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IL RAPPORTO FORMATORE DI CORPO E PAESAGGIO NELLA CULTURA ABORIGENA AUSTRALIANA IN RIFERIMENTO ALLA PRATICA RITUALE MUSICALE

di Alberto Furlan

Capitolo Quarto

Il rapporto formatore di corpo e paesaggio


4.1 Introduzione

4.2 Spazio e tempo

4.2.1 Spazio produttivo

4.2.2 Spazio sociale

4.2.3 Spazio affettivo

4.2.4 Spazio mitologico

4.3 Posto e corpo

4.3.1 Il posto, nuovo soggetto ontologico

4.3.2 Posto come unione di spazio e tempo

4.3.3 Il corpo nel posto, il posto nel corpo

4.3.4 Il corpo come soggetto conoscitivo

4.3.5 Corpo, posto e movimento

4.4 Paesaggio aborigeno

4.4.1 Paesaggio come storia: la sua lettura immagine del Sogno

4.4.2 Paesaggio come produttore di identità, conoscenza e legge

4.4.3 Il potere nel paesaggio, il paesaggio del potere

4.5 Il corpo aborigeno

4.5.1 Il corpo sociale e la descrizione dell’universo circostante

4.5.2 I segni del corpo, il corpo dei segni

4.5.3 Il corpo nel mondo, la sua azione e le sue tracce

4.6 Il rapporto formatore di corpo e paesaggio

4.6.1 Il Circolo virtuoso

4.6.2 Incorporazione ovvero

4.6.3 Il segno orma

4.6.4 L’unione di corpo e paesaggio



4.1 Introduzione



Spazio e tempo sono le due dimensioni fondatrici di tutto il cosmo umano; nel presente capitolo ci addentreremo all’interno della concezione che l’uomo ha avuto di queste due categorie seguendo prima una via generale e successivamente incamminandoci lungo lo specifico caso etnografico. Ci accorgeremo di come l’uomo abbia creato una serie di spazi e di tempi propri. Lungo questa analisi ci imbatteremo nel concetto di posto come unione di spazio e tempo e vedremo cosa questa unione implichi ai fini della realtà etnografica. Nella descrizione delle varie differenziazioni di spazio, tempo e corpo introdurremo una base teoretica sulla quale discutere il caso degli aborigeni australiani e vedremo come queste molteplicità si uniscano in un’immagine unica che fonde insieme la psico-fisicità dell’uomo con l’ambiente circostante. Per questo descriveremo il paese aborigeno nelle sue caratteristiche vissute e viventi ossia ci incammineremo attraverso il paesaggio totemico, impronta del Tempo del Sogno, che per sua stessa definizione è l’insieme di molti posti-luoghi rituali di grande importanza. Nel paesaggio, ad immagine del tempo mitico, riscontreremo la presenza dei corpi dei progenitori ancestrali totemici che formano la terra su cui gli esseri umani si muovono. Il corpo dell’uomo si dimostrerà essere il vero tramite per ogni conoscenza possibile e strumento di legame con il paesaggio ed il tempo mitico da cui quest’ultimo è derivato, corpo come sostanza ontologica presente ed “invadente” ogni campo del reale. Importanza sarà data anche ad una fondamentale manifestazione del corpo umano e dei progenitori ancestrali: l’orma. Si proporrà perciò la tesi principale di questa esposizione ossia l’importanza del rapporto formatore di corpo e paesaggio nella cultura aborigena australiana.



4.2 Spazio e tempo



Spazio e tempo sono principi basilari nell’interpretazione della realtà e paradigmi conoscitivi dell’intero universo sensibile. Anche la ricerca antropologica non può prescindere dalla comprensione di queste due dimensioni poiché determinare le coordinate spazio-temporali di una cultura è il primo passo per la comprensione dei suoi aspetti e davvero questi due paradigmi entrano nella costituzione della stessa cultura analizzata. Un certo tipo di antropologia che si occupa dell’uomo in quanto tale, che pone l’attenzione sull’insieme di qualità che lo differenziano dalle altre specie animali, ha indagato spazio e tempo nella loro prima qualificazione, vale a dire nell’uso che l’uomo ne ha fatto, rilevando che proprio queste due dimensioni lo definiscono in quanto tale. “L’addomesticamento” di questi universali ha permesso all’uomo di creare un proprio mondo distante da quello incerto e pericoloso della natura. A questo riguardo si è espresso l’antropologo francese André Leroi-Gourhan che nella sua fondamentale opera “Il gesto e la parola”, ha sottolineato il punto con grande efficacia:

Il fatto umano per eccellenza forse non è tanto la creazione dell’utensile quanto l’addomesticamento
del tempo e dello spazio, vale a dire la creazione di un tempo ed uno spazio umani.


La peculiarità dell’uomo è la possibilità di creare - o meglio adattare - dimensioni assolute alle proprie esigenze, costituendo dei ritmi biologici interni nei quali trovarsi a proprio agio. Il tempo diventa “operativo” ed assume caratteristiche legate alla vita del quotidiano. L’umanizzazione di questo “universale” lo vede adattarsi e trasformarsi in un’istituzione composta da una serie di ritmi ciclici che descrivono la vita dei vari gruppi sociali, il tempo sarà d’ora in poi correlato ad avvenimenti economici come i vari periodi di coltivazione o la presenza di una data specie di animale cacciabile. Il tempo assume valore quantitativo anche nella percezione dello spazio, dire che un posto si trova a due giorni di cammino da un altro è definire temporalmente dimensioni spaziali, significa adattare al mondo esterno una percezione di tempo basata sulla pratica di vita.

Come il tempo anche lo spazio è una costruzione umana, e come il precedente paradigma anch’esso vale ad interpretazione della realtà, la particolare conoscenza dell’ambiente è fondamentale in ogni cultura. La percezione spaziale diventa la lente attraverso cui guardare il mondo, il percorrere lo spazio, il trovarsi nello spazio, sviluppa un modo di conoscenza dello stesso e, come vedremo in seguito, anche una vera e propria ontologia. Come vedremo in seguito trovarsi nello spazio significa essere in un posto; il posto nella recente indagine filosofica di Yi-Fu Tuan e Casey assume caratteristiche ontologiche proprie e si contrappone alla storica concezione di spazio come omnicomprensivo. In più essere in un posto presuppone una presenza di quel corpo che sarà oggetto di attenta analisi anche riguardo all’importanza che assume presso le popolazioni indigene. Su questo punto ancora Leroi-Gourhan:

La percezione del mondo che ci circonda si attua attraverso due vie, l’una dinamica che consiste nel percorrere lo spazio prendendone coscienza, l’altra statica, che permette, da fermi, di ricostruire
attorno a sé i cerchi successivi che vanno attenuandosi fino ai limiti dell’ignoto.


Come sottolineeremo in seguito il primo di questi modi di indagine è caratteristica fondamentale delle popolazioni aborigene australiane che, attraverso la loro particolare mitologia, hanno costruito un mondo che trascende - fondendole - le dimensioni di spazio e tempo per consacrarsi in un’eterna presenza.



4.2.1 Spazio produttivo



La produzione di uno spazio umano proprio non ha seguito una sola direzione, ma si è adattata alle varie esigenze creando una serie di “luoghi” diversi che assolvono ai molteplici bisogni. La prima necessità dell’uomo è quella di sfamarsi, per sopravvivere in un ambiente bisogna organizzare le conoscenze in modo da predisporre le strategie migliori per la produzione alimentare. La prima conoscenza su cui si orienta l’uomo è quella di sé stesso e dell’ambiente in cui è calato, questa capacità indagativa gli proviene dalla sua stessa natura. Quella che potremmo chiamare abilità spaziale è la capacità di relazionarsi attivamente rispetto ad un dato ambiente, è una dote innata dell’uomo che segue gli schemi mentali della sua costituzione. Questa capacità produce conoscenza del luogo, conoscenza che a sua volta, come ci fa notare Yi-Fu Tuan: “accresce l’abilità spaziale”. Ciò che viene prima è alimentato da ciò che viene dopo, questo apparente paradosso è un altro esempio di come la natura umana entri a fare parte di quello che nel precedente capitolo abbiamo chiamato il circolo virtuoso. Come per lo sviluppo delle attività del cervello rispetto alla fisicità della mano, l’uomo non può dimenticare la sua natura animale e quindi in un primo tempo è spinto ad esplorare il mondo ed esperirlo attraverso i suoi sensi, in pratica con il corpo. In un secondo momento le informazioni raccolte andranno a formare un serbatoio di conoscenza che sarà la base per modalità operative successive. Sulla base di questi processi l’uomo organizza la sua produzione alimentare che può essere estremamente variegata. Come esempio ricorderemo il caso dei cacciatori e raccoglitori: numerose indagini etnografiche hanno dimostrato come la loro attività venatoria prenda in considerazione solo un numero limitato di specie animali, e non perché le altre siano sconosciute o non commestibili. La scelta è dettata da una precisa considerazione produttiva del territorio ove appare più economico cacciare solo quelle specie che forniscono una maggior quantità di energia paragonata alle spese fisiche per produrla. Questa classificazione di specie commestibili viene codificata in un insieme di regole che diventano sociali - il tabù di cibarsi del proprio animale totemico ne è un chiaro esempio - e vengono trasmesse nei modi più disparati. Nel caso specifico degli aborigeni australiani possiamo constatare una vera e propria ecologia mitologica, ossia le regole per lo sfruttamento del territorio e delle sue risorse è regolamentato secondo prescrizioni la cui genesi viene fatta risalire ai mitici progenitori ancestrali, per questo si parla di ecologia del Sogno. Le leggende del Tempo del Sogno raccontano di posti particolari in cui avvennero importanti azioni degli antenati totemici che sono diventati siti sacri.

In molte aree i siti sacri sono protetti. Non si può pescare, cacciare, fare riunioni o bruciare la vegetazione all’interno precisi confini. Spesso il sito usato dagli animali per deporre le uova o per allevare i piccoli. I siti del Sogno perciò fungono da rifugi - se c’è un sito del Sogno adibito a covata, e c’è la proibizione di cacciare in quell’area, si ha effettivamente un rifugio nel quale particolari
specie, e tutte le altre specie che usano quell’area, sono salve dalla predazione umana.


La serie di informazioni ricevute sulla qualità del territorio che lo circonda ha portato l’uomo alla padronanza di una conoscenza che gli permette di operare delle scelte per adattarsi al meglio a quel determinato milieu. Alla base di tutto questo c’è appunto quell’abilità spaziale che è determinata dalla stessa natura umana di grande organizzatore. La precisa sensazione di sapere dove si sta andando anche in un luogo mai visto e privo di precisi riferimenti geografici o la capacità di riconoscere e seguire una direzione anche all’interno dei complicati piani urbanistici provengono dalla stessa eredità di un processo psicobiologico evolutivo che ha fornito l’uomo di una delle sue prime capacità innate: il senso dello spazio come un luogo percorso e percorribile. La conoscenza codificata viene in un secondo momento, con un processo di astrazione l’abilità spaziale può venire concettualizzata ad esempio nella scrittura di mappe geografiche, operazione in uso anche presso popolazioni di cacciatori e raccoglitori come gli Inuit canadesi. In questo un processo che fonde la conoscenza individuale - derivata da esperienza mista al naturale schema cerebrale umano - con la conoscenza formale concettuale, lo spazio si trasforma in mentale, diventa pianificabile e riconoscibile anche nella sua codificazione grafica sulla superficie delle mappe.



4.2.2 Spazio sociale



Ma lo spazio non è solo ambiente di caccia, è anche ambiente sociale; l’uomo crea un mondo che non può prescindere dal suo fondatore. “La società ha un grosso impatto sulla produzione di abilità spaziali”, da questa frase si può capire come lo spazio umanizzato assuma caratteristiche che vanno oltre a quelle puramente produttive come la possibilità di ritrovare in esso le fonti per la propria sussistenza, in questo caso addirittura lo spazio sociale influenza le stesse capacità di adattamento e di relazione con il territorio. La costituzione di insediamenti umani governati da particolari regimi produttivi, siano essi legati alla coltivazione o alla pastorizia, porta con sé una ridefinizione dello spazio vissuto sulla base delle prime necessità del gruppo sociale creato. Società regolate secondo un sistema produttivo che basa la sua efficacia sulla coltivazione di un prodotto alimentare specifico organizzano le conoscenze - e da queste la stessa percezione dello spazio attorno - per potere adeguatamente consentire lo sviluppo di quella produzione. Lo sviluppo sociale non può prescindere da quello tecnico, l’uomo osserva la sua mano, gli oggetti “che si è fabbricato per esercitare il pensiero,” e sulla base di una nuova potenza produttiva organizza nuovi spazi sociali abitativi.



4.2.3 Spazio affettivo



Il bisogno psicologico è una delle altre caratteristiche che investono la creazione dello spazio, avviene cioè una qualificazione in termini affettivi del territorio di una popolazione. Lo spazio umanizzato diventa luogo di vita e “patria” nei confronti della quale si instaura un forte sentimento di appartenenza. Il particolare attaccamento alla terra che abbiamo riscontrato nella precedente analisi sulle popolazioni indigene australiane è uno degli aspetti di questo potere plasmante della componente emozionale. In quello ed in altri casi, avviene l’esteriorizzazione di una caratteristica tipica dell’uomo come l’emozionalità che si riversa su di un luogo che arriva ad assumere connotazioni umane. Non di rado si sente attribuire alla terra il ruolo di madre - e non solo perché dispensatrice di risorse alimentari - ma anche perché ad essa sono affidati i più intimi sentimenti di ogni uomo, le sue origini e il suo futuro. Per questo si comprende il motivo per cui “la gente aborigena sia situata all’interno del proprio paese emozionalmente, psicologicamente e metafisicamente. Quando il paese sta bene, la gente sta bene e per questo trova un
senso di ordine e tranquillità nel proprio posto.”



4.2.4 Spazio mitologico



Proseguendo l’analisi dei vari spazi creati attorno ai molteplici aspetti del vissuto umano, incontriamo un particolare tipo di dimensione di cui ci siamo già occupati in precedenza: lo spazio mitologico.

Lo spazio mitologico è un costrutto intellettuale, può essere molto elaborato. Lo spazio mitologico è anche la risposta dell’immaginazione ai bisogni umani fondamentali. Differisce dagli spazi concepiti pragmaticamente e scientificamente nel fatto che ignora la logica dell’esclusione e della contraddizione. Logicamente un cosmo può avere solo un centro; nel pensiero mitologico può avere
molti centri, sebbene un centro possa dominare gli altri.


Lo spazio mitologico è un vero e proprio universo parallelo ma non per questo è estraneo al vissuto quotidiano. Come vedremo in seguito, questi due loci finiscono per fondersi, il mondo del reale ha al suo interno gli avvenimenti mitici degli antenati fondatori. La fondazione di uno spazio che va oltre il sensibile appare l’operazione necessaria per assicurasi comunque una spiegazione di fenomeni non visibili, ed in più si può annoverare nell’universale bisogno umano di contestualizzare gli avvenimenti all’interno di un senso specifico, un progetto che abbia una direzione ben definita. Per questo, sebbene esistano profonde differenze tra miti di diverse culture, nell’idea di spazio mitologico si possono riscontrare significative uguaglianze. Yi-Fu Tuan pone l’attenzione su una di queste che sarà di particolare rilevo per la nostra analisi:

Lo spazio mitologico organizza le forze della natura e la società associandole a luoghi significativi o posti all’interno del sistema spaziale. Cerca di trovare il senso dell’universo classificando i suoi
componenti e suggerendo l’esistenza di una mutua influenza tra loro. 


Sulla base di questa citazione potremo fare chiaro riferimento al caso della mitologia totemica delle popolazioni australiane per cui ogni riferimento morfologico del terreno è simbolo del tempo del mito.

Puoi domandare a chiunque “Qual è il tuo Sogno?”, “Nyuntumpa tjukurpa?” e lui ti dirà immediatamente “Malu” o “Kalaya” (emù) o qualsiasi altro totem egli appartenga. Questo lo identifica con una particolare area del territorio. Egli ti dirà: “Lo Spirito Antenato ha fatto quell’albero, e ha fatto anche quelle colline, così questo è il mio paese.” È il continuum spirituale che
dobbiamo capire. 


Questa plasmazione del territorio è un costrutto a scopo normativo dell’ambiente di vita. La spiegazione del paesaggio è creazione di significati profondi che concorrono a dare un fondamento all’intera cultura australiana. E non solo, le modalità di organizzazione del territorio ci parlano di una vera e propria ontologia, la classificazione spaziale ha radici che si basano sul modo di intendere l’intero cosmo, le tracce lasciate dai progenitori ancestrali diventano norme di vita.

La Mitologia è il legame tra le persone ed il loro paese. È il loro marchio sul loro paese. Nella frase yarta wanda - “raccontare a qualcuna una storia”, la parola per “storia” (yarta) è uguale a quella che si una per “terra” e l’intera frase può essere analizzata come se significasse qualcosa come “mettere (l’uditore) sulla terra”. Questo per dire che le storie erano tramandate da una generazione
all’altra per legare la nuova generazione di bambini a quel paese. 


La nostra analisi fino a questo punto ha focalizzato l’attenzione sulla concezione di uno spazio diviso in tante categorie quante sono le esigenze organizzative dell’uomo; allo stesso modo anche il tempo assume varie connotazioni a seconda dell’ambito in cui viene considerato: esiste un tempo della produzione, uno del rito, uno della socializzazione. La divisione categoriale non deve fare pensare però ad una organizzazione umana scomposta in aspetti tra di loro separati, al contrario bisogna avere sempre presente il fatto che l’esperienza che l’uomo sviluppa in merito a tempo e spazio non è mai singolare, ossia le due dimensioni vengono esperite simultaneamente. Su quest’ultimo punto possiamo trarre un evidente riscontro nella stessa essenza dell’ontologia aborigena, un sistema organizzativo che per sua stessa definizione è eterno e autoriproducentesi. Eternità e presenza sono due caratteristiche fondamentali nel mondo indigeno la cui peculiare base mitologica spiega e rende possibile la continua riproduzione tutte le specie animali e la stessa natura del mondo esperito. L’eternità del Sogno permette la continua presenza del passato mitico che, lungi da essere una “dimensione del ricordo” - come potrebbe esserlo in una cultura che avesse cristallizzato il passato nelle testimonianze scritte - è attualmente, quotidianamente ed intrinsecamente presente in ogni essere che vive e si sposta nel paesaggio aborigeno.

Il grande e specificatamente australiano contributo al pensiero religioso è l’idea aborigena che non ci sia divisione tra Tempo ed Eternità. Poiché ogni persona porta con se, attraverso la reincarnazione, un’immortale scintilla di vita derivata dagli originali soprannaturali personaggi, gli uomini e i progenitori totemici si possono considerare come legati inseparabilmente. Il perpetuo moto dell’universo e l’intero comportamento del mondo materiale, dipende dal continuo cantare della parole creative e dalla continua ripetizione degli originari atti creativi degli esseri soprannaturali nella loro reincarnazione umana da generazione in generazione. Gli atti totemici e le loro canzoni, è da notare, non sono correlate solo ad animali o piante, ma anche a corpi celasti come il sole, la luna, le Pleiadi, ed anche a fenomeni naturali come il calore del sole, i venti, le piogge. L’universo che si ripete in questo modo, abbraccia non solo le cose che hanno dato origine al genere umano, ma anche le cose che causarono dolore e sofferenza. […] In una terra dove gli esseri soprannaturali vivono, nella reincarnazione umana, non nel cielo, ma in siti chiaramente marcati e visibili nelle montagne, nelle sorgenti, nelle colline e nelle pianure, gli atti religiosi hanno una immediata e personale intimità che si riscontra raramente in altri sistemi religiosi. Le reincarnazioni umane diventano simboli viventi nei siti sacri. Il visibile paesaggio totemico è considerato come una parte integrale della realtà e dell’eternità. Non c’è bisogno di regole ereditarie familiari: i maggiori siti totemici sprizzano continuamente scintille di vita dalle quali i futuri capi cerimoniali possono essere reincarnati: ogni maggiore sito sacro è una fontana geografica di autorità per il territorio
circostante. 


Accettata questa dimensione in bilico tra eternità e presenza si comprende come sia possibile che gli aborigeni identifichino realmente loro stessi con il proprio paese o con il proprio animale totemico - essenza del progenitore ancestrale - e come le apparenti metafore in realtà siano semplici affermazioni.

La gente aborigena crede che tutti gli aspetti dell’insegnamento degli Spiriti Ancestrali sia letteralmente vero - che non sia mai stato cambiato e che non lo debba essere mai. Questa è una prima causa di fraintendimento della filosofia aborigena da parte dei missionari, degli insegnanti e degli avvocati (è anche un grande impedimento nel processo per il riconoscimento della proprietà terriera). La mentalità europea è abituata ai “miti e alle leggende” che si trovano in tutti i paesi del mondo. La gente aborigena, al contrario, pensa che quella che noi chiamiamo mitologia aborigena sia
semplicemente realtà letterale. 


Come abbiamo visto sopra, in quella particolare dimensione di “compromesso” tra eternità e presenza che è il Tempo del Sogno, lo spazio si qualifica attraverso il tempo e viceversa il tempo si prova attraverso lo spazio, entrambi, poi, si riuniscono in quel punto ben preciso del cosmo umano che è il posto.

Spazio e tempo si riuniscono nel posto. 


Questa affermazione di Edward Casey nell’originale inglese è “space and time come together in place” la traduzione letterale è spazio e tempo vengono insieme nel posto. Questo riferimento ci sembra altresì opportuno per descrivere come le due dimensioni non vadano in direzioni opposte ma si ritrovino in uno stesso punto. Vedremo in seguito come la consapevolezza della posizione spaziale in un posto sia data dalla certezza del corpo che la esperisce, per questo nel prossimo paragrafo ci occuperemo di altre due categorie fondamentali per l’universo umano: posto e corpo. Analizzeremo le loro caratteristiche e sottolineeremo il forte legame che li unisce.



4.3 Posto e corpo



4.3.1 Il posto, nuovo soggetto ontologico



Come abbiamo evidenziato nel precedente capitolo la costruzione di un ambiente umano differenziato, resa possibile da un abile maneggio delle dimensioni spazio-temporali, è prerequisito necessario per la adeguata sopravvivenza di ogni cultura. Le popolazioni aborigene australiane fanno della natura circostante un paese proprio attraverso una mitologia che “spiega” le caratteristiche morfologiche del territorio circostante. Le modalità di questa operazione, ossia di come lo spazio possa divenire paese, sono oggetto d’indagine nella speculazione filosofica di Edward Casey che, nel suo articolo sopracitato, analizza il rapporto che intercorre tra spazio e tempo nella loro correlazione rispetto al “posto di vita” dell’uomo Casey ci orienta verso una nuova direzione: propone il concetto di posto (place) come indipendente ontologicamente da quello di spazio. Secondo lo studioso americano l’esperienza umana non comincia in uno spazio incognito ma è subito localizzata entro riferimenti geografici che definiscono, scompongono, l’insieme dello spazio in tanti posti. Il posto ha precedenza sullo spazio come categoria analitica nella percezione e nell’organizzazione della conoscenza. Questa tesi ha interessanti risvolti gnoseologici e trova un riferimento adeguato nel caso etnografico degli aborigeni australiani. In riferimento a quanto sopra possiamo porre seguire l’etnografia di Fred Myers:

Per i Pintupi il posto in sé con le sue molteplici caratteristiche è logicamente precedente o centrale. La mitologia Pintupi consiste in una serie di racconti di esseri ancestrali che viaggiano di posto in posto, di conseguenza tutti i luoghi visitati possono fare parte di una storia o di un mito più esteso. Ogni posto va considerato singolarmente, ma anche come parte di una serie continua di posti legati da una storia. […] Come metodo di classificazione di posti in un sistema potenzialmente più grande, questa tradizione di narrativa a base geografica locale è estremamente importante nell’Australia aborigena. Essa stabilisce una base per la teoria e la politica di “possesso” [ownership] sulla quale possono essere basate le rivendicazioni sui diritti terrieri di una zona che fa parte di un singolo
Sogno. 


Il posto è allora il punto di partenza della nostra indagine, unità di misura del paesaggio aborigeno, il complesso territorio totemico è, nella nostra idea, un grande insieme di singoli posti. Per molti versi questo orientamento di indagine sul posto come base e unità minima di tutto il mondo culturale indigeno è inedito nell’etnografia aborigena; quello che ci prefiggiamo di compiere nelle prossime pagine è un cammino attraverso questo sentiero poco praticato ponendo l’attenzione anche su altri due importanti soggetti - corpo e paesaggio - che si qualificano come elementi principali di questo nuovo protagonista ontologico e che, come vedremo, stanno alla base di tutto il sistema.



4.3.2 Posto come unione di spazio e tempo



Il brano citato nel paragrafo precedente è esemplare di tutta l’impostazione dell’analisi di Casey. La percezione di spazio e tempo avviene simultaneamente in un terzo “luogo” che è il posto. Essere localizzati significa conoscere le proprie coordinate rispetto alle due dimensioni principali, tutta la fisica moderna si pone in questi riguardi dopo l’abbandono della concezione di spazio assoluto newtoniano.

Parlare di spazio-tempo è parlare una volta ancora di evento. Poiché un evento contemporaneamente spaziale e temporale, è davvero indissolubilmente entrambi: le sue qualità e relazioni spaziali avvengono in un determinato tempo. Ma l’avvenimento accade in un posto che è ugualmente determinato. Perciò “evento” può essere considerato la spazio-temporalizzazione di un posto, e il
modo in cui accade come spazio-temporalmente determinato. 


Il legame che intercorre tra le coordinate del tempo e dello spazio assume valenza ontologica come fisicamente determinato nel posto in cui un dato evento accade. Il posto è il tramite, un luogo di incontro, di corpo e posto attraverso l’evento, non meramente un luogo fisico, ma un nodo teoretico. “Il posto non è un cosa ma un avvenimento”, perché viene caricato di qualità umane, assume le caratteristiche degli esseri che lo abitano o che in esso agiscono, questo è l’interessante sviluppo delle analisi di Casey. È nelle cerimonie aborigene che possiamo riscontrare la realtà di queste speculazioni teoretiche. L’avvenimento qualifica il posto che nello stesso tempo è la base (ground) e la possibilità dell’evento rituale. Il terreno cerimoniale viene trasformato fisicamente, cumuli di sabbia o terra rappresentano le conformazioni fisiche del territorio del Sogno narrato, la terra viene dipinta con i colori rituali, vengono raccontate storie mitologiche con l’ausilio di disegni sulla sabbia.

Sia gli uomini che le donne disegnano elementi grafici simili sul terreno mentre vengono raccontate le storie o durante un discorso generale, ma le donne formalizzano questo uso narrativo in un genere distintivo che io chiamerò la storia della sabbia. Uno spazio di due piedi di diametro viene spianato; la stoppia viene rimossa e vengono tolti tutti i sassolini. Il processo della narrazione consiste in un intercalare ritmico di una continua notazione grafica con segni delle mani e con il canto di frasi narrative. L’accompagnamento vocale può alle volte abbassarsi al minimo; il significato di base è mantenuto dalla combinazione dei segni grafici e di gesti delle mani. Questi ultimi sono intricati e specifici e possono in alcuni casi sostituire un’intera verbalizzazione. I Walpiri si riferiscono alle storie raccontate dalle donne in questo modo con lo stesso termine con cui si riferiscono alle storie sul
tempo ancestrale, djugurba. 


In altre occasioni poi, la preparazione del terreno cerimoniale è parte stessa del rituale e l’azione degli attori è un tutt’uno con il terreno che si trovano a calpestare. Nell’esecuzione gli attori diventano i mitici uomini-animali ancestrali e lo spazio della performance diviene, è, il loro habitat naturale e il sentiero che hanno percorso nel Tempo del Sogno. Durante la pratica rituale il terreno cerimoniale è il posto di intersezione di avvenimenti ancestrali del Tempo del Sogno e del quotidiano vissuto, il posto e l’evento si fondono in uno.

Un posto, come lo spazio dei paragrafi precedenti, può assumere diverse valenze: può essere fisico, psichico, storico o sociale ma, pur diversificandosi in ognuna di queste caratteristiche, mantiene la sua valenza globale fondatrice della cultura umana. Senza la localizzazione non esisterebbe lo spazio creato; le regioni umane sono formate da un insieme di posti, per questo, senza un mondo organizzato attraverso la distinzione di luoghi determinati nelle loro diversità funzionali, qualsiasi società sarebbe priva di un centro. La conoscenza spaziale si organizza attraverso la percezione del posto. Gli schemi mentali dell’animale uomo sono orientati verso il riconoscimento e il padroneggiamento dello spazio che però risulta preventivamente diviso in posti riconoscibili. Nel luogo dove spazio e tempo si fondono si riconosce la propria presenza nel mondo e questa è l’operazione che deve necessariamente precedere qualsiasi altra organizzazione culturale. La consapevolezza di esserci avviene grazie al riconoscimento dalla propria corporeità, è il corpo che pone l’uomo nel posto.



4.3.3 Il corpo nel posto, il posto nel corpo



Un certo tipo di indagine filosofica sviluppatasi nel corso di questo secolo ha posto in primo piano la tematica della percezione fenomenologica come porta di ingresso dell’intero mondo della speculazione. Il filosofo francese Maurice Merleau-Ponty ha indagato a lungo i principi della conoscenza sensibile giungendo ad attribuire al corpo un ruolo di prima importanza nella pratica gnoseologica. L’opera di Edward Casey, citata già in precedenza, segue questa strada sottolineando nuovi interessanti aspetti. Abbiamo già visto come il concetto di posto assuma una sua dignità ontologica a dispetto del luogo di sudditanza in cui la storia del pensiero moderno lo voleva relegare; ebbene, lungo questa strada ma spingendosi oltre Casey si domanda: “come possiamo allora tornare indietro al posto?” ossia, dato per scontata la rinata importanza dell’ente posto in quanto tale, come è possibile che l’uomo si relazioni adeguatamente ad esso per un costruttivo rapporto formativo? Lo stesso Casey risponde semplicemente: “nella stessa maniera in cui siamo già sempre stati là - attraverso in nostro stesso corpo vivente.” Il corpo risulta il tramite tra l’uomo e il posto in cui vive, ma non si pensi al corpo in termini di ente staccato (teorizzato come a sé stante) dal quotidiano vissuto, tutt’altro: il corpo a cui si fa riferimento è ricettore ed attore nel mondo di stimoli in cui è calato. Un’importante tematica, che descriveremo nei prossimi paragrafi, accompagna in questa direzione la speculazione filosofica, legandola saldamente all’esempio etnografico: è il tema dell’incorporazione. Thomas Csordas definisce al meglio le basi di questa teoria:

L’approccio all’incorporazione inizia dal postulato metodologico che il corpo non è un oggetto da
essere studiato in relazione alla cultura, ma deve essere considerato come il soggetto della cultura. 


Il corpo diventa protagonista, è il tramite, diventa il luogo (place) nel quale passano e grazie al quale si sviluppano gli istituti culturali più importanti. L’incorporazione è il fondamento della cultura aborigena australiana: nel paesaggio totemico sono incorporati i progenitori ancestrali cristallizzati nelle conformazioni morfologiche del terreno e nel corpo dell’uomo è compresa la vera essenza di questi suoi antenati. La Legge è incorporata nel terreno e così pure la conoscenza. La peculiarità della cultura aborigena australiana è appunto collocare fisicamente nel territorio (paesaggio e paese), e quindi con una spazializzazione ben determinata, enti come quelli sopracitati che secondo un’ottica occidentale provengono da istituti culturali ben precisi. Il corpo a questo punto si pone come tramite ed interprete: tutte le determinazioni ontologiche del paesaggio vengono filtrate dalle azioni del corpo e sul corpo. Nella pratica rituale la presenza fondamentale del corpo è strumento di comprensione e spiegazione del mondo: attraverso la riattualizzazione delle gesta degli antenati totemici durante le danze e con la pittura cerimoniale; tutte manifestazioni in cui il corpo diventa il sommo interprete della Legge ancestrale. È proprio in quanto abbiamo affermato sopra che possiamo trovare quel rapporto tra corpo e paesaggio che, secondo la nostra tesi, sta alla base di tutta la cultura aborigena australiana. Come il posto risponde agli stimoli dei soggetti che lo percepiscono, non di meno il corpo si relaziona a quest’ultimo entrando con esso in perfetta simbiosi. Questa stretta relazione è riassunta da Casey in cinque punti; analizziamoli. “Le varie cinestesie e sinestesie garantiscono che il movimento del corpo sia continuamente registrato ed arricchito.” La presenza del corpo in un posto garantisce l’apprendimento e la comprensione degli avvenimenti che in quel luogo si stanno svolgendo, il corpo è in questo caso un “campo di localizzazione”, muoversi e ricevere informazioni dal posto è garanzia di una continua possibilità di movimento. “Gli immanenti piani dimensionali del corpo di su/giù, fronte/retro, destra/sinistra aiutano a connettere il corpo con le posizioni nel posto delle stesse tre diadi.” Su questo punto si può ricordare come i riferimenti spaziali dell’uomo abbiano sempre come punto di partenza il proprio corpo ed ancora verranno alla mente tutte le metafore che hanno per oggetto gli aspetti direzionali della dimensione spaziale come: un’alta carica, un basso tenore di vita, ecc. “La concretezza di un corpo vivente, la sua densità e massa, risponde alla spessa concretezza di un posto dato.” La fisicità è una caratteristica che posto e corpo si dividono. “Un dato corpo vivente ed un dato posto esperito tendono a presentarsi come particolari: come proprio questo corpo in questo posto.” Il qui ed ora della percezione umana passa attraverso l’identificazione del proprio corpo in un dato posto. “La porosità della pelle di un corpo organico ricorda l’apertura di confini del posto”. Questa quinta caratteristica è fondamentale per uno scambio attivo tra le due parti, il corpo e il posto sono uniti in un legame creativo allo scopo di formare una interpretazione del mondo, è perciò di grande importanza che il soggetto abbia continui e ripetuti scambi con l’ambiente esterno. Il campo della percezione spaziale non può essere limitato da sponde invalicabili, le sinestesie sono un processo fondamentale nella comprensione e commisurazione del mondo che non potrebbero avere luogo in un ambiente fenomenologico organizzato “a scomparti separati”.

Incontrarsi è un evento, e un’esplorazione del posto come evento ci permette di vedere come i posti, lontani da essere inerti e statici siti, siano essi stessi continuamente in cambiamento secondo il loro
proprio dinamismo. 


L’incontrarsi, tanto citato da Casey è possibile solo a metà, nel confine di due determinazioni che non possono essere separate:

Il carattere “evento-azionale” dei posti, la loro capacità di co-locazione di spazio e tempo, può essere considerata una forma definitiva di incontro. Questa forma non è l’incontro di particolari persone e cose in un posto configurato o in una regione o nell’unione esperita dal corpo come incrocio di natura e cultura, ma un incontro ancora più generale e pervasivo con ciò che accade
grazie al potere che ha “l’essere in un posto” di unire spazio e tempo insieme. 


Essere nel mondo significa esserci, ossia essere presente a sé stessi, nella propria corporeità e in un’adeguata localizzazione spaziale. Il corpo nel posto, quindi, ma anche nel verso opposto: il posto nel corpo, come nel caso della cultura aborigena australiana.

Come hanno notato altri, il corpo aborigeno è come il paesaggio fisico nel senso che entrambi sono il risultato dell’azione mitica; come il bush [vegetazione di arbusti bassi presente nelle zone meno popolate del continente australiano, N.d.T.] in cui si muovono, i corpi degli aborigeni sono fatti e segnati dai viaggi degli esseri del Tempo del Sogno. L’agente aborigeno è comunque un importante componente del processo mitico, poiché lui o lei fornisce l’atto di interpretazione necessaria per capire l’associazione dei siti nel paesaggio con i siti sul corpo. Attraverso l’azione di dare i nomi e le associazioni narrative chi parla lega ed interpreta i siti mitici e quelli corporei. Tutti i nomi sono metonimie che stabiliscono relazioni sociali e politiche tra il presente ed il passato, le persone ed i
siti. 


I viaggi degli esseri ancestrali e di conseguenza i posti che hanno formato lasciandoli a loro testimonianza segnano e sono parte dello stesso corpo dei loro discendenti totemici, l’identificazione è totale. Se, come abbiamo visto in precedenza, è normale riferirsi ad una persona con il nome del suo animale totemico, allo stesso modo le determinazioni geografiche si mescolano a quelle fisiche, così risulta normale che, come sostiene Philip A. Clarke: “La gente di Adelaide, come altri gruppi aborigeni del South Australia,
attribuisca delle qualità umane al proprio paesaggio.”  


Posto e corpo sono agenti conoscitori, ma non semplici strumenti, piuttosto sembrano attori essi stessi di quell’azione umana che è la creazioni di significati. Caratterizzati da una forte presenza fisica influenzano il modo in cui vengono riorganizzate le conoscenze, che indirizzate a seguire un strada dettata da schemi mentali bagaglio di uno sviluppo filogenetico, si basano sulla percezione del mondo che questi due attori concorrono a creare.



4.3.4 Il corpo come soggetto conoscitivo



Il corpo allora diventa il primo soggetto conoscitivo della realtà, esso esperisce il mondo attraverso il posto in cui si trova o attraverso un percorso per quel sentiero che è congiunzione di posti differenti. Come ci suggerisce Casey infatti “la conoscenza deve essere ricostruita come specificamente correlata al posto.” Su questo punto uno dei massimi studiosi del corpo come soggetto attivo nel processo della conoscenza è il filosofo francese Merleau-Ponty; proprio per ricollegarci al discorso del precedente capitolo su una possibile “gnoseologia itinerante” potremmo citare un brano di questo studioso:

Visibile e mobile, il mio corpo è annoverabile tra le cose, è una di esse, è preso nel tessuto del mondo e la sua coesione è quella di una cosa. E poiché vede e si muove, tiene le cose in cerchio attorno a sé. Le cose sono un suo annesso o un suo prolungamento […] il mondo è fatto della medesima stoffa del
corpo. 


Sulle proprietà del corpo anche Yi-Fu Tuan:

Il corpo umano è quella parte della materia universale che conosciamo più intimamente. Non è solo la condizione per esperire il mondo ma anche un oggetto accessibile di cui possiamo sempre osservare le
proprietà. 


Per entrambi il corpo risulta un primo attore nella comprensione fenomenica del mondo circostante e davvero potremmo asserire che è proprio la localizzazione del corpo e la sua consapevolezza di essere in un determinato posto che crea il significato. Guardando al caso specifico etnografico un brano di Paul Faulstich, sulle modalità con cui il corpo si rapporta al paese di appartenza, è particolarmente significativo:

Il Paese è uno statuto per vivere, comprendere le norme sociali, le strutture politiche e le risorse economiche. La costruzione dell’identità Walpiri e le ipotesi sul sé sono formulate rispetto a questa identità sociale. L’estensione del sé sul paesaggio permette l’articolazione dei tratti personali in termini di fenomeno comprensibile. Apprendendo dal paese gli individui diventano più forti. Attraverso la conoscenza della terra e del Sogno, la gente sviluppa delle individualità distinte, definite dalla loro relazione con le forze cosmiche creative. Il sé è un locus di esperienza e i Walpiri
percepiscono il sé parzialmente come un’entità geografica. 


L’identità è costruita a partire dall’azione del corpo nel paesaggio, nell’interazione quotidiana - gli spostamenti sul territorio seguono le linee totemiche tracciate dai progenitori - e nella pratica rituale in cui il corpo dell’esecutore si trasforma nel suo antenato totemico e lo spazio dell’azione è il paese percorso nel Tempo del Sogno.



4.3.5 Corpo, posto e movimento



Il risultato dell’unione di corpo e posto non è un prodotto statico, la relazione che l’uomo instaura con lo spazio individualizzato non si limita al semplice stanziamento. Piuttosto, anzi, grazie ad un’altra sua peculiare caratteristica ossia il movimento, l’uomo scopre il mondo facendo agire il suo corpo nelle diverse situazioni spaziali che gli stanno attorno. Oltre alla possibilità che ha di stare in un posto e perciò di sviluppare una precisa conoscenza delle sue caratteristiche fisiche, il corpo può muoversi all’interno di quel posto, cambiando il piano della sua percezione, oppure può ampliare il suo raggio e muoversi attraverso diversi posti. Il movimento che risulta da questo spostamento ha una nuova caratteristica particolare: riunisce più posti diversi tra loro. La relazione tra i vari luoghi porta con sé un ampliamento delle facoltà conoscitive e favorisce l’instaurarsi di rapporti tra corpi diversi. I luoghi sono riuniti da una strada, o una rotta, che è scelta in base ad una precisa determinazione spaziale del territorio, l’insieme di posti conosciuti diventa una regione, l’insieme di regioni un paese. La successione di luoghi e di avvenimenti mitici associati a quei posti definisce le rotte totemiche, determina l’estensione di un paese ed i confini tra paesi diversi.

Nel caso dei Warlpiri un eccellente esempio è il Sogno del Serpente che parte nel paese degli Aranda. Io sono stato in quel punto nella parte più ad ovest del deserto Simpson, il Sogno viaggia da ovest, un po’ a nord-ovest; c’è un grande cumulo di argilla, colline basse e letti di torrenti, ed altre conformazioni geologiche che portano al lago Napperby. La storia cambia i protagonisti da due tranquilli serpenti, che sono i serpenti tappeto, a due serpenti impertinenti e io sospetto che questo cambiamento sia associato a due cose. Primo, l’acqua dolce diventa salata e questo è un punto geograficamente riconoscibile, e secondo, stai uscendo dal paese Aranda per entrare in quello Warlpiri. La pista totemica va oltre il tuo paese, ma la tua responsabilità è preservare quella parte di
percorso che fa parte del tuo territorio. 


In tutto questo però bisogna considerare la naturale instabilità dei confini che, anche se appartenenti a diverse metà (moieties), sono ampiamente soggetti a cambiamenti e negoziazioni. La natura nomadica originaria degli aborigeni australiani e la loro concezione dello spazio non prevede una definizione ben marcata dei confini, il loro sistema di classificazione spaziale può essere definito multicentrico, ossia “un insieme di centri dai quali si irradia uno spazio incerto o dai limiti ambiguamente definiti.” Questo dipende dalla fondamentale importanza che il movimento, l’azione ha all’interno della cultura indigena.

I siti antichi sono organizzati come campi d’azione mobili, come spazi che si irradiano da un punto verso una indefinita periferia. Le trasformazioni dei corpi degli antenati, così estensivamente trattata nella letteratura australiana, non si riferisce ad una semplice trasformazione dei loro corpi, ma li descrive in particolari posizioni, come seduti, distesi, in piedi che guardano verso qualcosa, o in volo - tutte forme che si riferiscono a particolari azioni momentanee oppure a eventi in determinate situazioni. Il centro “non è semplicemente il corpo, ma il corpo normalmente impegnato in un movimento ed in un’azione.” […] Questa prospettiva sulle trasformazioni topografiche ci aiuta a spiegare come è possibile che gli antenati totemici possano essere trasfigurati in più di un posto. Ciò che essi hanno lasciato in ogni posto non è semplicemente il loro corpo, in senso generale, ma la momentanea loro forma fissata al momento della loro azione in quel posto. Sono questi particolari posti che gli aborigeni chiamano “fissi” (still, nel testo) oppure in un’altra traduzione “sempre” là
(always there, nel testo). 


L’uomo si muove all’intero di un paesaggio che, come vedremo in seguito, è il risultato della combinazione di una rete di simboli e significati, unione di più posti che, forti dei loro valori interpretativi della realtà, racchiudono al loro interno un potere creativo.

Il posto è un speciale tipo di oggetto. Ha un valore concreto, sebbene non sia una cosa di valore che possa essere portata in giro facilmente; è un oggetto nel quale si può abitare. Lo spazio, come abbiamo notato, è dato dall’abilità di muoversi. I movimenti sono spesso diretti verso, o spinti da, oggetti e posti. Per questo lo spazio può essere diversamente esperito come la relativa locazione di oggetti e posti, o come la distanza che separa o lega i posti, e - più astrattamente - come l’area
definita da una rete di posti. 


La spinta al movimento è la moltiplicazione del singolo rapporto tra un corpo ed un ambiente, l’itinerario è la catena che lega la conoscenza della realtà nel suo “vagabondare creativo”.



4.4 Paesaggio aborigeno



L’esposizione dei paragrafi precedenti voleva porsi come fondamento teoretico rispetto al caso etnografico particolare che andremo ad analizzare nelle prossime righe; l’orientamento della discussione a proposito del posto come nuovo soggetto ontologico rientra nel quadro di un’indagine sul paesaggio che, come si intuisce dalla precedente speculazione, è formato dall’insieme di più posti. L’importanza del paesaggio nella cultura aborigena australiana è di primo piano poiché al suo interno sono contenute particolari categorie che stanno alla base di tutto il sistema ontologico. Fonte di identità personale e memoria del passato ancestrale, il paesaggio è corpo vivo dell’esistenza delle popolazioni indigene, si qualifica con i suoi diversi aspetti come soggetto attivo dello scambio vitale con l’uomo, per questo si può
parlare di una “terra parlante.”  



4.4.1 Paesaggio come storia: la sua lettura immagine del Sogno



Nella sua varietà morfologica il paesaggio appare come un costrutto culturale, una delle sue principali caratteristiche è quella di essere immagine e memoria del passato mitico ancestrale. Al suo interno sono racchiuse tutte le fonti di potenza degli antenati, è il nesso che congiunge il presente quotidiano al Tempo del Sogno, è storia, fondamento di tutta la cultura aborigena, nonché base per l’organizzazione di tutti i rapporti socio-politici (inclusa la parentela) dei vari gruppi.

Il paesaggio Walpiri è la manifestazione della storia mitologica del Tempo del Sogno. È imbevuto di significato mitologico, sotto il terreno visibile c’è un paesaggio simbolico che è ricco di mitologia, tradizioni rituali e affiliazioni personali. Come gli altri gruppi aborigeni australiani, i Walpiri raccontano di un regno dove la terra e gli animali non esistono nelle loro forme presenti. In questo regno gli antenati ancestrali sono emersi da una terra informe e hanno creato le caratteristiche del paesaggio. Le rocce e le colline, le pozze d’acqua e gli alberi sono stati creati durante questo tempo
mitologico, come lo sono stati il fuoco, gli animali e le leggi tribali. 


Ciò che si può leggere nella morfologia del terreno è una vera e propria storia, formata da singoli avvenimenti occorsi in singoli posti ma tutti interpretati come uniti lungo il filo di quella narrazione particolare che li congiunge a formare un racconto, descrizione della “vita” del progenitore dalla sua apparizione al ritorno nella terra che ha plasmato. È una storia che può essere letta, come ci racconta Paul Faulstich:

Per i Walpiri conoscere la terra è avere una connessione con le persone attraverso il Sogno. Charlie Jampijinpa una volta mi ha spiegato che ero il benvenuto a stare e vivere a Nyirripi se volevo, perché io ero venuto per conoscere la terra. Parlando in inglese aborigeno si espresse piuttosto eloquentemente: “Puoi sederti qua quando vuoi, vero? Tu lo conosci questo paese. Puoi sederti qui. Tu lo leggi questo paese.” Quando Jampijinpa mi disse “Tu lo leggi questo paese” [You read ‘im this country], stava esprimendo il valore che dava al significato della topografia. All’interno della cornice delle costruzioni Walrpiri, io avevo raggiunto un livello di conoscenza del “paese”. Sebbene Jampijinpa si riferisse specificatamente al mio prendere appunti (“lo leggi”), egli espresse piuttosto poeticamente il livello ermeneutico con il quale i Warlpiri strutturano le caratteristiche dell’ambiente: il paesaggio è un’esecuzione testuale [textual performance], che spiega la storia Warlpiri e la creazione dell’universo. Grazie al mio prendere appunti, all’esposizione a siti sacri, e al mio interesse per la geografia e per l’arte basata sul paesaggio, mi venne concesso uno status (per quanto minimo) che riconosceva la mia comprensione del territorio. La mia identità all’interno della società Walpiri
stava prendendo forma; stavo imparando come “leggere” la terra. 


Interpretando i segni del terreno si può comprendere ciò che è accaduto, quello che è rimasto come immagine eterna incorporato nelle rocce, nelle depressioni, nelle caratteristiche fisiche del territorio. In questa ottica l’esistenza di strane formazioni geologiche ha una immediata spiegazione mitologica. Vediamo alcuni esempi. Uno dei progenitori ancestrali più ricorrenti nella mitologia aborigena, specialmente per la parte settentrionale del continente, è il serpente arcobaleno. I racconti narrano le gesta di un serpente gigante che vive nelle profondità delle pozze d’acqua permanenti e che si rende visibile agli uomini sotto forma di arcobaleno. In una delle sue apparizioni ha lasciato dei segni visibili, prima di scomparire di nuovo nelle profondità della terra ha deposto delle uova. Queste uova sono ora e per sempre visibili, sono le particolari formazioni rocciose delle Kata Tjuta (le Olgas) nel centro dell’Australia. Si osservi la foto che segue.



Kata Tjuta (le Olgas), Northern Territory


Un altro esempio si può vedere non lontano da quello precedente, sempre nel “Centro Rosso” del continente, è Uluru (Ayers Rock), il monolite più grande del mondo. Un gran numero di miti è correlato a questo luogo che ha sempre posseduto una importanza fondamentale come centro totemico per le popolazioni che vivono nelle vicinanze, tra questi vi è quello dei due progenitori ancestrali bambini che per divertimento scavarono una buca sul terreno. La depressione originata dalla loro azione è visibile come avvallamento a pochi chilometri dal monolite, mentre lo stesso Uluru viene descritto come il mucchio di terra accumulato dal loro operato. L’evidenza di questo sta nella forma della parete ovest del
“sasso” che presenta le impronte dello scavo delle dita dei due ragazzini.




Uluru (Ayers Rock), Northern Territory. Si osservino le particolari conformazioni della parete.


Un terzo esempio è presente nell’opera di Myers, la lucertola mitica Ngitanka è ritornata nella terra da cui era uscita lasciando però fuori una parte del suo corpo, il suo collo proteso si è trasformato in quello che oggi gli australiani chiamano Kintore Range. È uno spazio mitologico quello che le popolazioni indigene hanno di fronte, una dimensione che si coglie nella sua molteplice essenza. Per questo la vera essenza del paesaggio è duplice, al suo interno la potenza del Sogno e la quotidianità del reale si fondono in un’unica materia, esso mantiene una stabilità eterna “impostagli” dalla durezza delle sue rocce eppure, visto sotto l’ottica del mito “onirico”, è in continua trasformazione. È un paesaggio pregno non soltanto di significati ma anche di tangibili presenze, e non ci riferiamo solo alle presenze ancestrali incorporate nella roccia, ma anche agli oggetti sacri sepolti nel terreno. Gli oggetti più sacri, manifestazione dell’appartenenza alla terra sono nascosti in particolari siti totemici che fungono da serbatoio di spiritualità e potere. Sono quelli che le popolazioni Aranda chiamano churinga e che abbiamo già analizzato nel precedente capitolo. Essi rappresentano la vita per le popolazioni australiane, sono definiti come “ossa”  e l’importanza della loro presenza nel terreno è fondamentale. Il paesaggio che vanno a descrivere - come abbiamo visto sulle loro superfici sono incise o dipinte le piste percorse dagli antenati - è il loro stesso custode. Questo punto è da sottolineare: l’identità della persona - la sua identificazione con un progenitore ancestrale - è sì manifesta all’esterno, ma è presente anche all’interno del terreno. La molteplicità dimensionale del paesaggio, nella sua doppia essenza e nelle sue disparate interpretazioni è un ulteriore aspetto del rapporto “creativo” che le popolazioni australiane hanno con l’ambiente che le circonda.

Le relazioni degli aborigeni con la terra si definiscono a vari livelli. Nell’area di Adelaide, ogni persona ha una forte legame, tracciato principalmente attraverso la linea maschile, con un particolare pezzo di terra, definito come il territorio di discendenza di un gruppo locale. […] Un’interpretazione individuale della mitologia, e dei suoi paesaggi associati, è influenzata dal legame col gruppo locale
di discendenza. 


Anche il sesso fornisce una visione selettiva del paesaggio. Donne e uomini hanno differenti ruoli economici ed interagiscono differentemente con l’ambiente attorno. La mappa mentale del paesaggio di una donna tiene in considerazione i posti dove si possono raccogliere radici molluschi, dove si può partorire. Al contrario, gli uomini considerano posti dove crescono delle piante che sono il cibo
abituale di canguri ed emù cosicché in quei luoghi si possa cacciare. 


La stratificazione di conoscenza nella gente di Adelaide si riflette nelle differenti visioni del paesaggio che comporta la differenza di età e sesso. Al posto di un solo valido paesaggio culturale per un gruppo, si possono trovare più forme con un certo livello di unità. La particolare visione di un
paesaggio usata in un dato contesto dipende dallo status culturale sia di chi parla che di chi ascolta. 


Come scritta su un libro eterno, la vita che il paesaggio racconta è interpretata con attiva partecipazione dalle popolazioni che proprio di quella vita sono i soggetti. Leggere la sua storia significa farsi interpreti ed assumersi la responsabilità della potenza spirituale contenuta in essa, percorrere i suoi luoghi è possibile solo sulla base di un’adeguata conoscenza che si sviluppa all’interno di ogni singolo gruppo di appartenenza. Il paesaggio per le popolazioni aborigene rappresenta la vera essenza della propria cultura: lo specchio in cui è riflessa, la materia in cui si incarna la loro esistenza, il soggetto della loro vita spirituale e l’oggetto della loro produzione economica.



4.4.2 Paesaggio come produttore di identità, conoscenza e legge



Un ambiente così pregno di significati non può che essere al centro dell’attenzione in ogni espressione vitale della popolazione indigena: infatti ciò che è rimasto del tempo del Sogno non sono solo immagini dei progenitori, anche il loro potere spirituale e le loro leggi sono scolpite eternamente nel territorio. In molti casi nell’etnografia analizzata si sente parlare del paese come produttore di identità personale e di gruppo, l’identificazione con un progenitore totemico - e quindi con il territorio in cui ha operato e dove riposa nell’eterna stabilità delle conformazioni geologiche - è la prima forma di organizzazione sociale delle popolazioni aborigene australiane. L’identificazione con il territorio è totale, il rapporto può essere inteso e spiegato dagli aborigeni addirittura come biologico. Paul Faulstich riferisce come un aborigeno Walpiri mostrandogli un sito sacro lo avesse definito come “mio padre”. Lo stesso autore si esprime ancora:

Per i Walpiri il posto è il maggiore criterio di identità. La formulazione di questa identità, come la formulazione del paesaggio, accade discorsivamente. Essi concepiscono la persona come appartenente al mondo e la sua maturazione avviene attraverso il discorso con la terra. Gli individui assumono
caratteristiche speciali in relazione alla terra, poiché l’identità è radicata nel paese. 


L’identità del gruppo, come quella personale, è legata al proprio paese totemico nel quale si snodano le piste degli antenati, per questo si può vedere l’identità del singolo in rapporto non ad altri singoli individui, ma “in relazione con un paesaggio vivente.” Nel caso dei Walpiri - ma ci si potrebbe esprimere negli stessi termini anche rispetto ad altri gruppi culturali - le caratteristiche del gruppo e il “paese” sono parte di una stessa realtà poiché la determinazione di appartenenza ad un paese si basa sulle caratteristiche di identità che il paese stesso trasmette ad i suoi abitanti. L’uomo diventa nel paesaggio che vede il suo stesso progenitore ancestrale, nel percepire una affinità con un particolare luogo l’individuo entra in contatto con l’antenato totemico da cui discende in linea genealogica.

Il paesaggio è l’incorporazione dell’essere ancestrale e della persona Walpiri. […] Per i Walpiri l’identità non è solo interna e soggettiva, ma anche esterna ed oggettiva. Il paesaggio è una realtà
personalizzata che fornisce il principale punto di riferimento per l’identità, l’intelletto e l’azione. 


L’identità individuale è così strettamente associata con il paesaggio che uno può agire sull’altra. 


Alla nascita inizia il rapporto di associazione con un particolare antenato e l’insieme di posti a lui correlati, con il passare del tempo il mondo attorno si colora di significati che nella loro interezza rimandano alle origini ancestrali del gruppo totemico a cui si appartiene. Il mondo sociale è immagine di quello totemico o, meglio, entrambi sono fusi all’interno di una visione paesaggistica che assume il ruolo di guida, spiegando il mondo ed i suoi molteplici significati. Il rapporto soggetto - paesaggio non è mai statico, ma si evolve nel tempo, come si evolve la conoscenza - l’altro importante attributo trasmesso all’uomo dal paesaggio - che varia a seconda del ruolo sociale, del sesso e dell’età dei componenti del gruppo.

La conoscenza nelle società aborigene australiane è soggetta ad una particolare modalità di distribuzione: avviene su più livelli lungo un arco di tempo esteso. In momenti particolari della vita di un uomo, ad esempio la circoncisione, vengono svelati segreti che permettono un’interpretazione più particolareggiata dell’universo culturale in cui si vive. Questa particolare modalità distributiva fa sì che una cerimonia, un dipinto sacro ed anche lo stesso paesaggio vengano interpretati diversamente da persone che si trovano a diversi livelli di comprensione. La conoscenza si interseca strettamente con il posto e la "gestione"   dello stesso, come ci informa Biernoff:

Cominciai il mio lavoro sul campo mappando le località nominate, usando fotografie aeree e mappe topografiche come strumenti. Trovai inizialmente che gli uomini sotto i quarant’anni non riuscivano a darmi dei nomi, mentre uomini più anziani potevano farlo. Risulta chiaro che gli uomini più giovani, anche quando conoscevano i nomi, non erano autorizzati a darmeli. I nomi potevano essere forniti solo da quegli uomini più anziani che avevano controllo cerimoniale e/o responsabilità sul territorio
preso in considerazione. 


Le differenze sulla comprensione del territorio non sono solo dettate dalla diversa età, ma anche dalla differenza di sesso che di per se stessa implica diversi ruoli di produzione economica. L’etnografia del passato racconta di come la divisione del lavoro vede implicate le donne nella raccolta di vegetali e frutta mentre il dovere degli uomini è procurare la carne. Questa divisione di compiti ha sviluppato una diversa visione dell’ambiente circostante dove le donne sono orientate verso i luoghi in cui si possono raccogliere radici e frutti commestibili, mentre gli uomini conoscono bene l’ubicazione dei posti in cui crescono le specie vegetali di cui si cibano gli animali che cacciano oppure le pozze d’acqua intorno alle quali, comprensibilmente, si moltiplicano le possibilità di trovare risorse alimentari. Nei prossimi brani alcuni esempi etnografici.

Il processo attraverso il quale lo spazio diventa “Paese”, attraverso il quale una storia viene associata ad un oggetto, è parte del habitus mentale dei Pintupi che guarda al di là degli oggetti e vende in essi il segno di qualcos’altro. Secondo la mente del cacciatore qualsiasi cosa inusuale presente sul terreno, può essere il segno che qualcosa è successo. Lo stesso paesaggio offre indizi su ciò che è accaduto. Non solo rivela qualcosa riguardo l’invisibile, ma offre un legame con le forze invisibili che lo hanno creato e che ne incorporano l’essenza. Come per un codice, il “Paese” è il segno di un intero evento di cui esso è una parte, portando con se un significato che si riferisce alle
parti mancanti e delle informazioni riguardo a queste parti. 


La cultura Pintupi considera la conoscenza come qualcosa data all’uomo, e che egli tiene nel suo stomaco, “dentro” il suo spirito (kurrunpa). Passa dall’esterno all’interno. L’accesso a questa cultura, che permette all’uomo di agire come uguale tra gli altri uomini, è attentamente regolato secondo i
diversi stadi della vita culturale. 


La conoscenza non è semplicemente una lista di fatti oggettivi rispetto ad un sito. Per gli uomini e le donne Belyuen conoscere il significato del paese include ma non si limita a queste determinazioni. Va oltre a queste nella comprensione che le persone hanno un’empatia, creata dall’interazione quotidiana, con il paesaggio mitico. E questa empatia che generalmente manca agli stranieri (qui i
non aborigeni). 


Questo tipo di conoscenza è stata definita geografica, in realtà è molto di più: la possibilità di comprendere tutte le caratteristiche - anche quelle intrinseche - del territorio è data dalla particolare qualità di un paesaggio che senza esitazioni potremmo definire culturale. Come già detto il paesaggio si costituisce come costrutto culturale all’interno del quale agiscono diversi paradigmi conoscitivi, gli esempi sopracitati fanno parte di questi.

In termini ontogenetici un individuo passa attraverso un numero di livelli di sviluppo intellettuale. Durante ognuno di questo viene appreso uno specifico corpo di conoscenze che creano una consapevolezza intellettuale a cui ci si può riferire come una vista del mondo. Ogni livello è associato con il suo distintivo tipo di visione del mondo. Il passaggio da un livello a quello successivo non è un processo graduale. Si basa su improvvise rivelazioni (usualmente comprese all’interno delle
iniziazioni). 


Questa conoscenza si può allora definire stratificata, più aumenta l’autorevolezza di una persona - e l’età è una delle condizioni prerequisite - più si accresce la conoscenza e più profondamente ci si può spingere all’interno di quella stratificazione. Siamo ancora una volta di fronte al circolo virtuoso poiché al crescere della rispettabilità aumenta la conoscenza e l’incremento di quest’ultima garantisce una maggior considerazione all’interno del proprio gruppo sociale. Il paesaggio è ciò che sta all’esterno, ma influenza profondamente questo circolo, è lo spazio in cui si congiungono le manifestazioni produttive e spirituali dell’uomo, le qualità biologico-fisiche e psicologico-mitologiche del suo corpo, l’esterno e l’interno della sua conoscenza.

La conoscenza è codificata in una serie di norme e regole che permettono l’adeguata gestione della dimensione produttiva e spirituale della comunità. Questa serie di norme è chiamata dalle popolazioni aborigene: Legge. Abbiamo già analizzato in precedenza il significato e le caratteristiche di questa categoria della società indigena, in questa sede porremo l’attenzione sul fatto che essa è in profonda relazione con l’ambiente - leggi il paesaggio circostante. Quando nel titolo di questo paragrafo abbiamo attribuito al paesaggio una serie di capacità produttive abbiamo annoverato tra le altre anche la Legge. Questa scelta ci è stata dettata dal fatto che, per stessa testimonianza delle popolazioni australiane, la Legge è parte indissolubile e deriva dalla terra. “La Legge è nel terreno” è una frase ricorrente nelle testimonianze etnografiche e descrive adeguatamente un punto fondamentale della cultura aborigena. La Legge proviene direttamente dal mitico Tempo del Sogno ed è la stessa espressione dei progenitori ancestrali che, come abbiamo già evidenziato più volte, dimorano eternamente nelle profondità della terra, per questo la sua sede non può che essere in comunione con coloro che hanno determinato, attraverso le loro azioni, la sua stessa essenza. Plasmando il mondo, gli antenati hanno anche disteso su di esso la Legge a imperituro esempio dei giusti comportamenti da seguire. E proprio questo ultimo termine è testimone di una qualificazione geografica della categoria che stiamo analizzando. La frase “seguire la legge” non è mai stata più appropriata, gli aborigeni spesso sono fraintesi quando parlano sotto forma di quelle che l’occidente chiama metafore, ma che davvero per loro rappresentano la semplice realtà. E propriamente qui dove si parla di movimento e perciò di realtà, il verbo “seguire” ritorna a valere nella sua prima accezione spaziale, dove la Legge è visibile nella geomorfologia del paese, osservare i suoi principi implica necessariamente percorrere e farsi guidare da quel paesaggio nel quale le sue norme sono eternamente “scolpite”.



4.4.3 Il potere nel paesaggio, il paesaggio del potere



La conoscenza e la Legge definiscono i modelli comportamentali interni al gruppo e quelli esterni verso gli altri gruppi totemici e il mondo. Una tra le nozioni più importanti da conoscere all’interno del cosmo aborigeno è quella dei posti cosiddetti pericolosi. In un articolo David Biernoff ci spiega quali luoghi entrino a fare parte di questa categoria:

Posti di origine del Sogno: questi sono posti associati ad avvenimenti importanti avvenuti nel Tempo del Sogno, attorno a questi posti si concentra una intensa attività rituale. Poteri pericolosi risiedono dentro e nelle vicinanze di questi siti.

Posti della storia del Sogno: sono posti correlati ad avvenimenti meno importanti.

Posti di cerimonie segrete: possono corrispondere o meno con le altre due categorie. Questi siti devono essere evitati anche se non sono conosciuti. Uomini e donne hanno siti segreti, l’accesso ai quali è interdetto ai membri dell’altro sesso.

Posti di cerimonie pubbliche: in questi siti uomini e donne possono partecipare insieme alle cerimonie, spesso anche i bambini. Vi è solo un pericolo se determinati comportamenti non sono rispettati.

Posti delle storie di “molto tempo fa”: questi includono siti che hanno acquisito un potenziale pericoloso non nel Tempo del Sogno ma nel passato umano. Il potere pericoloso si è concentrato in questi posti in seguito ad una catastrofe locale.

Posti di morti recenti o malattie serie: i siti in cui le persone sono morte o dove si sono ammalate
seriamente vanno accuratamente evitati. 


Questi siti vanno accuratamente evitati. Per muoversi all’interno di un paese che non è il proprio bisogna farsi accompagnare da una persona che sia a conoscenza dell’ubicazione di questi luoghi. Lo sviluppo di identità e conoscenza di cui abbiamo parlato nei paragrafi precedenti trova nel caso dei posti pericolosi la sua massima espressione, il pericolo associato ad un posto può essere evitato o lenito attraverso un adatto comportamento strettamente correlato allo specifico luogo oppure con una efficace pratica rituale. La pericolosità di questi siti è data dalla presenza all’interno di essi del potere spirituale degli antenati, tutto il paesaggio è connotabile come un potere eterno ancora una volta “catturato” dalla stabilità della roccia. La nozione di potere è un punto centrale nella cultura aborigena, la sua prima caratteristica è di essere una forza omnipervasiva della realtà. Ogni manifestazione umana o ancestrale prevede una base di potenza a suo sostegno. Essere presente ovunque significa non avere forma propria, per questo il potere non è associabile alla qualità della materia entro cui è contenuto, ma è energia pura; su questo punto Thompson:

Quando un aborigeno della Terra di Arnhem vuole dire che qualcosa è duro perché divide con un progenitore ancestrale il suo potere spirituale, qualifica dal [duro in lingua indigena] come marryu - in virtù del märr [potere]. Un informatore a cui chiesi il significato di märr rispose senza esitazione ‘semplice potere, niente comparato al legno, niente comparato alla pietra - semplice potere’. Märr è
potere: non è forza come quella del legno, non è durezza come quella della pietra, è märr. 


Il potere pervade ogni cosa, si trova soprattutto nei posti ritenuti sacri perché luoghi di presenza mitica. Per comprendere questo bisogna sottolineare il fatto come la massima potenza attribuita agli antenati sia la possibilità di trasformarsi nelle caratteristiche fisiche del territorio: questa grande potenza dei sommi esseri dell’universo aborigeno è espressa nel territorio - così come negli oggetti sacri, in alcuni disegni e danze rituali. È quindi un paesaggio di potere quello che gli indigeni australiani si accingono ogni giorno a percorrere.



4.5 Il corpo aborigeno



Come il paesaggio anche il corpo, indice primo di presenza e strumento conoscitivo, ha un ruolo di primo rilievo nel mondo. Non si può dimenticare che la stessa presenza dell’uomo implica un cambiamento dell’ambiente in cui è inserito. Il corpo diventa allora il tramite grazie al quale entrano in relazione le più disparate categorie. Dalla produzione economica a quella spirituale, passando per il rituale e la mitologia, ogni espressione lascia una traccia nel corpo che, come vedremo è orma esso stesso. Corpo e paesaggio, persona e territorio, sono gli elementi base della cultura aborigena australiana, entrambi soggetti e oggetti, entrambi agenti ed agiti, il rapporto che intercorre tra loro è il fondamento per la comprensione del mondo circostante. In questo scambio attivo il corpo - nell’ambito dell’esecuzione della pratica cerimoniale - si fa interprete della storia racchiusa nel paesaggio, è il tramite. Lungo il corso di questo paragrafo metteremo in rilievo la sua presenza nel cosmo aborigeno, le sue varie caratteristiche e il suo stretto rapporto con il paesaggio che lo circonda.



4.5.1 Il corpo sociale e la descrizione dell’universo circostante



Il ruolo di primo piano attribuito al corpo all’interno dell’universo aborigeno risulta evidente allorquando si guarda agli aggettivi attribuiti ai diversi i soggetti sociali all’interno del gruppo, alle caratteristiche naturali dell’ambiente, agli oggetti presenti in generale nel cosmo indigeno. Franca Tamisari ci spiega come tutti i termini parentelari siano mappati sul corpo di modo che la spalla si riferisce al padre, il seno alla madre, lo stomaco ai figli, il polpaccio ai fratelli, la coscia al marito o alla moglie. Analogamente Schebeck ci descrive l’attribuzione delle parti del corpo alla morfologia del paese circostante: il collo è il fiume, il petto è il paese nella sua estensione, la schiena è l’interno del paese, l’occhio è una pozza d’acqua, i capelli sono le foglie. Nel primo caso l’identificazione dei parenti con le parti del corpo implica anche un’azione sulle stesse mediate l’operazione della scarificazione ossia l’incisione del corpo, ancora Tamisari:

Alla circoncisione o durante le cerimonie mortuarie di un parente stretto le donne si tagliano o si battono quella parte del corpo che nel linguaggio dei segni è associata a quel particolare parente. I parenti stretti affermano che tagliandosi condividono il dolore e dimostrano il loro amore e la loro
vicinanza emotiva. 


Il corpo diventa perciò un veicolo di comunicazione dello status sociale e campo di condivisione della dimensione affettiva. Nel secondo caso preso ad esempio possiamo invece ritrovare quella identificazione particolare con l’ambiente così peculiare per la cultura aborigena di cui abbiamo già discusso in precedenza. In una società che fa del corpo una mappa di riferimento per il riconoscimento e l’uso del proprio ambiente appare legittima la frase con cui gli aborigeni spiegano il loro rapporto con la terra ossia “dividere la carne con il paese”. E non si pensi in questa sede ad un significato metaforico della frase appena citata, tutt’altro, in un universo in cui l’identificazione tra uomo, paese e mito è totale, la relazione tra soggetti tematici che appartengono apparentemente a campi diversi davvero si pone sul piano dell’identità più semplice. Per una cultura i cui componenti si concepiscono anche come entità geografiche, come abbiamo visto nei paragrafi precedenti, e nella quale le relazioni parentelari sono definite in base a parti corporee, la carne divisa con il paese è proprio quella che vive, respira e suda nel presente del quotidiano esperito. Altri casi di “analogia” tra il corpo e l’esterno del vissuto ci portano a molteplici riflessioni, è ancora Tamisari che ci guida in questa nostra analisi:

Non solo i paesaggio ma gli animali, gli alberi e gli oggetti sono provvisti di “bocche”, “piedi”, e “nasi”. […] Gli oggetti sacri e gli oggetti che possono avere significati rituali o mitologici, come lance, propulsori, bastoni utilizzati nei combattimenti rituali e dillybags sono suddivisi in parti e nuovamente si utilizza la terminologia del corpo per descriverli. Poiché si dice che le canzoni rintraccino e seguano il sentiero o il passaggio segnato dal viaggio cosmogonico dell’antenato non è sorprendente che la terminologia dei canti faccia uso di termini indicanti le parti del corpo. La melodia di una canzone è la sua “testa”, il testo le sue “cosce”, un ritmo più lento è descritto come
“braccio” e uno più veloce come “corpo”. 


Dalla classificazione parentelare alla descrizione morfologica del territorio fino agli utensili ed alla pratica rituale musicale, ogni campo del vivere aborigeno sembra essere descritto dal corpo. Questo soggetto conoscitivo entra in ogni ambito del reale e ne assume presso di sé le qualità restituendole successivamente come espressioni nella sua fisicità. Il paesaggio, la “storia” e il gruppo sociale aborigeno si rispecchiano nel corpo e non solo metaforicamente. La carne in primo piano è testimone dell’universo circostante, come abbiamo potuto vedere nell’esempio della scarificazione, nelle piaghe della sua pelle l’uomo aborigeno incontra gli altri uomini in una solida espressione di comunione sociale.



4.5.2 I segni del corpo, il corpo dei segni



La scarificazione è solo uno degli esempi di come il corpo possa essere segnato per assumere valenza descrittivo-normativa, anche in altri casi, la carne dell’uomo può partecipare del mondo e di questo stesso essere espressione. Nelle cerimonie rituali ad esempio i vari gruppi appartenenti ai diversi gruppi totemici si disegnano la superficie corporea con colori e disegni ben precisi che rappresentano i loro progenitori ancestrali. La letteratura etnografica è generosa di studi sulla spiccata attività pittorica degli aborigeni australiani per i quali, davvero, l’arte assume una valenza sacra, visto che è anche attraverso di essa che viene alimentata la conoscenza e difesa l’identità di gruppo. Il corpo in molte cerimonie diventa la tela sulla quale viene scritta la storia di un antenato oppure si trasforma esso stesso in quel progenitore grazie all’identificazione possibile data da colori e disegni specifici. Usualmente il colore bianco è associato con la morte e con le ossa degli antenati, il nero significa vendetta e il rosso è simbolo di vitalità, richiama il colore del sangue ed è usato nelle cerimonie di gioia. Naturalmente colore e disegno vanno visti sotto l’ottica globale del rito cerimoniale poiché esso “può solo aiutare ad ottenere il risultato desiderato quando è creato nel giusto contesto ed è accompagnato dal canto delle canzoni associate”. Sul corpo dei partecipanti alle cerimonie vengono rappresentate nella loro stilizzazione le peculiarità del territorio come colline o pozze d’acqua, centri totemici, o animali mitologici. Sono tutte parti di una storia, segni che ricordano tracce da seguire, nel corpo ancora una volta un’indicazione spaziale, una spinta vitale al movimento. Tutti questi segni sono un corpo di interpretazione della realtà, ma non arrivano ad assumere una valenza di per se stessi, separati dal loro contesto culturale vengono snaturati, potrebbero assumere addirittura altri significati. Per questo è molto importante il livello di consapevolezza di chi li produce e di chi li osserva, come abbiamo già precedentemente osservato, Il sapere è stratificato e un particolare disegno può essere interpretato diversamente agli occhi di persone che hanno accesso a stadi differenti di conoscenza. In questo ambito certi disegni possono essere simboli dello status ottenuto. È anche importante sottolineare il fatto che anche i disegni sono parte integrante dell’identità del gruppo e per questo hanno un’importanza rilevante nell’educazione dei più giovani. In molti casi i non iniziati non hanno il diritto di vedere particolari espressioni grafiche che vengono disvelate loro solo al momento dell’iniziazione.

Dove le decorazioni sono “cantate” mentre sono applicate, esse sono imbevute di potere e magia, possono essere usate per dare a chi li indossa quel potere. […] Segnare il corpo è un aspetto importante per gli aborigeni come gli altri aspetti della cerimonia - azioni e accompagnamento vocale. La loro importanza è tale che nel caso in cui una decorazione fosse sbagliata il potere della
cerimonia potrebbe essere compromesso. 


I segni sul corpo definiscono perciò sia l’identità dell’individuo, sia come singolo che come membro di un gruppo sociale ben coeso. In più avviene un’ulteriore identificazione, quella con il mondo circostante, grazie all’uso proprio di materiali derivati dall’ambiente (colori vegetali o animali) per la pittura corporea.

Usare questi materiali rende l’uomo uno con la terra. 



4.5.3 Il corpo nel mondo, la sua azione e le sue tracce



Nello stesso modo in cui lo descrive, il corpo dell’uomo è attivamente presente in quel mondo di cui si fa interprete, per certi versi è lo stesso mondo che è chiamato a testimoniare.

Tra i Warlpiri il sé è percepito e compreso come un’estensione del “paese”. L’identità non è solo radicata nel paese, ma è il paese. Parlare del paese è parlare delle persone; dipingere il paese è dipingere le persone. Ancora di più, dipingere il paese è dipingere il Sogno. Per una estensione logica di questa forma possiamo sottintendere che dal punto di vista del mondo Warlpiri, le persone sono il Sogno. Nelle parole di un Warlpiri: “a Nyrripi, tutti Jukurrpa (Sogno).” Il Sogno fonde l’esplicazione dell’essere (ontologia) con le forze creative dell’universo (cosmologia). Il Sogno traccia l’ininterrotta continuità tra gli esseri umani e l’ambiente naturale. I Warlpiri comprendono il “paese” in parte come l’oggettivazione di una rete sociale stabilita mitologicamente. Per questo, l’organizzazione sociale e il paesaggio sono l’uno il riflesso dell’altro; il paese incorpora le relazioni tra le persone. L’identificazione con il paesaggio è radicata nella convinzione che la persona sia la
continuazione del posto. 


L’identificazione della persona con il luogo permette una comprensione totale del posto in cui si è situati, ma la conoscenza si sviluppa anche attraverso un itinerario durante il quale il corpo fa da guida. L’atto del conoscere è quasi sempre associato con la visione e per vedere le cose bisogna andare dove le cose sono, ossia è necessario viaggiare. Ancora ritorna la dimensione spaziale della mobilità: sin dalle prime manifestazioni degli antenati totemici tutta la conoscenza che si poteva avere del mondo era legata al fatto che la terra si doveva percorrere, e così è oggi per le popolazioni aborigene:

Viaggiare per terra, “vedere” e “partecipare” a questi luoghi aumenta la conoscenza delle persone e ne legittima l’autorità. Per affermare e rivendicare il fatto che una persona veramente conosce dati luoghi e gli eventi ancestrali associati ad essi, la gente Yolngu spesso racconta ed enfatizza come questa conoscenza sia derivata da lunghi viaggi in località distanti per cacciare e raccogliere cibo
stagionale o per presenziare a cerimonie. 


Dalla dimensione produttiva a quella religiosa la componente mobile della conoscenza risulta bene evidente, è fondamento di identità anche rispetto al passato mitico ancestrale se si assume che il territorio non sia “percepito soltanto come risultato delle trasformazioni effettuate dai corpi ancestrali, ma anche esperito come ordinato in una cornice spazio-temporale derivata dalle loro traiettorie.”  L’uomo influenza l’ambiente con la sua presenza anche negli spostamenti che compie, il centro dell’indagine che bisogna svolgere sulla conoscenza dell’ambiente (leggi paesaggio) e la relazione che questo ha con il corpo non deve considerare lo stesso corpo nella sua staticità, ma nella sua situazione di movimento ed azione. Come vorrebbe Merleau-Ponty il corpo, la carne dell’uomo, non è un mero oggetto che subisce passivamente le impressioni degli stimoli sensori esterni, ma un soggetto potente ed operativo in rapporto con oggetti che esso stesso concorre a formare con la sua esperienza. Per analogia quello che possiamo vedere nel paesaggio totemico impresso eternamente nella roccia non sono i corpi dei progenitori come appaiono nella loro semplice fisicità, ma sono le loro azioni congelate, fissate in un momento particolare del loro vagabondare creativo. Sono le tracce lasciate a memoria di avvenimenti passati. Il tema del segno è presente con un significativa importanza all’interno di tutta l’etnografia aborigena; in più la traccia sul territorio assume, come vedremo in seguito, una vera e propria valenza ontologica. Le stesse tracce sono un motivo molto usato nelle rappresentazioni grafiche delle popolazioni indigene dove i simboli totemici che identificano i diversi antenati sono appunto le impronte lasciate sul terreno dagli animali associati. Il corpo che lascia tracce, come abbiamo visto, non è solo quello dell’uomo, ma anche e in maniera più clamorosa, quello dei progenitori. All’abitante di questo universo sta il compito di interpretare questi segni.



4.6 Il rapporto formatore di corpo e paesaggio



Tutta l’analisi che abbiamo svolto lungo il corso si questo capitolo si è preoccupata di evidenziare, in un primo tempo sotto il punto di vista teoretico e successivamente nel caso etnografico particolare, come corpo e paesaggio siano le fondamenta su cui si costruisce la cultura aborigena australiana. In quest’ultimo paragrafo riprenderemo in considerazione l’idea del circolo virtuoso e dimostreremo come i due principali soggetti della nostra analisi si trovino in congiunzione all’interno di quel sistema autoalimentato. La tesi di questa esposizione vuole infatti evidenziare come questa unione sia fautrice di un rapporto formativo che si dimostra essere alla base di tutta la cultura indigena.



4.6.1 Il Circolo virtuoso



Il circolo virtuoso è una struttura particolare che si autoalimenta traendo l’energia per il suo sostentamento dall’interno della sua stessa conformazione. Il punto di forza di questa costruzione sta nel fatto che non ci sono interruzioni o dispersioni di qualità dato che gli elementi che concorrono alla sua formazione si trovano in stretta relazione tra loro. L’equilibrio del circolo virtuoso è preservato a patto che ogni elemento che lo compone alimenti gli altri e venga alimentato in un mutuo scambio di energia. Ciò che nasce da questa condivisione è un sistema che visto dall’esterno appare come un blocco unico: in realtà esso è composto da molti elementi uniti. In questa “comunione energetica” però la sua vera essenza non sta nell’identità dei singoli, ma piuttosto nei rapporti che questi elementi hanno tra loro. Come i punti di una circonferenza si uniscono a formare la figura che noi percepiamo, dimenticando la loro singola individualità, così le istituzioni che formano il sistema vanno interpretate nel loro rapporto attivo. La congiunzione è azione, una volta che il cerchio è chiuso e la struttura entra in movimento si crea un’energia che autoproduce anche sé stessa. Non si pensi però ad una costruzione monadica che non intrattiene contatti con l’esterno, al contrario il sistema è recettivo e pronto ad accrescersi con nuovi stimoli a patto, però, che queste nuovi elementi entrino in toto a fare parte del cerchio poiché restare a metà significherebbe aprire un varco causando una dispersione, un abbassamento del tenore globale del sistema che implicherebbe inutili - perché sprecati - sforzi di potenziamento per ottenere con lavoro maggiore lo stessa quantità di energia. Nello specifico caso etnografico abbiamo visto innumerevoli esempi dell’azione di questo sistema all’interno dell’organizzazione produttiva e spirituale degli aborigeni australiani, si ricordi a tale proposito il fondamentale rapporto che intercorre tra gli antenati e l’uomo. Il potere che distribuiscono i progenitori ancestrali investe con tutta la sua carica energetica l’uomo, la stessa sua vita inizia identificandosi con questi “padri”; si direbbe perciò che l’uomo sia in debito totalmente verso i suoi antenati, ma se guardiamo il sistema dal punto di vista del vissuto quotidiano allora appare che la possibilità che i luoghi sacri siano sempre pregni di energia e potere - e quindi lo siano gli esseri che in quei luoghi riposano per l’eternità - è data dalla continua azione che l’uomo svolge in favore di quei posti con cerimonie rituali che abbiamo definito accrescitive. Per questo allora si potrebbe ugualmente dire che siano gli esseri spirituali in debito con gli uomini. La presunta contraddizione è risolta assumendo un punto di vista esterno al sistema, allora risulta chiaro come il verso in cui si sposta l’energia non sia lineare e unidirezionale, ma assuma una direzione curvilinea. Il circolo virtuoso si chiude nello scambio reciproco di energia che si produce da sola in un’eterna alimentazione favorita dal “lavoro” di entrambe le parti in gioco. Una interessante caratteristica di questo sistema è la sua vita interna. Visto da fuori infatti può sembrare un’ingegnosa costruzione soddisfatta della sua stasi che gli assicura un futuro certo, invece all’interno è come un cosmo vivente. Esso assomiglia a quelle meraviglie della natura che sono i termitai che si possono vedere nell’Australia del nord: fuori solide costruzioni che sembrano quasi rocce, dentro un universo brulicante di vita: canali di comunicazione con l’esterno, cunicoli interni su più livelli, un’organizzazione sociale operativa ben definita ed un instancabile lavoro del singolo a favore dell’intero sistema. La produzione di energia non può prescindere dal lavoro del singolo, il circolo virtuoso è un sistema basato sull’azione.



4.6.2 Incorporazione ovvero



Nel segno dell’azione di sviluppa e vive anche tutto il cosmo aborigeno, dalla produzione di identità alla conoscenza, tutte le caratteristiche salienti sono accompagnate da una sforzo operativo. In questo paragrafo ci vogliamo occupare di un termine che, come abbiamo già sottolineano in precedenza, ricorre spesso nella letteratura etnografica e che, a nostro avviso, è testimone della conformazione di tutto l’universo indigeno; apparentemente esso dimostra qualità statiche: invece nella nostra analisi acquisisce un movimento che lo pone a ragione come uno degli elementi contenuti all’interno del circolo virtuoso, propulsore ed espressione stessa del sistema. Questo termine è incorporazione, nella lingua inglese originale embodiment.  Uno degli attributi più importanti che accompagna le più imparanti caratteristiche ontologiche del mondo aborigeno è incorporato (embodied). Gli antenati sono incorporati, il paese è incorporato, la legge è incorporata. Sembra che tutto il cosmo presenti una doppia dimensionalità in cui le cose oltre al loro aspetto esteriore si qualifichino per ciò che vi è celato all’interno. Ma più che nascosto si potrebbe definire come fuso, completamente assimilato. Così quando si asserisce che i padri totemici sono incorporati al territorio si intende, sulla base di prove tangibili, letteralmente che la presenza fisica di quegli esseri sia palpabile, e similmente quando si dice che la Legge è presente nel paesaggio davvero si sottintende una corporeità dimostrabile. Ma non bisogna soffermarsi alla superficie di questa relazione, è necessario indagare in profondo l’essenza del concetto di incorporazione. Apparentemente potrebbe sembrare che questa comunione ontologica all’interno di una determinata caratteristica ambientale o corporea implichi una cristallizzazione della situazione raggiunta, una certa locazione che per contro perde quel suo potere attivo che gli proveniva dal movimento, ma non è così. Visto dal punto di vista del movimento, a cui mai rinuncerebbe, il termine incorporazione assume nuove prospettive; già Tamisari ci orienta su questa strada dando dello stesso un’interessante versione grafica:




In questo modo si intende “accentuare l’aspetto dinamico di processi cosmogonici e epistemologici che si attuano attraverso il corpo.” Il movimento non è abolito, tutt’altro, esso viene descritto dal nome (nomen omen) come presente all’interno del corpo, un’entità che come abbiamo visto assume i più svariati aspetti. Ancora di più di potrebbe dire del termine incorporazione pensando alle parole, singole entità, che contiene: “in”, “corpo” e “azione” che, mescolate con un sottile gioco di trasposizioni, vanno a creare un nuovo significato: “azione” “in” “corpo”. La presunta immobilità del termine è rovesciata in un’azione presente nel corpo perché dal corpo effettuata, interno ed esterno si congiungono nella pratica, il soggetto che compie l’azione è lo stesso che presenta al suo interno i segni del suo operato. Per descrivere questa situazione introdurremo una nuova versione grafica del termine tanto dibattuto: incorporazione. Al posto della barrette divisorie le frecce bidirezionali e l’arco di congiunzione sottolineano l’attivo rapporto di relazione che intercorre tra i tre concetti contenuti nella parola. La comunicazione tra i tra blocchi tematici avviene su un piano totale, ognuno dei tre ha rapporti con gli altri: l’azione è favorita dal corpo e presente all’interno di esso, entrambi poi si possono ritrovare dentro (in) a qualcos’altro come, ad esempio, il paesaggio della mitologia aborigena. Ancora una volta siamo di fronte al modulo organizzativo del circolo virtuoso, nel quale tutti i componenti del sistema alimentano e seguono il flusso energetico della “macchina” che le loro singole produzioni hanno permesso di sviluppare. Il concetto di incorporazione è uno dei massimi esponenti di questa organizzazione produttiva, basti pensare agli aspetti trattati nell’etnografia aborigena. La produzione di identità, per esempio, è associata all’assunzione di particolari caratteristiche di somiglianza con l’antenato ancestrale, queste forniscono un adeguato livello di conoscenza grazie al quale l’identità viene continuamente rafforzata. L’incorporazione di determinate peculiarità fonda il sistema di identificazione e conoscenza che, preso il via, si alimenta da solo indipendentemente dalle situazioni esterne. In tutto questo il corpo ha un ruolo fondamentale, specialmente in riferimento alla pratica rituale, su questo punto - come vedremo nel prossimo capitolo - porremo l’attenzione sulle pratiche di esecuzione (performance) della cerimonialità, al modo in cui, attraverso l’uso del corpo, viene resa nota e negoziata l’ontologia del paesaggio.



4.6.3 Il segno orma



L’azione dell’uomo, sua caratteristica peculiare, lascia qualcosa al suo passaggio, questi segni sono delle tracce. Come disseminate lungo un sentiero che esse stesse concorrono a creare, le tracce diventano indizi, i lasciti dei progenitori ancestrali sono lì a testimonianza e a spiegazione del passato mitico, ma sono anche la stessa Legge, prescrizioni da osservare. Dove c’è un segno sul terreno questa è un’orma. La tematica dell’orma è molto sviluppata presso le popolazioni aborigene, il termine che gli Yolngu usano è djalkiri:

letteralmente “piede” e, per estensione, “orma” e “passo” sono i termini spesso utilizzati per riferirsi ai vari aspetti delle legge (rom) originata dalle azioni e dai viaggi cosmogonici di esseri ancestrali. […] In generale, djalkiri si riferisce a tutti i segni visibili lasciati da esseri ancestrali come luoghi nominati e aspetti morfologici del paesaggio (wa:nga), relazioni di parentela tra gruppi derivate dalla loro rispettiva posizione sul territorio (gurrurtu), la lingua come narrazione delle gesta e dei viaggi degli esseri ancestrali (dha:wu), dei nomi personali (ya:ku) e di gruppo (bundurr o likan). Inoltre djalkiri si riferisce anche al modo corretto di agire che è stato insegnato agli esseri umani per cacciare, raccogliere, per preparare il cibo, costruire strumenti e per eseguire dipinti (dhulang),
canzoni e danze (manikay e bunggul) che sono spesso associati a tali pratiche. 


Il concetto di orma sembra invadere ogni campo di organizzazione nella società aborigena. Davvero la potremmo considerare come il punto di intersezione tra l’uomo e il mondo, in più la loro particolare organizzazione in sequenza - come gli anelli di una catena - richiama ancora una volta un’importante punto di indagine che abbiamo precedentemente sviluppato: il movimento. L’impressione del territorio è testimonianza della presenza dell’uomo, dei suoi padri totemici, degli animali a loro associati, dei fenomeni naturali geomorfologici; l’orma assume una valenza ontologica di per se stessa, è documento e indicatore di una strada da seguire, strumento ed oggetto in analisi epistemologica, ed ancora è “‘un corpo vivente’ e ‘un corpo sapiente’, una percezione/coscienza del mondo e un’in/corpor/azione nel mondo, un frammento ed un agente dello spazio, prodotto e attore di relazioni sociali, soggetto ed oggetto di azioni ed esperienza.” Il corpo sociale, quello fisico e quello rituale vivono nell’orma la loro presenza nel mondo. Soggetto ed oggetto entrano in comunione all’interno di quel segno che è testimone dell’uomo, dell’ambiente e dei padri totemici. L’identificazione - o a questo punto converrebbe dire la fusione - è totale, l’uomo nell’orma è completamente esso stesso e il suo progenitore ancestrale, la collina dalla forma particolare e l’animale in essa racchiuso L’orma è quel punto del circolo virtuoso della cultura aborigena australiana per il quale tutti i componenti del sistema sono costretti a passare, e in questo passaggio ognuno di essi lascia una sua testimonianza che è proprio quello che il segno orma lascia trasparire. La vera essenza di quella che gli Yolngu chiamano djalkiri è composta dalla commistione di più elementi diversificati, sono tutte le manifestazioni dell’universo aborigeno che convergono a formare quella che pur nella sua staticità fissata nel terreno rappresenta il massimo grado di movimento, la convergenza di un universo, tempo e spazio, stasi e movimento, soggettività ed oggettività, in un singolo punto. Come ci suggerisce Nancy Munn, le orme:

costituiscono una forma grafica che è un punto di intersezione tra il corpo, le produzioni del corpo, e il terreno: in questo senso esprimono una relazione tra il corpo e il terreno. In più, evocano un senso di passaggio, moto e mobilità connessa con il movimento corporeo sebbene, come le caratteristiche
del paese, siano forme spaziali statiche. 



4.6.4 L’unione di corpo e paesaggio



In conclusione ricordiamo i punti salienti della tesi principale di questa esposizione. L’analisi di Edward Casey ci ha spinto a riconsiderare il posto come unità base della spazializzazione umana, punto di incontro di tempo e spazio; lungo questa direzione, riferendoci al caso etnografico degli aborigeni australiani, abbiamo riscontrato come effettivamente il posto sia l’unità di misura dell’universo indigeno. Ogni singolo luogo è stato teatro di importanti avvenimenti legati ai progenitori ancestrali e resta a memoria del mitico Tempo del Sogno. L’unione di più posti forma quello che l’etnografia ha chiamato paesaggio totemico: una linea di siti sacri uniti dal percorso di un particolare antenato che raccontano, nella loro conformazione geologica, tutti gli avvenimenti del passato. Il paese di appartenenza è per la cultura aborigena australiana un’entità viva con la quale si riscontra un’identificazione totale, il paesaggio, custode del passato mitologico, racchiude al proprio interno l’identità, la Legge, l’essenza stessa del gruppo che lo riconosce come proprio, è il riferimento principale, una sorta di libro sacro in codice nel quale sono scritte la storia e i modelli comportamentali di tutta la cultura indigena. Come tutti i codici però va interpretato, ci vuole un tramite, un soggetto altrettanto forte che possa fare da congiunzione tra le disposizioni eternamente fissate (nel terreno) dagli antenati totemici e la loro applicazione nel quotidiano del vissuto. Questo soggetto di unione è il corpo nella pratica cerimoniale rituale. Durante tutte le cerimonie il corpo diventa interprete del passato ancestrale, sul corpo vengono dipinti disegni con motivi associati agli antenati totemici, nelle canzoni e nelle danze gli attori si trasfigurano assimilandosi ai mitici progenitori, raccontando le loro storie, spiegando la particolare morfologia del territorio, chiarendo i motivi delle pratiche sociali quotidiane e delle prescrizioni, regolando i rapporti interpersonali e quelli tra i diversi gruppi totemici. Paesaggio e corpo sono per questo in un continuo e fondamentale rapporto formatore, questo è il punto che si è voluto evidenziare lungo tutta il corso si questa esposizione, come la forte presenza di corpo e paesaggio si possa riscontrare in ogni espressione indigena. Nella struttura del circolo virtuoso essi rappresentano l’essenza delle due direzioni di movimento del sistema, senza la loro propulsione la macchina non partirebbe. Sono i due sensi di marcia, il loro rapporto interattivo crea una “tensione” che si sviluppa nell’energia motrice necessaria a sostenere il “regime di viaggio”. Corpo e paesaggio sono una seconda natura all’interno del mondo aborigeno, dei microcosmi regolati da leggi proprie in continua comunicazione reciproca. Proprio questa comunicazione fa sì che il loro rapporto stia alla base di tutte le istituzioni culturali prese in esame. L’identità non sarebbe tale senza un paese in cui riconoscersi, e la conoscenza a ben ragione si può dire derivi dal paesaggio, la Legge, poi, è profondamente inscritta nelle caratteristiche geomorfologiche del terreno. Il corpo similmente è attore protagonista e strumento di “verifica” della realtà: le sue parti sono usate per descrivere legami parentelari e l’ambiente circostante, sulla sua superficie si riproducono e vengono narrate le storie degli antenati ancestrali attraverso disegni e colori ad essi associati, l’intero universo aborigeno subisce un processo di incorporazione, cioè viene spiegato con metafore ed analogie che prendono come principale soggetto l’orma umana. Corpo e paesaggio uniti insieme si costituiscono in un rapporto formativo, ossia creano la base per la comprensione dei fenomeni naturali e soprannaturali, si ergono a testimoni del Tempo mitologico del Sogno, sono essi stessi un universo di significati. Sono le basi per la formazione personale e sociale di ogni singolo individuo, gli strumenti necessari alla trasmissione della cultura all’interno del gruppo. Queste argomentazioni teoriche sostenute dalla letteratura etnografica, nel prossimo capitolo saranno confrontate con la pratica quotidiana del rituale musicale. La musica, i suoi stili, la sua esecuzione e i suoi argomenti intrinseci saranno il testimone della fondamentale importanza di corpo e paesaggio all’interno della cultura aborigena australiana.



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