La respirazione circolare di Claudio Ricciardi Pubblicato su World Music numero 53 del 2002. La tecnica della respirazione circolare consente di emettere un suono continuo, suonando uno strumento a fiato. Viene utilizzata da musicisti di ogni latitudine ed in contesti che spaziano dalla musica etnica alla contemporanea, al jazz. Gli articoli che seguono introducono gli elementi fondamentali di questa tecnica - che chiunque può imparare - e passano in rassegna gli strumenti con i quali ottenere un flusso sonoro senza pause. La respirazione circolare, detta anche respirazione a fiato continuo, sembra immersa in un alone di mistero e generalmente la nostra prima reazione, quando veniamo a sapere di questa possibilità, è di incredulità seguita da una proposizione di impossibilità a praticarla. Naturalmente tutto ciò va al di là di concezioni mistiche od esoteriche, dato che è semplicemente una tecnica che tutti possono imparare. Inoltre è anche utile osservare che il tutto si basa su un trucco, se possiamo usare questo termine, in quanto non c’è niente di circolare, ma che semplicemente nel momento che inaliamo l’aria dal naso utilizziamo per poco più di un secondo l’aria residua presente nelle nostre guance. Facciamo cioè diventare la nostra bocca una piccola riserva d’aria come l’otre della zampogna o della cornamusa ed in questo modo riusciamo a produrre un suono che non si spezza mai. Silvestro Baglioni, direttore dell’Istituto di fisiologia umana dell’Università di Roma nel 1918, è l’unico fisiologo, a mia conoscenza, che si è interessato di questa tecnica eseguendo un esame della fisiologia respiratoria di Francesco Piga durante l’esecuzione con le launeddas. Egli riporta inoltre in una dichiarazione che “il Piga mi confessava che egli all’inizio della sua professione per circa dieci anni non era riuscito, per quanti sforzi e tentativi facesse, ad imparare a respirare senza interrompere il suono. Un bel giorno ad un tratto ne divenne padrone”. In una nota del libro a cura di Leydi e Guizzi, dove si trova ripubblicato il lavoro di Baglioni, si fa giustamente notare come l’atteggiamento di fronte all’estraneo intervistatore fosse dovuto al fatto che “quasi tutti i suonatori e costruttori popolari tendono a miticizzare vari aspetti del loro mestiere. Non è infatti logico che Piga abbia fatto il professionista senza saper respirare a fiato continuo e che a questo traguardo sia giunto quasi d’improvviso. In realtà esistono metodi didattici tradizionali per insegnare e imparare la respirazione continua, tecnica che, oltre tutto, non presenta quelle difficoltà pressochè insormontabili che spesso i suonatori vogliono far credere. Oggi diversi musicisti di jazz la usano tranquillamente” (Leydi, R. e Guizzi, F., 1994). Infatti, musicisti come i trombettisti Howard Leather, Clark Terry e Maynard Ferguson, i trombonisti Urbie Green, Bill Watrous, Stuart Dempster, Scott Irvine (suonatore di tuba), i sassofonisti Grover Washington jr., Sonny Rollins, Don Menza, James Moody, Evan Parker, Eugenio Colombo, Roberto Laneri, Gianni Gebbia per citarne solo alcuni, l’hanno utilizzata e la utilizzano mostrando capacità notevoli di gestione della tecnica. Il fatto interessante nel praticare questa tecnica suonando, per esempio, il didgeridoo è che la presa di aria che tende a modificare il timbro del suono prodotto, entra a tutti gli effetti nella circolarità del suono e del ritmo che si esegue divenendo parte integrante degli elementi della costruzione musicale che si sta eseguendo. Migliorando la tecnica e suonando lentamente si può evitare di far sentire la presa del fiato rendendo il suono continuo senza interruzioni ritmiche. Inoltre la tecnica può essere usata anche in altro modo e cioè non circolarmente insieme al ritmo, ma prendendo un lungo respiro iniziale e cominciando a suonare senza respirare come con gli altri strumenti a fiato, ed usando la tecnica, senza interrompere il suono, solamente quando serve l’aria che è finita nei polmoni. La descrizione della tecnica, i tentativi di praticarla, le difficoltà incontrate, ed il particolare significato che la musica assume “ascoltando l’ “altro lato” da “questo lato”, sono riferite dall’antropologo canadese David H. Turner, che dal 1970 per circa trent’anni è vissuto ed ha studiato la musica degli aborigeni nei territori del nord a Groote Eyland e Bickerton Island. Brevi cenni storici
Tra gli strumenti a fiato più antichi conosciuti nella storia dobbiamo citare l’aulos (canna, ossia aerofono di canna). Nella Grecia antica l’aulos era uno strumento molto popolare che veniva suonato durante i banchetti da musicisti di umili origini sia uomini che donne. Legato a particolari situazioni di teatro, guerra, riti agresti, era nello stesso tempo associato alla trance e al vizio. Esiste inoltre un’immagine di auleta in mezzo a guerrieri armati, con le canne dei clarini rivolte al cielo. “Per quanto riguarda timbro e sonorità si può, senza timore di errore, asserire che erano, come in tutto il bacino del Mediterraneo, assordanti e acuti. Le pitture mostrano gli auleti che soffiano nei loro strumenti, gonfiando le guance o addirittura tenendole piatte, segno che si soffiava, come è quasi d’obbligo per questo strumento, la respirazione circolare, che consente di suonare senza riprendere fiato e dunque senza interruzione. Suonati, diciamo, alla mediterranea, il clarinetto doppio o l’oboe hanno intonazioni veementi, un suono forte e roco, un’intensità emozionale tanto più grande in quanto lo strumento può suonare per più ore senza interruzione” (Rouget G., 1980, p.295). La tensione delle gote negli oboi semplici dei popoli musulmani viene spesso sostenuta dalla presenza, davanti le labbra, di una rondella di osso o metallica che favorisce la tenuta della camera d’aria della bocca; questa pressione si mantiene quanto più vengono pressate le labbra che comprimono l’aria contenuta nella bocca, dandole più forza nel passare attraverso la doppia ancia e fornendo un ritorno di pressione tale da permettere la presa del fiato utile per la respirazione circolare. “Nella parte occidentale di Giava, in luogo del disco, si applicano al bocchino “grandi ali di cocco” come le chiama Kunst, le quali formano una mezzaluna che si estende da un orecchio all’altro, come una fetta di melone attraverso la faccia di chi la sta mangiando, allo scopo di sostenere le gote enfiate”. (Baines, A. 1961, p.49). Anche C. Sachs riporta alcune notizie storiche sulla tecnica di esecuzione: “Il sonatore teneva in bocca tutto il segmento finale del clarinetto con l’ancia vibrante: la cavità orale fungeva da serbatoio d’aria, la inspirazione avvenendo per il naso, e la bocca poteva emettere un flusso costante di aria. Come avviene per i soffiatori di vetro. Non risultavano possibili naturalmente variazioni di timbro e d’intensità, considerato il tipo di insufflazione: il suono riusciva sempre d’egual forza, insieme insistente e penetrante. I suonatori delle launeddas sarde (un tipo di clarinetto) addestrano i loro allievi in questa difficile tecnica col farli soffiare in una cannuccia la cui estremità inferiore pesca in una scodella d’acqua: il gorgoglio dev’essere continuo, indipendentemente dalla respirazione dell’allievo; quando si interrompe, il maestro richiama il futuro sonatore con un colpetto sull’orecchio. L’autore potè appurare al Cairo che i sonatori d’oboe egiziani venivano istruiti con identico tirocinio”. A. Bresciani nel suo Dei costumi della Sardegna comparati cogli antichissimi popoli orientali, Napoli 1850, citato da V. Fiorentino in La Musica. Lavoro storico filosofico sociale, dice: “Vi soffiano dentro maestrevolmente, gonfiando le gote, che servono loro come l’otre della cornamusa; e a cagione che il suono sia sempre disteso ed unito, s’avvezzano a respirare col naso; ma di tal guisa che durano una danza intera senza allentare, o sospendere d’un attimo il filo della melodia, che fluisce continuo come dalla canna dell’organo. E si meraviglioso è in essi l’abito di cotesto imboccare il flauto a dilungo, che appena è mai che esca a singhiozzi, od anco a minimi intervalli di mezza croma; né perciò che ispirino colle narici, mozzan l’uscita dell’aria dalle pive, la quale esce come da un serbatoio perenne.” Silvestro Baglioni continua nella descrizione della tecnica: “Una proprietà delle produzioni musicali di qualunque genere siano, è che il sono mai s’interrompe. Non esistono pause. La capacità di poter soffiare senza interrompersi per inspirare dipende, come vedremo meglio, dal fatto che, durante l’inspirazione toracica, il cavo buccale funge da serbatoio, da cui il suonatore spinge l’aria comprimendo le gote. Infatti esse si veggono ritmicamente sollevarsi e abbassarsi, senza che a questo ritmico alternarsi corrisponda alcuna variazione d’intensità nella cantilena, la quale fluisce costante e senza interruzione. Né si deve credere che in questo il suonatore dia segni di sforzo o di difficoltà di respiro. Calmo e tranquillo, è capace di continuare la sua cantilena per quarti e per ore.” Oggi in Sardegna esistono alcune scuole sparse nel territorio; in particolare si deve alla attività dell’associazione culturale Cuncordia a Launeddas, costituitasi a Cagliari nel 1987, la diffusione didattica, culturale e storica di questo strumento. Attualmente la tecnica della respirazione circolare in Sardegna, ha acquisito una espressione didattica moderna che va al di là di strutture e legami segreti che si tramandavano oralmente solo a pochi allievi. La respirazione
Il meccanismo della respirazione consiste in un complesso di azioni coordinate, mediante le quali viene assicurato uno scambio gassoso tra l’ambiente esterno e gli organismi viventi in generale, garantendo un normale metabolismo sia delle cellule che dei tessuti. La sua attività ritmica è sotto il controllo sia di meccanismi riflessi involontari di origine centrale, e periferica, che di movimenti volontari. In stato di veglia noi siamo in grado di modificare il ritmo e l’ampiezza del respiro simultaneamente e separatamente; possiamo entrare in apnea volontaria, o regolare l’attività spontanea del diaframma e dei muscoli intercostali agendo sulla frequenza, sul volume e su tutte le fasi dell’atto respiratorio. Abbiamo coscientemente la capacità di rendere “ottimale” e di scegliere secondo le nostre necessità quale frequenza sia per noi la più conveniente. Varie tecniche di ginnastica respiratoria e di metodologie filosoficoterapeutiche utilizzano tali capacità regolatorie volontarie agendo sui singoli parametri, aumentando e modificando le richieste per varie prestazioni. Tra gli aspetti più evidenti della complessità dei legami che la respirazione assume nel determinare una sana fisiologia corporea, lo scopo principale è quello di mantenere una ventilazione tale da garantire l’apporto quantitativo di ossigeno necessario, ed eliminare proporzionalmente una quantità di anidride carbonica. Il processo della respirazione oggi viene considerato come un comportamento complesso governato da un gruppo di sistemi di controllo gerarchici che non solo sono in accordo con le esigenze primarie del metabolismo, ma che possono sottostare alle più ampie richieste per le nostre esigenze. Ad esempio, può variare notevolmente l’ampiezza dei movimenti diaframmatici secondo le nostre richieste a partire da un solo centimetro di escursione nella parte centrale durante una respirazione tranquilla, fino ad una decina di centimetri in una massima condizione di iperpnea. Conoscere, o meglio riconoscere, le differenze tra vari modi di respirare, che automaticamente utilizziamo, è necessario per utilizzare al meglio ed al massimo delle nostre possibilità il controllo dell’aria che incameriamo quotidianamente respirando. Questi sono i quattro tipi di respirazione di base: Respirazione “alta”. È quella che facciamo normalmente tutti i giorni senza accorgercene; è la più richiesta, mentre il suo rendimento e la sua efficacia sono molto bassi. È superficiale e “alta” e in essa non sono impiegati tutti i polmoni nella loro capacità. È quella che fa sollevare le spalle e la porzione sottoclavicolare con un leggero ritiro dell’addome. Le limitazioni inerenti a questo tipo di respirazione sono legate al minimo di aria che viene incamerata, tanto da dover fare attenzione al fatto se stiamo o no respirando. Respirazione “media”. Questa è caratterizzata da una espansione più ampia della parte superiore del torace, ed una apprezzabile modificazione del livello delle spalle. Si deve notare inoltre che l’addome si spinge scarsamente in avanti. Anche questo tipo di respirazione non offre un volume di aria sufficiente e funzionale per suonare strumenti a fiato. Respirazione “bassa”. Questo terzo modo di respirare detto anche “addominale” o “diaframmatico”, è quello che in particolare più ci riguarda, perché più funzionale degli altri due. È caratterizzato da una evidente espansione della regione addominale, senza alcuna modificazione apprezzabile della parte alta del torace e delle spalle. Si può pensare che l’aria stia gonfiando lo stomaco e la pancia mentre di fatto entrando profondamente nei polmoni abbassa il diaframma, che separando la cavità toracica da quella addominale, compensa lo spazio occupato dall’aria che gonfia i polmoni e spinge verso il basso sia lo stomaco che l’intestino provocando uno spostamento di questi organi verso l’esterno. Il diaframma si trova al livello della 11 a e 12 a costola posteriore, e la sua metà destra è più alta di quella sinistra; questo si contrae ad ogni inalazione appiattendosi verso il basso e si rilassa verso l’alto ad ogni esalazione. Il livello di escursione di questo movimento dipende naturalmente dalla quantità di aria che viene incamerata ad ogni ciclo di respiro. Questo tipo di respirazione è l’unico da utilizzare anche con la respirazione circolare. Si possono fare alcuni esercizi di respirazione profonda per sviluppare il movimento del diaframma sia inalando che esalando lentamente, sia con un colpo secco dei muscoli addominali espellendo velocemente l’aria dai polmoni. Respirazione “totale”. Questo quarto tipo di respirazione è anche detto respirazione “completa”, in quanto è la combinazione delle tre precedenti effettuata in ordine inverso. Si inizia in pratica con un lento respiro profondo con il metodo della respirazione “bassa”, espandendo lo stomaco e l’intestino verso l’esterno e quando si è arrivati a quella che si pensa sia la metà circa della possibilità di incamerare aria, si inizia ad espandere la cassa toracica riempiendo tutta la zona intermedia dei polmoni, ed infine con il residuo di possibilità d’aria si gonfia la parte alta sottoclavicolare con innalzamento delle spalle. A questo punto i polmoni sono completamente pieni d’aria e vanno tenuti così più a lungo possibile, poi si esala lentamente procedendo al contrario: svuotando prima la parte alta, poi la mediana ed infine quella bassa spingendo con l’addome, rialzando il diaframma; il tutto cercando di mantenere costante il flusso di aria sia in entrata che in uscita. Questo tipo di respirazione non è necessario per suonare i fiati, dato che richiede molto tempo per essere eseguito, ma risulta estremamente interessante ed utile per migliorare le capacità respiratorie e durante le esecuzioni con lo strumento. La tecnica della respirazione circolare Inizialmente sarebbero necessari alcuni esercizi per sviluppare i muscoli delle guance ed iniziare a coordinare lo sgonfiamento delle stesse simultaneamente alla presa d’aria attraverso il naso. Pertanto è utile imparare a gonfiare le guance e tenerle in pressione come se si avesse dell’acqua in bocca e respirare normalmente con il naso. Questo fortifica e dilata muscoli che non usiamo normalmente e nello stesso momento permette di separare il processo del respiro dal contenuto presente nella bocca sia esso aria o acqua. Ora è necessario legare insieme i due processi: cioè svuotare la bocca dall’aria facendo vibrare le labbra, e nello stesso momento respirare aria con il naso. Riepilogando la prima fase del processo avremo la sequenza: a) prendere un respiro leggero con il naso; b) trattenere il respiro; c) gonfiare le guance; d) svuotare l’aria tenuta in bocca facendo vibrare rumorosamente le labbra e nello stesso momento respirare con il naso; e) esalare dal naso; f) rigonfiare le guance; g) svuotarle rumorosamente dall’aria mentre si tira su con il naso; h) respirare di nuovo. Respirazione nasale, movimento di gonfiamento delle guance, movimento di sgonfiamento con vibrazione delle labbra eseguito insieme al respiro con il naso, diventano automatici e continui. Sviluppo attraverso cinque differenti tappe: utilizzando la respirazione addominale prendere un respiro profondo; trattenere in bocca più aria possibile in pressione; rilasciare la restante aria presente nei polmoni attraverso il naso, mentre si continua a tenere le guance in tensione con l’aria dentro; prendere un altro respiro addominale attraverso il naso; esalare tutta l’aria attraverso la bocca. Questa sequenza è fondamentale per l’apprendimento e deve essere eseguita in modo scorrevole e continuo senza dover più pensare alla differente scelta tra l’esalazione dal naso e quella dalla bocca. Se riassumiamo tutta la sequenza delle tappe necessaria alla esecuzione del processo respiratorio in modo circolare, avremo: prendere un respiro addominale; mandare dai polmoni nella bocca gonfiando le guance molta aria per tenerle in tensione e farla uscire controllando la pressione in uscita rumorosamente; prendere respiro, sempre addominale, attraverso il naso, mentre usando i muscoli delle guance si spinge fuori ancora l’aria dalla bocca rumorosamente; tornare subito al diaframma prima che tutta l’aria contenuta nella bocca sia stata espulsa e tenere costante il flusso di uscita di aria sempre dalla bocca. Inserendo le labbra rilassate nell’imboccatura dello strumento è necessario fare attenzione che non ci sia dispersione di aria, per questo è utile applicare sull’imboccatura dello strumento della cera d’api utile anche per non farsi male. Inoltre si deve prestare attenzione a non comprimere troppo lo strumento verso la bocca per non indolenzire le labbra impedendo la circolazione nei capillari ed essere costretti a rinnovare l’imboccatura smettendo di suonare. La sequenza utile è la seguente: prendere un respiro addominale, gonfiare le guance, rilasciare l’aria dal naso tenendole sempre tese e subito dopo riprendere il respiro dal naso mentre le guance vengono schiacciate forzatamente facendo uscire l’aria. Se l’imboccatura dello strumento è stata presa bene, l’aria certamente lascerà uscire un suono accettabile. Esecuzione del processo completo: inserire le labbra nello strumento prendere un respiro addominale completo suonare la nota di bordone, utilizzando metà circa dell’aria presente nei polmoni gonfiare le guance utilizzando l’aria presente nei polmoni forzare i muscoli delle guance comprimendole e nello stesso momento aspirare aria con il naso ritornare al supporto del diaframma forzando l’aria dai polmoni continuando sempre a produrre il suono di bordone. Per non incorrere in problemi di iperventilazione, con conseguente sensazione di testa vuota per il troppo ossigeno accumulato, se non si riesce a compensare lasciando uscire dell’aria dal naso mentre si suona, è utile per riposarsi effettuare un suono lungo fino a consumare tutta l’aria accumulata e successivamente ricominciare a prendere respiri addominali più brevi dal naso, cercando di rilassarsi senza forzare nella velocità del ritmo circolare. È necessario rinnovare ogni tanto l’imboccatura delle labbra, sia per allentare la pressione su di esse e permettere al sangue di circolare liberamente, sia per migliorare il suono che nel frattempo potrebbe essere diventato cupo e ovattato a discapito dell’udibilità degli armonici. Durante le proprie esecuzioni ogni tanto può essere consigliabile imparare a fare suoni staccati di varia durata permettendo l’allentarsi della pressione sulle labbra. E poi dobbiamo accettare che non è possibile suonare all’infinito! Strumenti che utilizzano la respirazione circolare
Strumenti tradizionali e loro distribuzione geografica A) Clarinetti ad ancia semplice battente (Sachs, C., 1996): sono caratterizzati dall’intaglio di una linguetta rettangolare (a tegola) praticata con una incisione direttamente sulla canna. Possono essere singoli, doppi o tripli. Quelli doppi e tripli sono sempre legati tra loro senza distanziarsi, con l’eccezione delle launeddas. Arghoul: (o yarghul) clarinetto doppio o anche triplo con bordone senza fori lungo anche 2m (Egitto). Nelle molte varietà presenti assume nomi diversi nei differenti paesi: mizmar in Siria, zamr in Marocco, Tunisia, çifte a Creta, alboka in Euzkadi, tulum in Turchia, xeremies ad Ibiza, masul nel Golfo Persico, zummarah (clarinetto doppio di uguale lunghezza ed identico numero di fori) in Tunisia; zammara (Iran), zumr (Magreb); alghoza, clarinetto doppio di eguale misura in India e Pakistan, aghanon in Marocco, alboka nei Paesi Baschi; argun in Turchia; balaban in Iran e Turchia. Tutti questi strumenti si suonano tradizionalmente con la respirazione circolare. Aulos: (Grecia e Roma antica) raffigurati sui vasi greci e romani, potevano essere di tipo doppio frigio con le due canne di lunghezza differente, o doppio lidio con le due canne di eguale lunghezza. Queste misure erano distinte dai greci in soprani, contralti, tenori e bassi (Henderson, I., 1962; Sachs, C., 1996; Baines, A., 1967). Benas: (Sardegna, Italia) oggi quasi completamente scomparse, erano più rozze e meno evolute delle launeddas; potevano essere semplici, con una sola canna, doppie, o triple, con fori rotondi e non più lunghe di 35 cm (Lallai, G., 1997; Leydi, R., Guizzi, F., 1994; Spanu, G., 1998). Launeddas: clarinetto triplo ad ancia a tegola; due elementi legati insieme ad angolo acuto ed uno libero. (Sardegna, Italia), (Lallai, G., 1997). B) Trombe (o corni) ad imboccatura terminale e laterale senza bocchino separato. Adharc: corno alto dell’età del bronzo, ad imboccatura laterale. (Irlanda) (Schaeffner, A., 1978). Dord Ard: corno tenore dell’età del bronzo ad imboccatura terminale. (Irlanda). (Schaeffner, A., 1978). Dordiseal: corno basso dell’età del bronzo ad imboccatura terminale. (Irlanda). (Schaeffner, A., 1978). Per questi tre strumenti, nel 1988 Simon O’Dwyer ha scoperto che pote-vano essere suonati con la stessa tecnica del didgeridoo (vedi CD Reconciliation, 1993; Magowan, F., 1997). Didgeridoo: (Arnhem Land, Australia). Dung: (Tibet) tromba composta di tre segmenti inseriti e incastrati l’uno nell’altro, lunga anche oltre i quattro metri; in rame rosso, a forma dritta, a volte con decorazioni in oro e argento. Produce suoni pedale o grida (Sachs, C., 1940, p.246). Karakara: tromba aborigena australiana in legno ad imboccatura terminale ricavata da un ramo cavo lungo circa 50 cm, che produce suoni cupi e sordi, imitando la voce dell’emu. È utilizzata come maschera acustica (Eberle, O., 1966, p.545). Kangling: corno ad imboccatura terminale ricavato da un femore umano (Tibet). Ulbura: (popolazione Aranda, Australia), tromba in legno con voce fioca, usata per la sveglia al mattino prima della caccia (Eberle, O., 1966, p.571). C) Corni africani: generalmente ricavati dalle zanne di elefante o dalle corna di antilope, ma anche da grossi rami di legno scavati. Classificati come “primitive labrosones” termine alternativo e più pratico per strumenti a vibrazione labiale (Baines, A. p.40, 1976). D) Oboi ad ancia doppia. Sono caratterizzati da un’ancia doppia costituita da due linguette di canna la cui parte inferiore viene fasciata così da formare un tubicino che viene inserito nell’apertura alta dello strumento. L’estremità superiore dell’ancia composta, presenta, vista dall’alto, una piccola fessura ovale, il suono si produce quando l’aria entrando mette in vibrazione le due linguette chiudendole e discostandole velocemente tra loro (Sachs, C., 1996). Alghaita: (o Alghaida), a campana terminale e quattro fori per le dita; è costituito da due parti staccabili collegate da una piccola catenella. L’ancia è inserita in un tubicino di metallo dove è saldato un disco che serve all’esecutore per un più efficace ritorno di pressione durante la respirazione circolare. Presente in Africa Occidentale, popolazioni Hansa e Peul, della regione attorno al lago Ciad e al corso inferiore del Niger, chiamato zukrah in Libia e Tunisia (Bebey, F., 1969, p.76 e 124). Ciaramella: strumento popolare in Italia (Cinque, L. 1977). Duduk: (Armenia) di forma cilindrica, possiede 9 fori e viene costruito in legno di albicocco in tre grandezze, 28, 33 e 40 cm., con un’ancia lunga rispettivamente di 9, 12 e 14 cm. , controllata per la sua apertura da una fasciatura in legno. È uno strumento diatonico con l’ampiezza di suono di una sola ottava. È molto diffuso anche in Turchia con il nome di mey. Ghaita: con altre varietà, nay zunami, buq zamri in Marocco e Algeria. Gyaling: (Tibet) Nadaswaram: (India del sud) Serunai: (Malesia) Shanai: (India) Surnay: (Medio Oriente, Africa del Nord e Occidentale), chiamato anche Surnaya (Iran), Zurna o Zourna (Turchia). Shawn:(Europa del Nord) della famiglia simile ai cromorni, con ancia doppia interna ricoperta da un cappuccio a camera d’aria. Pungi: doppio clarinetto ad ancia interna, costituito da due canne inserite in una zucca con funzione di camera d’aria, usato dagli incantatori di serpenti, chiamato anche Tiktiri in sanscrito (India). E) Flauti dritti e traversi Kaval: (Bulgaria) Narh: flauti indiani nella provincia del Rajasthan. Strumenti moderni Alcuni strumenti moderni a fiato possono avvalersi di questa stessa tecnica, ed attualmente la utilizzano quando si rende necessaria la ripresa del respiro senza dover interrompere la continuità di una frase musicale (Kynaston, T.P., 1978; Dick, R., 1987; Boubaker, H., 1999). 1) Famiglia sassofoni e clarinetti ad ancia semplice, sassofoni: sopranino, mezzo soprano, soprano, contralto, tenore, baritono; clarinetti: Sib, contralto, basso. 2) Famiglia oboi ad ancia doppia: oboe, corno inglese, oboe d’amore, baritono, e legni sempre ad ancia doppia: fagotto, controfagotto, bombarda. 3) Famiglia degli ottoni: corno, tromba, cornetta, flicorno, trombone, bassotuba. 4) Famiglia dei flauti traversi e dritti: flauto, ottavino, flauti dolci, flagioletti. L’applicazione della tecnica della “respirazione circolare”, ai vari strumenti moderni presenta alcune difficoltà a seconda della famiglia di appartenenza e a seconda a volte della grandezza dello strumento all’interno della stessa famiglia. Il problema riguarda la resistenza dovuta al ritorno della pressione. Se si hanno le labbra chiuse e le guance piene d’aria avremo un massimo di resistenza della pressione dell’aria, ma al momento che inseriamo tra le labbra il bocchino di uno strumento questa resistenza si riduce parecchio e siamo costretti ad aumentare il controllo sia sull’imboccatura che sull’emissione dell’aria. La presenza delle ance favorisce il ritorno della pressione e sarà più semplice applicare questa tecnica agli strumenti della famiglia degli oboi che hanno un’ancia doppia. Le difficoltà non aumenteranno di molto con i sassofoni e i clarinetti che hanno un’ancia singola, mentre per gli ottoni ad ancia labiale, più lo strumento è piccolo come la tromba, più sarà agevole rispetto ad esempio alla tuba. Al contrario con i flauti sia dritti che traversi questa risulterà molto difficile in quanto la stessa imboccatura presenta una resistenza naturale quasi nulla (Dick, R., 1987). CR
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