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LA DIFFUSIONE DELLA CULTURA NOMADICA
DEGLI ABORIGENI AUSTRALIANI

Tesina in Geografia Politica di Noemi Pierdica©


Università degli Studi di Trieste
Facoltà di Lettere e Filosofia
Corso di Laurea in Scienze e Tecniche dell’Interculturalità
Anno Accademico 2003-2004


Introduzione

Questo breve elaborato scritto ha come scopo, quello di approfondire il tema della diffusione della cultura nomadica degli aborigeni australiani.
Per fare ciò bisogna, necessariamente, tener conto delle vicende storiche e politiche che hanno attraversato l’Australia negli ultimi 150 anni, ossia dalla sua scoperta.


LA DIFFUSIONE DELLA CULTURA NOMADICA DEGLI ABORIGENI AUSTRALIANI.

Il termine “aborigeno” deriva dal latino ab origine, che significa “sin dalle origini”.
Storicamente, gli aborigeni australiani giunsero nel continente australiano più di 50.000 anni fa. All’epoca erano suddivisi in oltre cinquecento popoli diversi, ognuno con una propria lingua e territorio e a loro volta divisi in diversi clan.
Va precisato però che, quelli che vengono generalmente identificati come aborigeni, sono in realtà, una serie di popolazioni che hanno caratteristiche affini, ma non identiche. Questo è dovuto alla vastità dell’isola- continente che hanno popolato per migliaia di anni.

La maggior parte degli indigeni dell’Australia è stata costretta ad abbandonare i luoghi nativi per andare ad abitare ai margini delle grandi città, ma un certo numero di tribù e di clan vive ancora nelle boscaglie (il cosiddetto bush), sulle coste e nei grandi deserti australiani.
Oggi, molti pensano agli aborigeni australiani come nomadi del deserto, ma in realtà la maggior parte di essi viveva originariamente in comunità semistanziali lungo la costa, dove il cibo era più abbondante, coltivava e irrigava la terra e aveva sviluppato tecniche come quella dell’allargamento dei fiumi per l’allevamento dell’anguilla.
Come molti altri popoli indigeni, anche gli aborigeni sono stati decimati dal colonialismo.
Si stima infatti che quando James Cook sbarcò in Australia, nel 1770, nel continente vivesse quasi un milione di aborigeni. Migliaia di questi vennero decimati dalle malattie importate dai coloni britannici. I nativi, infatti, non avevano nessuna resistenza alle malattie europee: vaiolo, pleurite, sifilide e persino leggere e banali forme di influenza uccisero migliaia di autoctoni. Il problema però è che altre migliaia furono uccise volontariamente e senza pietà dalla crudeltà dell’uomo bianco. William J. Lines nel suo libro Taming the Great South Land, descrive nel dettaglio esempi agghiaccianti della crudeltà dei coloni: aborigeni macellati come cibo per i cani, una donna aborigena costretta a guardare mentre il marito veniva ucciso e poi obbligata a portare la sua testa decapitata appesa al collo, un’altra costretta a fuggire su un albero e poi tormentata da sotto con colpi di fucile finché non morì. La cosa più incredibile è che questo comportamento non fu mai incriminato,bensì incoraggiato. Infatti, si invitava la popolazione colonica al genocidio degli aborigeni.
Le continue persecuzioni, ridussero il numero dei nativi, agli inizi del 1900, a 60.000 individui. Da allora, gli Aborigeni si sono ripresi numericamente e oggi sono circa 250.000.
In passato già altri due popoli avevano visitato costantemente l’Australia per centinaia di anni, con lo scopo di barattare tabacco e altri beni: i Melanesiani e gli Indonesiani. Essi, però, non interferirono mai con la vita delle popolazioni indigene.

Nel 1966 gli Aborigeni iniziarono a lottare per ritornare in possesso della loro terra; nel 1967 ottennero la cittadinanza australiana e il diritto di voto; nel 1992 l’Alta corte riconobbe il “diritto nativo” alla proprietà della terra sancito in seguito con una legge del 1996.
E’ generalmente riconosciuto che la cultura aborigena è la più antica conservata in maniera continuativa: nessun popolo sulla terra è vissuto in più ambienti con maggiore successo e tanto a lungo.
Il loro è considerato il popolo invisibile della terra. Questa definizione è dovuta al fatto che non solo si sente poco parlare di questa cultura, ma fino a pochi anni fa non esistevano nemmeno degli studi o dei libri che narravano la loro storia, la loro organizzazione sociale, o altro. Esistevano solo degli accenni di viaggiatori ed esploratori, nelle loro lettere o nei loro diari, su queste tribù primitive che riuscivano a vivere in ambienti davvero poco ospitali. A dimostrazione di ciò basti pensare che fino al 1967 il governo australiano non li includeva nemmeno nei censimenti nazionali: in altre parole, non li considerava come persone.
Di fatto però, nel 1938 successe qualcosa che impedì ai coloni di uccidere gli aborigeni in modo del tutto legale. In quell’anno infatti, un giornalista di Sidney, Edward Smith Hall, cominciò a raccontare ciò che stava succedendo in Australia e in particolare, ciò che era successo a Myall Creek. Sempre nel 1838 a Myall Creek una tribù aborigena, conosciuta da tutti come pacifica, venne trucidata senza motivo da un gruppo di bianchi. L’episodio è particolarmente importante perché i bianchi responsabili del massacro furono impiccati. Da quel momento i coloni non smisero di uccidere gli aborigeni, ma per lo meno non potevano più vantarsene nei pub e in un certo senso gli omicidi diminuirono.

Uno dei problemi principali per quanto riguarda la conoscenza e lo studio di questo popolo, è che non esiste nulla di scritto sugli aborigeni dal punto di vista personale. Infatti, tutto quello che esiste sulla loro storia riguarda l’uomo bianco. Ciò è inoltre aggravato dal fatto che gli aborigeni non posseggono alcun tipo di scrittura e tutto è tramandato oralmente. Ovviamente, con il genocidio sono andate perdute molte storie e molti aneddoti.
Tutti gli archivi sugli aborigeni sono tenuti segreti dalla polizia e soltanto negli ultimi anni è possibile fare delle ricerche in questo senso.
In Australia, migliaia di famiglie aborigene furono distrutte dalla politica del governo che, negli anni ’50- ‘60, toglieva loro i figli generati da padre bianco.
Soltanto nel 1997 la Commissione per i diritti umani e le pari opportunità ha reso pubblici i risultati dell’inchiesta sulla separazione dei bambini aborigeni dalle loro famiglie.
Qualche anno dopo, nel 1999, entrambe le camere del Parlamento hanno approvato un’ufficiale ammissione di responsabilità per l’operato dei passati governi australiani nei confronti degli aborigeni.

Per i nativi australiani non esiste una netta demarcazione tra natura e cultura e i due ambiti si sovrappongono e si identificano dato che la natura, è , per loro, il risultato di un processo mistico e culturale che deve essere sempre onorato.
In poche parola tutta l’Australia è per gli aborigeni un luogo sacro. Questa visione del mondo naturale da parte degli aborigeni, è stato un appiglio per alcuni australiani bianchi in tempi recenti. Questi, infatti, accusano gli aborigeni di inventarsi i luoghi sacri solo per ottenere delle terre.
Di fatto però, la restituzione di alcune terre agli aborigeni è molto recente. Qui di seguito vengono riportate alcune date:
1976 : l’Aboriginal Land Rights Act sancisce per le popolazioni indigene del Northern Territory il diritto di proprietà inalienabile delle terre che un tempo erano state loro riserve.
1981: il governo federale del South Australia restituisce 102.630 kmq alla comunità aborigena Pitjantjatjara.
1984: più di 76.000kmq nei pressi di Ma ralinga (Western Australia) vengono restituiti alla popolazione aborigena.
1985: vengono restituiti alla popolazione aborigena Mutitjuulu dei territori che comprendono il Monte Olga ed Ayers Rock/Uluru, uno dei posti più sacri in assoluto per i nativi.
1992: con la sentenza Mabo, la Corte suprema australiana toglie di fatto ogni legittimità all’espressione terra nullius fino ad allora utilizzata per legittimare l’appropriazione inglese e in seguito australiana, dei territori aborigeni.

Il loro essere nomadi è stato limitato non solo dal colonialismo e dal genocidio perpetuato per circa 150 anni, ma in generale dall’urbanizzazione e dall’espropriazione delle loro terre.
La diffusione della cultura nomadica aborigena è stata da sempre repressa e ostacolata.
C’è stata e c’è tutt’ora, una spinta verso l’inurbazione dei nativi e dell’acculturazione in forma occidentale, pur se con un riconoscimento da parte del governo degli aborigeni come primi e antichi abitanti dell’Australia.
Del resto, questa sembra essere una conclusione del tutto ovvia visto il modo in cui loro (e la loro cultura), sono stati trattati.
Con tutte le vicende storiche da noi narrate nelle pagine precedenti, questa risulta essere una deduzione logica.
Il problema principale però, risiede nel fatto che questa gente è nomade. Il loro spirito lo è profondamente.Il loro rapporto con gli antenati totemici, con il cielo e la terra, con gli spiriti, l’universo e la natura erano così forti che oggi questo popolo antichissimo si è smarrito.
Il popolo aborigeno conobbe malattia e violenza e ne fu sopraffatto. Le relazioni sociali tra clan e clan, tribù e tribù vennero distrutte e gli aborigeni smarrirono le loro Vie.
Delle oltre duecento lingue aborigene, oggi ne sono rimaste soltanto dieci, e si suppone che scompariranno presto.
Alcuni di loro hanno darsi alla morte, attraverso il suicidio di massa, per non soccombere alla violenza bianca o all’alcol.
Sono pochi quelli che ancora oggi vagano liberi nel loro ambiente naturale: il bush. E questi non vogliono essere trovati.
Altri hanno ceduto e hanno perso la loro identità. Si sono urbanizzati, ma non c’è posto per loro nelle grandi città ricche e prospere. Vivono ai margini e sono dediti all’alcol. I ragazzi aborigeni sono lasciati a se stessi, il supporto della famiglia (di solito i genitori sono alcolizzati) o del clan non esiste più e, di conseguenza, infrangono le leggi.
La maggior parte dei detenuti nelle carceri australiane sono aborigeni e la loro identità sta scomparendo.
Altri, hanno deciso di estinguersi. Secondo i saggi, la Madre Terra sta morendo e quindi non c’è più posto per loro, in un mondo che non li vuole e che non sopravviverà a lungo. Questo è l’unico esempio, di cui siamo a conoscenza, di una minoranza che invece di lottare per la propria sopravvivenza, ha deciso di estinguersi per non soffrire più.
Altri invece hanno deciso di riappropriarsi della propria identità culturale e hanno deciso di organizzare un broadcasting aborigeno.
A questo proposito è nata CAAMA, un tv prodotta e gestita autonomamente da uno staff aborigeno, con sede a Alice Springs, che si occupa della conoscenza delle lingue e della cultura nativa.
Anche ABC Australia, la tv nazionale australiana, da qualche tempo, dedica spazio alla divulgazione della cultura nomadica aborigena, alla loro storia, alla loro arte, ai loro diritti.
Possiamo sicuramente affermare che, con questa programmazione televisiva autoctona, si cerchi di difondere via satellite la cultura aborigena.

Solo la loro arte li ha riscattati dall’oblio in cui erano caduti e ha ridato loro un po’ di dignità.
La diffusione della loro cultura nomadica è, in un senso molto ampio, stata fatta anche con la conoscenza mondiale delle loro arti figurative e della loro poesia.
L’espressione artistica che più ha contribuito a sostenere l’interesse nazionale per queste popolazioni è legato alle arti figurative, il cui inconfondibile design è stato spesso usato per conferire australianità.
Già alla fine degli anni venti cominciò lentamente a manifestarsi un interesse per la cultura aborigena, come attesta la prima mostra di Primitive Art organizzata a Melbourne nel 1929, ma bisognò aspettare il 1957 perché due antropologi organizzassero la prima vera mostra sull’arte aborigena, con criteri scientifici rispettosi delle varie differenze espressive che intercorronoo da luogo a luogo. La mostra era intitolata Art of Arnhem Land.
Per gli aborigeni non esiteva e non esiste tuttora, una vera differenza tra artigianato e arte e i dipinti, sia che essi siano eseguiti su roccia, su tele ricavate da cortecce d’albero, o semplicemente come elementi decorativi di lance, didjeridoo e boomeran). Tutto ciò rientra in un complesso di rappresentazioni della terra che sono allo stesso tempo rappresentazioni del sacro e della quotidianità, così come il body painting, pratica molto amata dagli occidentali, ma con un significato artistico cerimoniale.
Agli occhi di un occidentale parte del fascino di queste opere deriva dal concetto tutto europeo di “primitivismo”, che porta con sé l’idea di una statica fissità nel corso dei millenni.
L’occidente spesso si dimentica di tenere in considerazione il fatto che l’arte aborigena sia stata probabilmente una delle prime al mondo a manifestarsi e che, in virtù del suo isolamento rispetto alle altre civiltà, essa abbia acquisito un indiscutibile carattere di unicità.


CONSIDERAZIONI FINALI

Riprendendo il titolo dell’elaborato, possiamo concludere affermando che la cultura nomadica aborigena è stata fin da subito ostacolata dagli occidentali, il cui intento era quello far estinguere questa popolazione.
A tutto ciò si è posto fine nell’ultimo ventennio con la programmazione di enti televisivi (privati e non) che si occupano della promulgazione della storia e della cultura aborigena, con la nascita di organizzazioni no-profit che si battono per il riconoscimento dei diritti, della storia e delle tradizioni aborigeni e che si occupano della ricostruzione della loro identità etnica.
Anche l’arte, apprezzata solo dal 2° decennio del XX secolo, sembra aver ridato dignità a questo popolo.


BIBLIOGRAFIA

BARALDI M., L’ultima terra: la cultura australiana contemporanea, Carocci, Roma, 2002
CHATWIN B., Le vie dei canti, Adelphi, 1995.
DEL FABBRO A., Atlante dell’uomo. Popoli Tribali, Destra, 1999.
MORGAN S., La mia Australia, Bompiani, 1999.(Titolo originale: My place, 1987)
ORLANDI C., Mondo degli Aborigeni, Iniziazioni Mediterranee, Roma, 2003.


SITOGRAFIA

http://www.caama.com.au          CAAMA Production

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