etico-storico-culturale, vede in questo strumento, o meglio ancora nella vasta gamma delle “varianti” di quello che è l’originale Yidaki australiano, un interessante e potente mezzo espressivo che, come qualsiasi altro “oggetto” in grado di produrre suoni, può essere liberamente ed efficacemente impiegato, anche integrandone l’utilizzo con altri strumenti e con l’ausilio delle moderne tecnologie elettroniche, per produrre musiche e vibrazioni al di fuori dell’ordinario e del “già sentito”.
Particolarmente riuscito ed interessante il brano che dà il titolo all’album, ottenuto attraverso la “semplice” ma efficace sovrapposizione di due note di didgeridoo continue non perfettamente intonate, diversamente posizionate nel panorama stereo, una fissa e una in continuo glissare, e il brano “Suono Continuo”, il quale, pur non facendo uso nè di didgeridoo nè di effetti elettronici, essendo stato realizzato soltanto sovrapponendo tre tracce di Dan Moi (scacciapensieri vietnamita), mostra invece delle sonorità che a tratti sembrerebbero invece sorprendentemente proprio di deri-vazione elettronica, e a tratti, altrettanto sorprendentemente, ottenute attraverso l’uso di un didgeridoo.
Giuseppe Verticchio http://www.oltreilsuono.com/nimh