Il didgeridoo come terapia dei
disturbi respiratori nel sonno A cura della Dott.ssa Maria Mazzocchi Il settimanale biomedico British Medical Journal ha pubblicato, nel fascicolo del 4 febbraio 2006, un articolo il cui titolo, tradotto in italiano, potrebbe "suonare" più o meno così: "Suonare il didgeridoo come trattamento della sindrome delle apnee ostruttive nel sonno: studio randomizzato, controllato". Per comprendere i risultati di questo trial è opportuno spiegare prima di tutto che cosa si intende per "Sindrome delle apnee ostruttive nel sonno", o OSAS, dall'inglese Obstructive Sleep Apnea Syndrome. Durante il sonno, in tutti gli individui, l'attività respiratoria è differente rispetto a quella che si osserva in fase di veglia, come conseguenza dei mutamenti della funzionalità dei centri nervosi che coordinano sia i movimenti respiratori che le posizioni del corpo; inoltre, si determina un rilassamento dei muscoli di bocca e gola. L'insieme di questi fenomeni, quando particolarmente accentuati, può determinare il russamento, correlato alla vibrazione delle strutture molli faringee, ed in alcuni soggetti, addirittura, può causare un'ostruzione quasi completa delle vie aeree durante il sonno con arresto dell'attività respiratoria di durata superiore a 10 secondi (apnea). Si stima che il 2-4% della popolazione adulta, in particolare maschi tra i 40 e i 60 anni, sia affetta da disturbi respiratori che si verificano durante il sonno e, purtroppo, spesso, la diagnosi è tardiva quando le conseguenze sono ormai gravi e permanenti . La "sindrome delle apnee ostruttive nel sonno", che ora per brevità chiameremo con l'acronimo OSAS, è la forma più frequente di questi disturbi. L'OSAS è una malattia complessa, di origine multifattoriale, caratterizzata, appunto, dalla presenza di ripetuti episodi di ostruzione più o meno completa della via aerea a livello faringeo/laringeo durante il sonno. La sede esatta di tale ostruzione varia da un paziente ad un altro, ma è più frequentemente localizzata a livello della base della lingua. Anche il numero e la durata di questi episodi sono variabili, ma determinano, comunque, una riduzione della saturazione di ossigeno nel sangue. L'assenza di flusso aereo combinata con la persistenza dello sforzo respiratorio durante il sonno sta alla base dei danni determinati dalla sindrome. La presenza di alterazioni anatomiche che occludono le prime vie aeree (naso, faringe e laringe), l'obesità ed una circonferenza del collo superiore alla norma rappresentano le principali cause predisponenti. Si tende a distinguere le forme pediatriche (in cui l'ostruzione è determinata soprattutto da tonsille ed adenoidi ipertrofiche) da quelle dell'adulto, ma, in realtà, i meccanismi che entrano in gioco sono, ripeto, molteplici, e si sommano al normale collabimento dei tessuti molli (in particolare del velo palatino) del tratto orofaringeo, privo di supporto rigido, che avviene durante il sonno come conseguenza del rilassamento muscolare. Mi limito a descrivere la forma dell'adulto, consigliando a chi interessato alle forme infantili a visitare l'indirizzo: http://www.medicoebambino.com/_OSAS_sindrome_apnee_SAO2_sonno Il paziente adulto è, in genere, in sovrappeso, di età media, maschio e forte russatore e giunge all'osservazione lamentando frammentazione del sonno ed i sintomi diurni ad essa conseguenti: sonnolenza diurna eccessiva, cefalee mattutine, mutamenti di personalità, riduzione della memoria e difficoltà di concentrazione, disturbi cognitivi, disturbi sessuali (riduzione della libido e comparsa di impotenza), poliuria notturna, bocca asciutta al risveglio, difficoltà respiratoria (rientramenti intercostali sono osservati soprattutto nei bambini più piccoli). Nella pratica clinica, spesso, sono le persone che vivono con questi pazienti che li convincono a presentarsi per una visita medica, disturbati dal russamento e preoccupati per le interruzioni del respiro del congiunto. Il paziente durante il sonno è inquieto, presenta grossolani movimenti del corpo dopo ogni apnea, geme, si lamenta e frequentemente parla; gli episodi terminano con brevi microrisvegli non percepiti dal soggetto, a volte frequentissimi (anche centinaia in poche ore di sonno). Questi continui brevissimi risvegli inconsci sono responsabili di una marcata frammentazione e di una ridotta durata del sonno che non risulta per nulla riposante. Gli episodi più gravi si concludono con un risveglio associato a percezione di soffocamento. I pazienti con OSAS di gravità maggiore presentano una qualità della vita particolarmente compromessa, caratterizzata da un deterioramento comportamentale correlato alla malattia e da uno scarso adattamento alla malattia stessa. Per quanto riguarda la sonnolenza, se, nelle forme meno gravi di malattia, compare in genere solo in situazioni noiose (lavori ripetitivi, letture, guida di autoveicoli su strade "monotone", visione di programmi TV), nelle forme più gravi può essere continua, fino a compromettere la vita coniugale, sociale, professionale. A causa di questa sonnolenza, i pazienti con OSAS presentano un rischio elevato di incidenti stradali ed incidenti sul lavoro. Nei bambini, invece, si manifestano soprattutto disturbi comportamentali quali iperreattività, aggressività e scarsi risultati scolastici. Si deduce che l'OSAS non è, quindi, una malattia benigna, non solo perché questi pazienti sono coinvolti in un altissimo numero di incidenti stradali, correlati alla sonnolenza diurna ed ai ridotti riflessi, ma, soprattutto, perché, l'ostruzione ricorrente delle vie aeree superiori, che provoca marcata riduzione o assenza totale del flusso aereo al naso ed alla bocca, determina riduzione della ossigenazione del sangue. La prolungata ridotta ossigenazione del sangue, a sua volta, determina ipertensione arteriosa i cui effetti si traducono in un'alta incidenza di problemi cardiovascolari (infarto), di eventi ischemici cerebrali e comporta un tasso di mortalità significativamente aumentato in quei soggetti che soffrono di un numero di episodi apneici superiori a 20 per ora di sonno. Col tempo, possono insorgere alterazioni del ritmo cardiaco e le complicanze cardiovascolari, aggravate ulteriormente, possono portare, nei casi gravi, al cuore polmonare ed allo scompenso cardiaco. La diagnosi di OSAS deve partire da un'accurata anamnesi e si avvale della somministrazione di un semplice questionario sui disturbi del sonno, ma, successivamente, richiede un approfondito studio del sonno che documenti il numero di episodi apneici, le eventuali aritmie associate e la severità del problema. Non mi dilungo sulla serie di informazioni che si debbono raccogliere per determinare la gravità della malattia, ma mi limito a dire che l'esame strumentale cardine è la polisonnografia, esame che permette di registrare, anche a domicilio, svariate informazioni sul sonno del paziente durante il corso di una notte e su alcune altre funzioni biologiche, quali pressione, frequenza cardiaca, saturazione di ossigeno nel sangue nello stesso arco di tempo. Per quanto riguarda il trattamento, questo deve essere individualizzato sulla base del risultato delle indagini cliniche e strumentali. Le opzioni terapeutiche non possono prescindere da norme medico/igenistiche ("terapia comportamentale") che comprendono: stimolare il paziente ad apportare modifiche allo stile di vita in modo da ridurre il peso di fattori predisponenti od aggravanti, spingere il soggetto ad ottenere una riduzione di peso (pare, infatti che un miglioramento sostanziale dell'obesità, cioè un calo ponderale di almeno il 10% del peso corporeo all'origine, si associ spesso ad un miglioramento clinico della OSAS), invitarlo ad evitare la posizione supina nel sonno (alcuni pazienti con OSAS presentano importanti miglioramenti se riescono a dormire in posizione laterale) ed insegnargli anche l'"igiene nel sonno", che ha grande importanza. È bene, infatti, che il paziente impari ad osservare uno schema personale standardizzato relativo al sonno: coricarsi e svegliarsi alla stessa ora, disporre di un ambiente silenzioso con poca luce soffusa e con una temperatura né troppo alta, né troppo bassa. Sottolineare che le sostanze contenenti caffeina (tè, caffè, cioccolata, bibite) vanno evitate nella seconda parte della giornata perché interferiscono con la facilità di prendere sonno, sconsigliare anche l'utilizzo di sedativi ed alcolici. Le sostanze alcoliche hanno un effetto paradosso sul sonno: ad un iniziale effetto ipnotico che facilita il sonno segue, qualche ora dopo, la comparsa di insonnia; i sedativi, determinando un'inibizione dei centri del respiro, possono incrementare addirittura numero e durata delle apnee. La terapia ventilatoria con l'uso di apparecchi che forniscano l'aria a pressione positiva per forzare l'ostruzione (CPAP) è considerata, al momento attuale, la terapia più efficace nel trattamento delle OSAS e va prescritta dopo approfondita e corretta diagnosi da parte dei Centri abilitati. Inoltre è indispensabile informare, istruire ed educare il paziente e la sua famiglia all'utilizzo di questo strumento che diventerà il compagno di tutte le future notti di sonno. Si tratta di una terapia per lo più ben tollerata e comporta solo minimi effetti collaterali, ma non tutti i pazienti sono in grado di accettarla, anche se la tecnologia ha reso possibile la creazione di mascherine nasali molto più sopportabili delle vecchie maschere facciali ed anche gli apparecchi sono divenuti meno ingombranti e più silenziosi. I trattamenti chirurgici sono rivolti alla correzione delle eventuali anomalie delle vie aeree superiori, sono molteplici e comprendono: disostruzione nasale, riduzione chirurgica del palato molle, come l'uvulofaringopalatoplastica (UPPP) e della base linguale, correzione delle deformità della mandibola (avanzamenti mandibolari), fino alla tracheotomia in rari casi. Più recente ma in rapida evoluzione è l'utilizzo di dispositivi odontoiatrici che impediscano il collasso dei tessuti molli durante il sonno, ma la loro efficacia è ancora da dimostrare, anche se alcuni studi fanno pensare che si tratti di un approccio promettente. Per una corretta diagnosi ed un trattamento mirato di questo complesso disturbo appare evidente l'importanza di una stretta collaborazione tra i vari specialisti coinvolti: otorinolaringoiatra, dentista, internista... Per approfondimenti potete consultare l'indirizzo: http://divulgativo.pneumonet.it/educazionale/sonno_paziente/cap1/ e capitoli seguenti. Ma veniamo all'articolo citato in apertura, che potete leggere (in lingua inglese) all'indirizzo: http://bmj.bmjjournals.com/cgi/reprint/332/7536/266 In questa sede mi limito a farne un breve riassunto. Lo studio era nato dall'osservazione, riferita da un insegnante di didgeridoo, che egli stesso ed alcuni dei suoi studenti, dopo molti mesi che suonavano lo strumento, erano meno disturbati da sonnolenza diurna e russavano meno, addirittura uno di loro aveva avuto una netta riduzione dell'indice di apnea-ipopnea, passato da 17 a 2 (per indice di apnea-ipopnea, si intende il numero di eventi di apnea-ipopnea che si registrano in 1 ora di sonno). Gli autori, quindi, supposto che questi effetti potessero essere correlati all'allenamento dei muscoli delle vie aeree superiori che controllano la dilatazione delle vie aeree stesse e la rigidità delle pareti, hanno progettato uno studio il cui obiettivo era determinare se gli effetti prodotti dal suonare il didgeridoo sulla sonnolenza diurna e su altre sequele dei disturbi respiratori durante il sonno avvenisse proprio attraverso la riduzione delle collassabilità delle vie aeree superiori in questo tipo di pazienti. Hanno quindi disegnato un trial randomizzato controllato, in cui, cioè, i pazienti affetti da OSAS di grado moderato e che rispondevano ai criteri di inclusione nello studio venivano scelti casualmente (random) per entrare nel braccio sperimentale o nel braccio di controllo. Avvalendosi di un centro di medicina del sonno e di un insegnante di didgeridoo, hanno selezionato 59 pazienti, tra essi hanno randomizzato 25 pazienti affetti da russamento, di età > 18, con un indice di apnea-ipopnea compreso tra15 e 30 da inserire nel braccio di studio, ad essi venivano impartite alcune lezioni di didgeridoo e si chiedeva loro di esercitarsi a casa almeno 20 minuti al giorno per 5 giorni alla settimana. Il gruppo di controllo, invece, rimaneva in lista d'attesa, senza mai suonare lo strumento. I risultati erano valutati, primariamente, attraverso la registrazione della sonnolenza diurna utilizzando la scala di Epworth [intervallo da 0 (nessuna sonnolenza diurna) fino a 24], e secondariamente, attraverso la valutazione della qualità del sonno [qualità del sonno secondo Pittsburgh indice da 0 (qualità del sonno eccellente) a 2], la valutazione del grado del disturbo del sonno del partner [visual analogue scale da 0 (non disturbato) a 10], la valutazione dell'indice di apnea-ipopnea e la valutazione della qualità della vita correlata alla salute (SF-36). I risultati hanno dimostrato che il gruppo di studio, rispetto a quello di controllo, dopo 4 mesi che suonava il didgeridoo aveva una sonnolenza diurna ed un indice di apnea-ipopnea significativamente migliorati ed anche i loro partners riferivano meno disturbi durante il sonno. Invece, la qualità del sonno non era significativamente migliorata. L'analisi combinata degli effetti sul sonno dimostrava che suonare il didgeridoo aveva un influenza da moderata a forte indicando che la collassabilità delle vie aeree superiori si riduceva. Invece, non si dimostrava differenza nei due gruppi di pazienti per quanto riguardava le modificazioni della qualità delle vita correlata alla salute. Gli autori sono i primi a dimostrare, con i loro risultati, che un allenamento delle vie aeree superiori migliora significativamente il sonno. Gli effetti che hanno osservato con 4 mesi di trattamento, superiori rispetto a quanto ottenuto in altri studi con la neurostimolazione elettrica, potrebbero essere dovuti alla durata maggiore dell'intervento ed all'allenamento dell'intero tratto vocale invece che di un singolo muscolo. Gli autori stessi definiscono, inoltre, punti di forza e limitazioni del trial, la forza si basa soprattutto sulla lunga durata dell'allenamento, tale da permettere che si sviluppino gli effetti. Per gli altri punti di forza vi invito a leggere l'articolo. Per quanto riguarda le limitazioni, la più importante è che i pazienti nel braccio di controllo erano semplicemente messi in lista d'attesa, mentre avrebbero potuto suonare un flauto, ma, in tal caso, non sarebbe stato possibile escludere effetti sulle vie aeree superiori. Altra limitazione, è la dimensione del campione, molto piccola. In ogni caso, essi sostengono che hanno portato una prova di un'analisi teorica anche se, in effetti, bisogna effettuare trials con un maggior numero di pazienti e con popolazioni di studio differenti per fornire stime più precise degli effetti dell'allenamento delle vie aeree superiori. Gli autori concludono che suonare il didgeridoo regolarmente è un efficace trattamento alternativo, ben tollerato dai pazienti con OSAS di grado moderato. 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