"La Mia Australia" di Sally Morgan.
………"Un giorno, mentre stava lavando i piatti, affrontai mamma. -Che significa: "Da dove venite?". -Significa da quale paese. I ragazzini a scuola vogliono sapere da quale paese veniamo. Secondo loro non siamo Australiani. Mamma, siamo Australiani? Mamma rimase in silenzio. Nan grugnì in modo risentito, poi si alzò e uscì. -Dai mamma, che cosa siamo? -Che cosa dicono i ragazzi a scuola? -Tutto. Italiani, Greci, Indiani…….. -Digli che siete Indiani." Sally, giovane donna australiana scopre, dopo alcuni strani sospetti di essere aborigena e non indiana come le è sempre stato fatto credere. Con un pellegrinaggio emotivo e spirituale in un mondo di enorme ricchezza, attraverso la saga intima e drammatica della sua famiglia "nera", l'autrice ci svela la storia di un intero popolo e del suo genocidio. La ricerca delle proprie radici e della propria identità negata porta la Morgan a restituirci la versione "nera" della Storia: a parlare dei "non esistenti" in quanto abitanti della "Terra di Nessuno", a scoprire un razzismo radicato nei confronti degli Aborigeni, veri e propri "negri d'Australia" e a rivendicare con fierezza il patrimonio spirituale del suo popolo. Gli Aborigeni australiani furono uccisi, schiavizzati, rapiti spesso fin da bambini per essere "educati" e "assimilati" alla cultura bianca, per questo lasciati all'oscuro delle proprie origini e privati della propria famiglia. Dalla metà degli anni '80 però, alcuni loro discendenti, come la protagonista di questo romanzo, hanno intrapreso un cammino a ritroso per rintracciare le proprie radici culturali e familiari. Pubblicato per la prima volta nel 1987, dunque contemporaneamente al testo: Le Vie dei Canti di Chatwin, il libro presenta un punto vista assolutamente diverso: la Morgan offre per la prima volta un punto di vista "altro". Non dunque una voce bianca e anglosassone, ma una aborigena che guarda alla storia della sua famiglia e a quella del suo popolo. L'immagine che ne scaturisce è quella di un mondo aborigeno schiacciato e calpestato nella sua dignità. Intorno agli anni '30 gli Aborigeni sopravvissuti all' arrivo degli occidentali vennero riuniti ai confini delle città e all'interno di missioni o di riserve nel tentativo di condannare a una sorta di estinzione programmata coloro che non avessero avuto almeno una parte di sangue bianco nelle proprie vene. Il passaggio dalla non consapevolezza del proprio passato culturale ad una presa di coscienza della propria identità, si realizza, nel testo della Morgan, non tanto in un'accusa diretta al mondo dei bianchi, quanto in una presa di coscienza del dolore proprio e di quello dell'intero popolo aborigeno. Salvare la propria identità significa poter finalmente dichiarare l'indipendenza dal retaggio culturale occidentale. La cultura aborigena viene, infatti, spogliata qui dei tratti negativi legati ad un'interpretazione eurocentrica degli eventi storici. Ritrovare la propria identità culturale e affrontare il passato significa uscire fortificati dal processo di conoscenza del dolore, ed equivale a valorizzare l'identità di un intero popolo. Il fatto che alla fine del Novecento una donna australiana rivendichi le proprie origini aborigene ed anzi si faccia portatrice dei valori della sua gente, diventa un punto di arrivo assai significativo all'interno di questa ricerca. Il fatto che il governo liberale si sia rifiutato di formalizzare le proprie scuse alla popolazione aborigena, in seguito agli eventi legati alla "Stolen Generation", dimostra come la questione aborigena sia tuttora irrisolta. "La verità è che alle persone è stata rubata parte della loro vita. Non saprò mai chi era mio nonno, la mia bisnonna e queste sono cose che non potranno mai essere riparate. E' stato difficile staccarmi dal mio popolo. Vivevo in una piccola comunità e in grandi spazi. Correre era la cosa più naturale. Quando il mio padrino ha capito che avevo qualità per fare atletica a mi ha iscritto a un club, sono andata a vivere a Brisbane ed è stato uno choc. E' stato durissimo sentirmi così diversa . Ma l'atletica mi ha fatto poco alla volta più forte. Ciò che mi fa arrabbiare è che il governo nega di aver commesso qualcosa di sbagliato, di aver rubato un intera generazione". Sono parole dure quelle pronunciate al settimanale britannico Sunday Telegraph dalla campionessa mondiale dei 400 metri Cathy Freeman. I leaders della comunità aborigena australiana, circa 300.000 persone, hanno plaudito le dichiarazioni di Cathy Freeman e chiesto ancora una volta al governo di presentare per lo meno le proprie scuse in merito alla "Stolen Generation". In Gran Bretagna, invece, c'è qualcuno che ha gia riconosciuto quello che l'esecutivo di John Howard non vuole riconoscere: sono i linguisti del prestigiosissimo Oxford Dictionary, che hanno inserito "Stolen Generation" tra i nuovi termini, nonostante le titubanze di Canberra. My place, risulta una autobiografia squisita, un romanzo privo di retorica, un libro che sfiora nella sua semplicità la delicatezza di un canto. E' una storia tutta al femminile, di grande intimità, che racconta la saga drammatica dei Corunna: una famiglia aborigena che, senza vanità, rivendica il patrimonio della memoria obliata di un popolo. Negli anni '30 del secolo scorso nella civilissima Australia governata dai bianchi, le donne aborigene venivano sfruttate come serve dalle famiglie vittoriane, i bianchi approfittavano sessualmente di loro e i figli meticci venivano portati via alle madri nere. L'uomo bianco ha inventato figure astratte di autorità, leggi e diritti da contrapporre al diritto naturale dei genitori sul proprio nato, nell'imperativo assurdo dell'assimilazione, nella volontà di cancellare ogni passato "aborigeno". La Generazione Rubata ha creato uno shock irreversibile sull'identità di questo popolo; si potrebbe parlare di genocidio: ogni bambino strappato al seno materno ha diminuito le possibilità della comunità di perpetuarsi. Questa è la storia della perdita di identità di un intero popolo, è la storia di una generazione rubata e traslocata in case-collegi-orfanotrofi, prigioni "dorate" della diabolica macchina dell'assimilazione. Sally Morgan nasce il 18 Gennaio 1951 in uno dei sobborghi di Perth, vive un'infanzia difficile, sia a causa di una precaria salute fisica, sia per il conflittuale rapporto tra il padre e la madre, dovuto alle ripercussioni negative che la guerra aveva lasciato nella mente del padre Bill, il quale alternava continuamente momenti di apparente serenità a momenti di completa depressione. Il ricordo della guerra era diventato l'incubo che accompagnava Bill continuamente, e che egli cercava di scacciare facendo uso incondizionato di alcool. L'unico tentativo per distoglierlo dalla dipendenza era rappresentato dai soggiorni in ospedale, i quali finivano per essere un palliativo per una mente troppo minata. Ogni notte Bill riviveva l'esperienza delle bombe, in incubi che lo rendevano estremamente violento e minaccioso nei confronti dei suoi cari. L'infanzia di Sally è segnata dalla paura, dal terrore di una possibile violenza nei confronti della madre, della nonna, e dei suoi fratelli da parte del padre ammalato. Sally cresce velocemente, si fa matura e responsabile, costruisce passo dopo passo la sua personalità di donna; non capisce perché il padre rifiuti la presenza della nan Daisy, che si occupa di loro, nonostante l'amore dei nipoti verso la donna sia immenso. Bill in realtà è geloso, vorrebbe che i figli fossero legati a lui, ma è una pretesa difficile da accontentare, visto il suo comportamento destabilizzante. Egli rifiuta la presenza di Daisy perché è aborigena e, in assenza della moglie, ferirà molto spesso la suocera, definendola "A bloody nigger"; Sally è ancora all' oscuro di tale verità, Mum Gladys, le aveva detto che la loro origine era indiana. La morte del padre anziché lasciare, come solitamente avviene, un vuoto incolmabile in famiglia, rappresenta la fine di ogni tensione, di ogni paura, apre la strada ad una vita che d'ora in poi si svolgerà tutta al femminile. Le figure di mum Gladys , ma soprattutto di una misteriosa ma tenera e sensibile nan Daisy, sono estremamente significative nella vita dei cinque ragazzi; è nan che si occupa di loro, mentre Gladys è a lavoro, è lei che alimenta nei ragazzi l'amore per la natura, gli animali ed il bush. Nonostante tutto alcuni comportamenti di nan rimanevano incomprensibili ai nipoti, ella provava una specie di avversione per i dottori e le cure mediche in generale, cui opponeva sempre le sue old cures. Sally prova una grande avversione per la scuola e l'unica vocazione della sua vita sembra essere la pittura. Il punto di svolta della sua vita e di tutto il romanzo avviene quando, tornata da scuola trova nan piangente che grida: "You bloody kids don't want me, you want a bloody white grandmother. I'm black. Do you hear, black, black, black" Sally vede la realtà con nuovi occhi: nan è aborigena! Come Saulo sulla via di Damasco, è folgorata dalla nuova origine e, come un segugio, inizia l'impresa di voler scoprire la sua identità. Intanto si iscrive all'università, ottiene una laurea in "Arts" e si specializza in psicologia, si sposa con Paul Morgan e continua a tornare periodicamente nella casa materna, con l'ossessione di rintracciare le sue origini, di scoprire la sua identità. Il nuovo punto di svolta sarà l'arrivo di Arthur Corunna, fratello di nan, che inizia a frequentare la famiglia e fornisce a Sally la chiave di lettura per accedere al misterioso passato di nan. All'inizio del 1979 Sally deciderà solennemente di scrivere un libro, un libro che narri: "The history of my own family". Inizierà la ricerca esaminando le fonti storiche e scoprendo la dura verità riguardante le nefandezze ed aberrazioni perpetrate nei confronti della popolazione aborigena. La rabbia per le condizioni del suo popolo la spingono a far finalmente conoscere a tutti tanta violenza inflitta gratuitamente, la violenza che ha subito la sua stessa famiglia. Il titolo rende bene l'idea della ricerca spirituale di Sally, l'Australia sta cambiando, Sally non si vergogna delle sue origini, ben presto induce la madre a parlare della sua storia: la storia di Gladys Corunna, quindi zio Arthur, e infine, nan o meglio Talhaue che rompe il suo silenzio, protratto per tutto il libro, quando il canto dell'uccello l'avvisa che la morte è vicina e le ridona l'orgoglio e la dignità cercati in tutta una vita. My place è un libro veramente commovente, alterna tratti intimi a vere e proprie analisi delle ingiustizie sofferte dagli Aborigeni; su tutto il testo si sente la pesantezza della tradizione vittoriana, l'odore delle guerre, degli ospedali e dei collegi, ma il sole non tramonta mai, la fuga verso la boscaglia è sempre a portata di mano e, anche nei momenti più difficili, il dolce scorrere di un ruscello dà la forza di andare avanti. …… "Ormai jill e io avevamo molti amici all'università. Per tutta la vita la gente ci aveva chiesto di che nazionalità fossimo, molti presumevano che fossimo greche o italiane, ma noi avevamo sempre risposto indiane. Adesso, quando ce lo chiedevano, dicevamo: Aborigeni". Luca Moretti morettiluca77@hotmail.com |