TORNA ALL'INDICE


IL RAPPORTO FORMATORE DI CORPO E PAESAGGIO NELLA CULTURA ABORIGENA AUSTRALIANA IN RIFERIMENTO ALLA PRATICA RITUALE MUSICALE

di Alberto Furlan

Capitolo Terzo

Ontologia aborigena


3.1 Introduzione

3.2 The Dreaming ovvero il Tempo del Sogno

3.2.1 Il mito

3.2.2 I progenitori ancestrali totemici e il loro cammino: morfologia, trasformazioni e prescrizioni

3.2.3 Il Paese creato

3.3 Organizzazione sociale

3.3.1 Il totemismo

3.3.2 La legge

3.3.3 La proprietà e la conoscenza

3.3.4 I paesi e i confini

3.4 Mito, cerimonie e manifestazioni artistiche rituali

3.4.1 Segni e disegni

3.5 Il circolo virtuoso e i suoi elementi: un’introduzione



3.1 Introduzione



Analizzata nelle pagine precedenti la situazione politica e sociale delle popolazioni aborigene al cospetto dell’Australia Bianca, in questo capitolo ci proporremo di descriverne la vita “tradizionale” enucleandone l’ontologia ed il sistema cosmologico-culturale. Oggetto della discussione che seguirà saranno i concetti cardine del sistema rituale-sociale delle popolazioni indigene: il Tempo del Sogno, il paese, eternità e presenza, la Legge, la proprietà, il totemismo. L’analisi prenderà spunto da costanti riferimenti all’etnografia analizzata e pertanto si riporteranno, quanto più fedelmente attinenti al testo originario, una serie di miti che ben descrivono il cosmo aborigeno, le pratiche rituali e la “mitologia” interna ai vari gruppi. Verrà poi introdotta, per essere enucleata completamente nel capitolo seguente, la tesi principale di tutta questa esposizione ossia come corpo e paesaggio siano in costante rapporto formatore e concorrano a creare la coscienza culturale e sociale delle popolazioni aborigene australiane. L’interazione di queste due costanti è così insita nell’individuo - si potrebbe dire nella stessa sua conformazione fisica - che risulta evidente anche in riferimento ai concetti che andremo a descrivere nei prossimi paragrafi. Ogni aspetto della cultura indigena non può prescindere da un confronto con corpo e paesaggio, queste due “guide” influenzano e determinano tutta la visione che le popolazioni autoctone hanno del mondo.



3.2 The Dreaming ovvero il Tempo del Sogno



Presenti in ogni cultura, i miti dell’origine assumono presso gli aborigeni australiani una particolare importanza che risiede nella particolare dimensione temporale a cui essi sono collegati. Non si tratta, come in altri ambiti culturali, di un’età dell’oro passata e rimpianta; lontana da essere una dimensione esaurita, l’era della creazione si rinnova tutti i giorni nel mondo indigeno australiano attraverso rituali che a quella età fanno riferimento. Sono riti che narrano le gesta dei principali attori di quel tempo: i progenitori ancestrali totemici le cui azioni, come la loro stessa era, sono eterne e restano imperiture nel tempo poiché hanno contribuito a formare il mondo come le popolazioni indigene australiane lo vedono oggi. I progenitori totemici hanno indicato la strada, descritto il mondo come doveva essere, e definito rituali che a tutt’oggi sono completamente seguiti dai loro discendenti. Essi restano presenti nelle loro azioni che sono eterne perché eternamente riproposte nelle storie e nelle canzoni rituali del passato, imperiture perché base di ogni pratica rituale presente. È un mondo formato da mitiche gesta che va continuamente sostenuto con azioni di pari intensità: ricordando e cantando cosa accadde in quel tempo gli aborigeni conoscono il loro destino.

“L’uomo bianco non ha sogni, Egli va in maniera diversa. L’uomo bianco non ha sogni
Egli va solo per la sua strada”


Sentenziava un aborigeno descrivendo la differenza tra il suo mondo e quello dell’Australia Bianca in un’intervista raccolta da William Stanner. Ci sarà sempre una direzione in cui andare per una popolazione che ha fatto del paese in cui vive una risorsa alimentare e spirituale. Per gli aborigeni la terra è questo: dispensatrice di sostentamento e creatrice di significato. Tutto il paese ha una storia ed ogni storia si può raccontare e tramandare, c’è un motivo per l’esistenza di ogni cosa a vista d’occhio nel territorio aborigeno e queste ragioni vengono da quell’era mitica di formazione in cui i progenitori hanno creato con le loro azioni e le loro canzoni la terra su cui i loro discendenti vivono. Una caratteristica assimila nelle loro differenze le varie popolazioni indigene australiane: tutte riferiscono la loro nascita ad un ben determinato periodo e di questo danno ampie spiegazioni: è il Tempo del Sogno - noto come Dreaming - in questo tempo gli antenati prendono vita e formano con la loro azione tutto il mondo. Non è immaginabile essere vivente che non abbia una stretta relazione col Tempo del Sogno e questo perché è in quel periodo che tutto il creato ha visto la luce. Il Sogno si connota come avente un vasto numero di caratteristiche dai molteplici aspetti: è l’era mitica in cui gli antenati uscirono dalla terra e formarono con le proprie gesta tutta la terra come esiste oggi, ma è anche lo stesso progenitore totemico padre del gruppo totemico di cui ogni aborigeno fa parte e il suo gesto è legge: esempio e prescrizione comportamentale per ogni pratica rituale e relazione che intercorre tra l’uomo e le altre specie. “Il sogno è sia un modello che una celebrazione della vita” ci suggerisce Deborah Rose, nel Sogno è presente una narrazione di eventi accaduti, una serie di avvenimenti che ancora accadono e una sorta di “logos o principio di ordine che trascende qualsiasi cosa abbia un significato per l’uomo aborigeno.” Un’ulteriore riflessione si può fare ponendo l’attenzione sullo stesso termine che si riscontra nell’originale inglese per Sogno ossia Dreaming. Fu William Stanner ad adottare per primo questo vocabolo in opposizione alla definizione “classica” di Dreamtime di Spencer e Gillen; la differenza con la tradizione è chiara nella forma verbale del gerundio che evidenzia e descrive una natura temporalmente non finita, una sorta di eternità in divenire. Il Sogno è una dimensione temporale dai molteplici aspetti; un altro felice termine di William Stanner descrive questa pluralità temporale e attuale: il Sogno è ed opera everywhen, in ogni quando. Se il Sogno si caratterizza come eterno, questa eternità ci appare quasi paradossale perché non sembrerebbe sensato pensare ad un passato - che per definizione è concluso - in termini di una durata senza fine. Ma ad una attenta analisi non potrà non risaltare la peculiarità di questa dimensione che non si qualifica come fissa, ma al contrario contiene al suo interno un principio di continuo mutamento. L’eternità del Sogno si rispecchia nel presente che di lei è immagine attuale, non fissa per sempre momenti a cui rivolgersi, cristallizzati poiché stabilmente assicurati dalla narrazione mitica, ma considera la stessa vita del quotidiano come sua parte integrante. È un’eternità presente e autoriproducentesi in ogni rituale praticato. Come ci fa notare William Stanner: “né tempo né storia come noi li intendiamo possono essere compresi [nella sua definizione].” Si potrebbe pensare anche ad una eternità simbolica in termini di eterna rappresentazione di un mondo idealizzato, e questo può essere vero, ma solo in parte perché seguendo la descrizione di miti e di leggende aborigene ci si renderà ben conto che non si tratta solo di rappresentazioni immobili di un passato d’oro da venerare e rimpiangere proprio perché concluso. Potremmo anche porre l’accento su questo Tempo del Sogno come una chiave interpretativa - ma ben attiva - della realtà. E se Stanner definisce questo periodo come “magnificazione della vita” a noi apparirà quasi come un originale di stampa - ma si badi: non un negativo - di un mondo che da quel periodo prende le caratteristiche e che guarda a se stesso come immagine riprodotta ma in continua evoluzione. Evoluzione presente in una continua pratica rituale a beneficio del tempo mitico e del mondo creato in quel periodo. “Una terra non cantata è una terra morta” è frase ricorrente nell’etnografia a proposito della necessità di una continua azione di sostegno del mondo per tramandare correttamente quella che è eternità presente agli occhi di tutti. Ma è una eternità che nel suo trasporsi nel presente fattuale ha bisogno di un’azione quotidiana - e non solo perché il ricordo non è delegato alla scrittura - ed arriva ad essere una dimensione che apre nuovi orizzonti nell’interpretazione del tempo. Azzardando un paradosso, e guardando verso quella commistione di eternità e attualità che è il cosmo aborigeno, potremmo descrivere questo mondo come eterno in evoluzione. Nel suo corrispettivo presente l’eternità del sogno ha raggiunto la consacrazione che gli mancava: dopo la stabilità, il cambiamento nell’uguaglianza a sé stessa. Cambiare ma non diventare mai diverso da sé. Per una precisa descrizione della complessità del Sogno seguiamo Fred Myers, antropologo americano che ha condotto più ricerche tra la gente Pintupi del deserto del centro Australia:

Molto di più che un insieme di semplici storie, il concetto del Sogno è basilare per l’interpretazione della realtà per i Pintupi. La distinzione tra il Sogno e gli altri è insita in ogni elemento del loro universo. Sia il paese (il paesaggio e le sue forme) che le persone sono pensate come derivate “dal Sogno” (tjukurrtjanu), la base dell’essere. I Pintupi descrivono una grande collina nelle catene montuose Kintore, per esempio, come il corpo di una grande lucertola, ngitanka, che venne da ovest. A Kintore, la lucertola incontrò un gruppo di donne e bambini che danzavano. Li uccise con la sua coda, alzando la testa nella posizione che è rappresentata nella forma del paesaggio, trasformata in pietra (purlirringu). La collina che nacque è nota come Yunytjuntya, in riferimento alla gola tesa della lucertola (yunytju). Quando i Pintupi usano il termine “Sogno” possono riferirsi sia alle specifiche storie che all’intera epoca creativa della quale le storie fanno parte. La narrazione dell’antenato viaggiante che uccide le donne danzanti divine, allora, il Sogno Lucertola. Un’importante opposizione semantica rivela la consistente ontologia che sottende la concettualizzazine del Sogno per i Pintupi. Quando descrivono gli eventi, i Pintupi mettono in contrasto il Sogno con quegli eventi o storie che sono yuti. La parola yuti significa visibilità o qualche altra forma di presenza sensoria di un oggetto ad un soggetto. Una persona può dirigersi verso una scure che vuole prendere in prestito con la frase “È là, visibile” (yuti). Un canguro che spunta da un cespuglio per i Pintupi “è diventato visibile” (yutirringu). Ma anche altri sensi comunica l’informazione che fa un oggetto yuti. Per esempio, un guaritore nativo una volta mi ha detto che era certo che una macchina stesse per entrare nel nostro campo. Dopo avere aspettato e ascoltato per alcuni minuti, egli ritornò da me trionfante e disse “Ascolta, il suono del motore è diventato yuti”. Che qualcosa sia yuti o non lo sia è molto importante per i Pintupi che ripongono una grande enfasi sull’esperienza personale e distinguono tra quello che è visto di persona e ciò che è riportato di seconda mano. Il contrasto tra yuti e tjukurrpa, comunque, non dipende da quello che una persona ha visto o meno. Quando una persona può vedere un evento, questo è descritto come yuti. Ciò che è critico ontologicamente non sta nel fatto che una persona sia stata testimone di un evento, ma che l’evento possa essere “testimoniabile”. Una persona arrivata in ritardo durante una narrazione spesso pone delle domande circa la qualità del racconto: “Stai parlando del Sogno?” “No” può essere la risposta “non Sogno, Sto parlando del visibile” (yuti), o “non Sogno, sto parlando di quello che è realmente accaduto” (mullarrpa). Poiché la parola mullarrpa usualmente significa “reale”, “vero”, o “attuale” come opposta a “falso”, “fittizio” o “bugia”, il suo contrasto con il concetto del Sogno può confondere le idee. Comunque il Sogno non è visto né come una finzione né come una bugia. Infatti non c’è una categoria di finzione narrativa nei Pintupi. Una storia è accaduta oppure no, se non è avvenuta è una bugia. Le relazioni tra questi due regni dell’universo (tjukurrpa e mullarrpa) non è, perciò, una semplice opposizione logica. Piuttosto il Sogno costituisce la base per la formazione del mondo quotidiano del visibile. Quello che chi parla definisce scegliendo tra queste parole è se un avvenimento si possa considerare nel regno fenomenico (mullarrpa) o in quello noumenico, se sia o meno testimoniabile. Per i Pintupi la veridicità del Sogno è assicurata, non importa quanto imperfettamente possa essere conosciuta dagli umani che non la possono testimoniare. Le storie non “esistono solo per divertimento”: sono accadute realmente. L’esistenza della collina della lucertola è prova sufficiente che l’avvenimento sia realmente accaduto, come postulato. Per questo gli informatori mi assicuravano sulla verità della storia del Sogno insistendo sul fatto che essi avevano visto il posto dove tutto era accaduto. I Pintupi applicano la teoria dell’esistenza a ogni caso nel loro mondo. Persone, abitudini, morfologie geografiche, tutte sono state originate dal Sogno. La frase che essi usano - “dal Sogno, diventa reale” (tjukurrtjanu, mullarrarringu) - rappresenta un passaggio attraverso due piani dell’essere. Del Sogno si dice che possa trascendere il presente, similmente anche il paesaggio, composto di varie storie, può trascendere l’immediato. Frequentemente conosciuti come antenati ancestrali nella letteratura antropologica, i personaggi mitologici del Sogno viaggiarono da posto a posto, cacciando, eseguendo cerimonie, combattendo e alla fine si trasformarono in pietre o “andarono nel terreno”, dove stanno. Le azioni di questi esseri potenti - umani, animali o mostri - hanno creato il mondo come esiste oggi. Gli hanno fornito la forma esterna, identità (un nome) e la struttura interna. Il deserto è segnato dalle loro piste di viaggio e, come la traccia dell’animale che lascia un impronta di ciò che è accaduto, la geografia e le particolari conformazioni della terra - colline, torrenti, laghi salati e alberi - sono i segni delle attività dei progenitori. I posti dove eccezionalmente avvennero significativi eventi, dove resta il loro potere, o dove gli antenati andarono nel terreno e vi rimasero sono speciali siti sacri (yarta yarta) perché la potenza ancestrale è vicina. Per quasi tutto il paesaggio il paese prende nome dal Sogno per gli eventi o per le cerimonie e le canzoni associate. Mentre le azioni del Sogno danno nome ed identità a ogni luogo, le connessioni che una storia può costituire tra diversi luoghi li lega insieme in una grande paese le cui parti si dividono l’identità. Altri aspetti della vita Pintupi derivano da questo tempo. Ripetutamente si sente riguardo a costumi ed esseri umani che “dal Sogno, divennero reali”. Niente è creato dagli esseri umani, era tutto là, “dall’inizio”. I Pintupi credono che il Sogno abbia lasciato dietro di sé in diversi posti la potenza creativa - o l’essenza spirituale - di tutte le specie naturali e degli esseri umani. Parlano di concezione e di nascita come l’emersione di un individuo dal piano del Sogno verso il piano fisico e fenomenico dell’esistenza. Logicamente, allora, la concezione a cui i Pintupi si riferiscono avviene quando la madre la prima volta si accorge di essere incinta. Di un individuo si dice che è stato “seduto come un essere del Sogno” (nyinama tjukurrpa) e che dopo è divenuto visibile (yutirringu). Alternativamente, la trasformazione può essere caratterizzata come “diventare corpo” o “diventare un essere umano” (yarnangurringu). Gli individui sono pensati come esseri lasciati indietro (wantingu) dal Sogno che per conseguenza sono emersi nel mondo del quotidiano. La nascita allora rappresenta un movimento dalla significante, invisibile, temporalmente precedenti situazione verso una presente e visibile; piuttosto chiaramente lo spirito di un individuo preesiste, autonomamente, anche senza il contributo dei genitori. Il Sogno lega anche le persone e il posto. Il posto da cui lo spirito di una persona proviene è il suo posto-Sogno, e la persona è un’incarnazione dell’antenato che ha fatto quel posto. Il Sogno di una persona fornisce la fonte di base per la sua identità, un’identità che preesiste. Non è inusuale sentire le persone descrivere le azioni del Sogno in prima persona. Per i Pintupi gli individui vengono dal paese e le relazioni forniscono una base primaria per il possesso dei siti sacri e per vivere in quell’area. Perciò le sistemazioni odierne sono prefigurate dal Sogno, per questo i Pintupi dicono che seguono il Sogno.
Come un’invisibile cornice di questo mondo, il Sogno è un prototipo cosmico.


L’autorità di eventi occorsi in quel tempo non è mai messa in discussione perché, per un rapporto di autoconferma, i segni della sua azione sono già garanzia di esistenza di un periodo in cui accaddero quegli avvenimenti e sulle modalità di questa azione mai si argomenta perché è chiaramente visibile con uno sguardo al paesaggio. Infatti come più volte sostengono gli indigeni intervistati: “quello che vedi lo puoi credere”. E non c’è niente di più vero, per gli indigeni: per loro tutti gli aspetti dell’insegnamento dei progenitori sono letteralmente veri, non devono mai essere modificati. Questo è stato un primo fattore dell’incomprensione occorsa tra popolazioni autoctone, missionari e colonizzatori; alla ricerca dei significati ultimi dei miti essi non hanno compreso la semplice verità, quella che loro chiamavano mitologia aborigena, per gli abitanti del continente australe era semplice realtà. Per questo “Dal Sogno, diventa reale” è la frase usata molte volte per giustificare un avvenimento o una pratica rituale, le cose sembrano confermare il loro modo di apparire attraverso un passaggio tra due piani diversi dell’Essere: uno mitico ed uno terreno, entrambi - comunque - due facce della stessa medaglia. Il Sogno trascende il presente nel suo essere quasi luogo-idea platonica, però dell’idea platonica non ha la purezza poiché è esso stesso fonte di vita con la sua potenza creativa. Il Tempo del Sogno ha lasciato dietro di sé alcune cellule vitali che risiedono nei principali luoghi rituali totemici, il sogno si dimostra essere a pieno titolo annoverato anche nel piano fenomenico delle evidenze fisiche. I luoghi in cui agiscono i progenitori totemici sono serbatoio di vita e possibilità di continuazione della specie totemica di cui fanno parte e ne sono massimi rappresentanti. Sono i posti del sogno, importanti riferimenti per la vita cerimoniale e magazzini di oggetti di grandissima importanza sacrale, luoghi dell’identità di un gruppo. Tempo e spazio sono quindi caratteristiche sovvertite nel tempo e nel reale mondo aborigeno; laddove “il tempo è schiavo della nozione della continuità” lo spazio si dimostra essere la linea rossa di congiunzione di eventi legati tra loro da attimi eternamente in movimento. E se Myers sacrifica la nozione di evoluzione storica - e gli daremo ragione almeno in parte - a discapito di una sicura ritualità temporale a ciclo continuativo ben definita, noi porremo l’attenzione sul rapporto che intercorre tra tempo ed eternità e vedremo come questo rapporto non sia obbligatoriamente sacrificabile ma in un critico rapporto di equilibrio il cui ago della bilancia sarà lo spazio. Resta comunque il fatto che l’importanza di una base mitica immutabile è presso gli aborigeni australiani certezza stessa di esistenza del mondo, e, come direbbe de Martino, “sicurezza contro il rischio di perdersi.” E per questo alla domanda spesso loro rivolta circa le motivazioni di una azione rituale piuttosto di un’altra la risposta è: “non lo so, sto seguendo il Sogno.” Questa prescrizione, vitale addomesticazione del passato e del futuro che libera dall’angoscia territoriale demartiniana, è vera e propria Legge ove, con le distinzioni del caso, con questo termine si intendono una serie di peculiarità di ampio raggio. E definire questo lasso temporale con caratteri legislativi, enfatizza non solo le norme che in quel tempo furono sancite ad eterna disposizione, ma descrive fermamente il principio che si sottende, le gente deve preservare il sogno mantenendo la Leggeper le generazioni future. Per questo non solo il Sogno dice all’uomo come il mondo è stato creato, ma gli garantisce anche che sarà sempre così; vedere riproposta in una formazione rocciosa la stessa narrazione che si è sentita nei cicli delle canzoni rituali è una rassicurazione sul fatto che la vita dell’uomo e dell’essere, come le rocce, resteranno per sempre immutate. Secondo l’etnografia “il Sogno organizza l’esperienza in modo che appaia continua e permanente,” ma di più potremmo asserire che, riproponendosi nel presente rituale, l’eternità del Sogno si migliora istituendo la base per una intera ontologia. Come suggerisce Dianne Bell:

Il Jukurrpa non è un fissato e immobile punto di riferimento. È un’accessibile forza vivente nelle vite della gente di oggi, proprio come lo era nel passato. Qui sta il potenziale strutturale per il cambiamento, il modo aborigeno di incorporare i cambiamento con il loro cosmo. Il dogma del Sogno definisce che tutto il mondo è conosciuto e può essere classificato all’interno di una tassonomia creata dagli antenati ancestrali. Tutto il possibile comportamento è coperto dal codice morale stabilito attraverso le attività degli eroi ancestrali. Nel Jukurrpa fu stabilita una Legge onnicomprensiva che lega le persone, la flora, la fauna e i fenomeni naturali in un sistema mondiale interfuzionale. Questa
Legge e l’ordine stabilito dagli esseri ancestrali è immutabile. 


Esistendo simultaneamente nel passato nel presente e nel futuro, il Sogno si dimostra essere forza saldatrice dell’intero universo, asse di rotazione e di traslazione che pervade ogni realtà con i suoi molteplici significati. Stabile parentesi temporale passata ma anche dimensione sempre in gioco, il Sogno non è un processo finito, al contrario, seppur separato dalla sua qualità eterna dal mondo reale è una fonte continuamente attingibile per ogni pratica normativa od esplicativa. Contiene al suo interno le strutture fondanti del mondo, unisce animali e uomini, ambiente naturale e avvenimenti mitologici. È la storia dell’universo, storia che si può leggere nel paesaggio formato in quel tempo, un paesaggio che è come un libro da cui leggere di un passato mitico, in cui esseri speciali fondarono il mondo, esseri che risiedono nelle sue pagine e che, come lui, sono eterni. La straordinarietà della cultura aborigena si rivela in questa stabile presenza di un’era mitica. Dove non si scorda mai il tempo che fu, il mito viene vissuto nel quotidiano, ma non in semplice maniera venerativa, il mito è presente nel terreno che si calpesta, nelle piante che si raccolgono, negli animali che si cacciano. Il Sogno è realtà e mai prima d’ora il detto “sognare ad occhi aperti” potrebbe esser adeguato alla situazione. Gli occhi ben spalancati su un mondo che non solo è immagine di quel tempo ma è lo stesso tempo. Il passato si fa presente e il futuro riabbraccia il passato in una sorta di fusione temporale che sovverte la curva spazio temporale. Il luogo creato è azzerato temporalmente in una dimensione eternamente presente, una base di eventi in cui il presente si specchia riconoscendosi di passato vestito. Il flusso temporale è sciolto nelle eterna presenza del Sogno che, come nuova dimensione, entra a fare parte del presente storico. Deborah Rose definisce questo sistema in cinque punti fondamentali:

il sistema è contenuto in se stesso e regolato in se stesso le parti sono interconnesse non è necessario che ogni parte sia in costante comunicazione con le altre perché ogni parte stimola azioni che sono esse stesse informazioni per le altre parti il sistema ha la potenzialità di rompere il suo equilibrio e di
ristabilirlo non c’è gerarchia, né azione centrale 


Tutto quello che esce dalla terra nel Tempo del Sogno si conosce e conosce gli altri, sa quale è il suo
posto e conosce la propria Legge, come ci ricordano le parole di un aborigeno:


La gente bianca ci chiede sempre cos’è il Sogno [Dreaming]. Questa è una domanda difficile perché il Sogno è realmente una cosa grande ed importante per la gente aborigena. Nel nostro linguaggio, Yanyuwa, noi chiamiamo il Sogno Yijan. Il Sogno ha fatto la nostra Legge o narnu-Yuwa. Questa Legge è il modo in cui viviamo, le nostre regole. Questa Legge sono le nostre cerimonie, le nostre canzoni, le nostre storie; tutte queste cose vengono dal Sogno. Una cosa che posso dirti, però, è che la nostra Legge non è come la Legge Europea che cambia sempre - nuovo governo, nuove leggi; la nostra legge non può cambiare, non l’abbiamo fatta noi. La Legge è stata fatta dal Sogno molti, molti anni fa e data ai nostri antenati che la hanno data a noi.

Il Sogno sono i nostri antenati, non importa se sono pesci, uccelli, uomini, donne, animali, vento e pioggia. Sono questi Sogni che hanno fatto la nostra Legge. Tutte le cose nel nostro paese hanno Legge, hanno cerimonie e canzoni, e hanno persone correlate ad esse…

I Sogni hanno nominato tutto del paese e del mare mentre viaggiavano, hanno nominato ogni cosa che vedevano. Mentre i Sogni viaggiavano hanno messo i bambini sopra il paese, noi chiamiamo questi spiriti bambini ardirri. È grazie a questi spiriti che siamo nati, gli spiriti sono sul paese e noi siamo dati dal paese.

Nelle nostre cerimonie noi dipingiamo segni sui nostri corpi, anche questi vengono dal Sogno, noi portiamo i disegni che il Sogno ci ha dato. Quando portiamo i segni del Sogno noi stiamo portando il paese, stiamo conservando il Sogno, stiamo tenendo il paese e il Sogno vivi. Questa è la cosa più importante, noi dobbiamo conservare il paese, i sogni, la nostra Legge, la nostra gente, non può cambiare. La nostra legge è stata tramandata di generazione in generazione ed è nostro dovere farla
continuare, salvaguardarla. 


Tutto appare in una sorta di flusso che intreccia passato, presente e futuro in una relazione indissolubile. Il normale svolgimento delle cose è alterato e la relazione temporale classica tra gli avvenimenti è stravolta, non è più A B ma risulta A B. “Ogni parte è parte di un sistema totale e un sistema completo in se stesso.”   Il tempo del Sogno è base pervasiva di una cultura, dimensione contemporaneamente presente nel quotidiano e nel passato, che per sua stessa definizione implica continuità; al suo interno è compresa una pluralità di situazioni ed enti che ne fanno a ragione la base fondante ed onnicomprensiva di tutto il sistema culturale e sociale delle popolazioni indigene australiane. Il sogno è un passato che è
importante. 



3.2.1 Il mito



Come abbiamo visto sopra la dimensione del Sogno è un’importante parte costituente, una sorta di spina dorsale, della cultura indigena, per questo è importante che tutto ciò che il Sogno insegna e prescrive sia conosciuto - anche se su diversi livelli - da tutti soggetti della società. Lo strumento che l’evoluzione culturale degli aborigeni australiani ha selezionato per questo compito è la narrazione mitica. Il mito è parte indissolubile della vita stessa di ogni componente della società indigena, attraverso le storie del passato ancestrale sono spiegate tutte le caratteristiche del mondo e dell’esistenza dell’uomo, vengono tramandati rituali, prescrizioni e modelli operativi, vengono definiti i rapporti tra diversi gruppi totemici. Il mito entra anche come grande protagonista nella vita rituale: i versi delle canzoni totemiche, eseguite durante le più importati cerimonie, sono le storie del passato ancestrale del gruppo che le sta eseguendo. Ad esempio, di seguito riportiamo un mito sulla formazione del fiume Murray, il corso d’acqua che segna, in parte, il confine tra gli stati del New South Wales e del Victoria:

Molto, molto tempo prima che il fiume Murray esistesse, una piccola tribù, costituita da sei componenti, era accampata nelle vicinanze di Swan Hill; c’era il padre Totyerguil, le due mogli o Cigni Neri conosciute come Gunewarra, i due figli e la suocera che si chiamava Yerrerdet-kurrk. La loro esistenza dipendeva esclusivamente dall’abilità del cacciatore. Una sera, mentre le mogli preparavano la cena, l’uomo disse ai figli di andare a raccogliere la gomma. Anche se non conoscevamo molto il luogo perché erano arrivati di recente, i due ragazzi si allontanarono con estrema eccitazione. Quando ritornarono riferirono con fiato grosso: “C’è un grande pozzo laggiù con un enorme pesce; il pesce più grosso che abbiamo mai visto”. Alla notizia il padre, che aveva trascorso molta parte della sua vita in un territorio coperto solo di mallee dove c’erano piccoli pozzi con rari pesci, restò piuttosto scettico. “È grande?” chiese ai figli. “Sì, è grande così” gridarono aprendo le braccia più che potevano. “Molto, molto più grande.” Il padre li accompagnò, scoprendo che il pozzo era largo molti metri, ma non vide traccia del pesce di cui i figli gli avevano parlato, raccontando che quando affiorava alla superficie sembrava una piccola isola. Guardò con attenzione nelle profondità dove scorse, con sorpresa la forma scura del mostro marino. “Colpiscilo con la lancia!” gli urlarono i ragazzi, ma il padre scosse il capo. “È troppo giù e lontano dalla riva” disse. “Devo costruire una canoa in modo da colpirlo dall’alto. Su, dovete aiutarmi!” Tagliò la corteccia di un albero che cresceva nelle vicinanze e cucì le estremità in modo rudimentale. “Basterà” disse ai figli. “Non è un’ottima canoa ma starà a galla quel tanto che basta perché possa raggiungere il pesce.” Raccolse le lance, entrò con cautela nell’imbarcazione e cominciò a remare nello stagno tranquillo finché giunse nel punto esatto sopra il pesce che dormiva. Alzando il braccio scagliò la lancia nell’acqua e la conficcò profondamente nella sua schiena. I ragazzi, rimasti in piedi sulla riva, videro la canoa sollevarsi come sotto l’effetto di una grande onda marina. L’acqua fino allora immobile si ruppe in onde, che andarono ad infrangersi sulla sponda, l’una dopo l’altra, alzando in aria degli spruzzi. La canoa con Totyerguil, che si aggrappava alla fragile corteccia disperatamente, scomparve nel ribollente gonfiarsi delle acque. I figli temettero che il padre fosse annegato o fosse stato inghiottito dal mostro, ma appena le acque si placarono scorsero la canoa, fradicia d’acqua, che galleggiava ancora, con il padre tenacemente afferrato ad essa con una mano, mentre nell’altra teneva le lance rimastegli. Dalle profondità dello stagno, che erano state sin a quel momento la sua abitazione, emerse all’improvviso il pesce, che era un Otchout, il padre dei merluzzi del Murray. Come un ariete che picchia con violenza, egli sfondò con la testa il terreno salendo in superficie; si scavò così un tunnel, creando un canale dove l’acqua precipitò, trascinando la canoa. Per l’intera giornata Otchout si allontanò sempre più dall’uomo, che lo inseguiva trasportato sulla cresta dell’onda, scagliandogli lance di continuo. Scese la notte; ormai il pescatore era stato portato lontano e si accampò sull’erba sopportando il freddo e la fame, mente Otchout riposava tranquillo in uno stagno profondo, che si era scavato con le sue pinne. Era infastidito dalla lancia conficcata nel dorso ma sperava che, essendosi lasciato dietro l’inseguitore, avrebbe potuto liberarsene presto. Prima che il sole sorgesse Totyerguil era già sveglio e di nuovo si mise sulle tracce del mostro. Arrivando al secondo stagno, proprio quando i primi raggi del sole illuminavano l’orizzonte, scagliò contro il pesce un’altra lancia, che andò a conficcarsi dietro la prima. Ancora una volta, il merluzzo sorpreso si scagliò contro la riva e fuggì attraverso la terra, scavando un interminabile solco lungo il quale si precipitava l’acqua con l’uomo che cercava di stargli dietro, continuando a remare con accanimento. Quando calò il buio il pesce era di nuovo in vantaggio e di nuovo scavò un buco per dormire mentre il cacciatore trascorse un’altra notte senza fuoco e senza cibo, all’aperto. Per giorni e giorni Totyeguil inseguì Otchout; la notte riposavano e ogni mattina sul dorso del pesce appariva una lancia in più. In una località, chiamata in seguito dall’uomo bianco Ponte Murray, Otchout formò il suo ultimo stagno e Totyerguil scagliò la sua ultima lancia. La caccia era terminata; il corpo del pesce era irto di lance, che ancora vediamo e che sono le spine del merluzzo del Murray. Con l’inseguimento si era così formato il fiume che noi chiamiamo Murray; il volume delle sue acqua poi aumentò grazie alle piogge e ai vari affluenti, che ancora oggi si gettano nelle sue acque arrivando poi al mare, che dista più di venti chilometri. Otchout venne trasformato in una stella, mentre il pescatore deluso si incamminò a piedi per tornare dalla sua famiglia lasciata presso Swan Hill. Prima di andarsene l’uomo trascinò la canoa sulla spiaggia e piantò accanto ad essa un palo, ricavato dal ramo di un pino del Murray. La canoa di corteccia mise le radici e si trasformò in un gigantesco albero della gomma. Il palo-remo diventò il prototipo di tutti remi costruiti dagli uomini delle tribù della zona intorno al fiume negli
anni successivi. 


Questo mito porta al suo interno chiari esempi di tutte quegli elementi a cui avevano accennato sopra: descrive come il fiume Murray - una conformazione naturale del territorio - si sia creato, narra le gesta di un progenitore ancestrale (Totyerguil), spiega come i merluzzi del fiume abbiano tante spine (le lance conficcate), istituisce un modello operativo con la costruzione del palo-remo. Nel mito avviene la spiegazione del mondo nei suoi molteplici aspetti, comportamenti rituali e sociali, descrizioni culturali e biologiche. Il racconto intreccia un tessuto di avvenimenti, sensazioni ed emozioni che indirizzano e confermano l’esperienza sensoriale del mondo, ciò che viene esperito nel quotidiano è spiegato nel mito, ciò che viene vissuto e quello che è raccontato spesso coincidono, eternità (nel mito) e presenza (sulla terra) sono le due componenti che fondano il mondo aborigeno. Nei prossimi paragrafi analizzeremo gli elementi fondamentali che costituiscono questo universo, dagli esseri mitici all’organizzazione sociale, dal totemismo alla ritualità cerimoniale.



3.2.2 I progenitori ancestrali totemici e il loro cammino: morfologia, trasformazioni e prescrizioni



Il mondo come lo si intende oggi presso le popolazioni indigene australiane è, come abbiamo accennato sopra, frutto di una formazione da parte di esseri mitici, progenitori chiamati antenati totemici.  Questi progenitori sono dei costanti riferimenti di fondamentale importanza per la vita sociale e rituale delle popolazioni, da loro furono originati tutti gli uomini, divisi a seconda di gruppi totemici che fanno capo ai diversi antenati, essi formarono il territorio e introdussero - attraverso delle prescrizioni - le pratiche rituali e culturali utili e necessarie; le narrazioni della loro formazione e delle loro gesta costituisce la base su cui si basa tutta il cosmo mitologico degli aborigeni australiani. Gli antenati ancestrali si presentano sotto diverse forme: come uomini, animali o vegetali e molto spesso sono soggetti a trasformazioni all’interno di questi tre regni tanto che la tematica del cambiamento di forma è una delle più frequenti nei racconti tramandati; altresì importante è la loro azione formatrice sul territorio (come abbiamo visto sopra a proposito del fiume Murray), e le loro prescrizioni socio-culturali sui modelli operativi da adottare e sulle restrizioni in ambito ai rapporti interni ed esterni dei gruppi totemici. Queste tematiche verranno ampiamente trattate nei paragrafi a seguire. Come essi siano stati generati è argomento del mito che riportiamo in seguito, registrato da Theodor Strehlow presso le popolazioni Aranda nel nord, nello stato del Northern Territory:

All’inizio il mondo si trovava nelle tenebre perpetue: la notte opprimeva la terra come un’impenetrabile boscaglia. Il progenitore Karora - dormiva, in una eterna notte, sul fondo della pozza di Ilbalintja perché ancora non c’era acqua lì ed era tutto secco. Sopra di lui il terreno era rosso con fiori e pieno d’erba; e una grande tnatantjaondeggiava sopra di lui. Questa tnatantja era fiorita nel mezzo del letto di fiori viola che crescevano sopra la pozza di Ilbalintja. Alle sue radici c’era la stessa testa di Karora: da lì saliva verso il cielo e sembrava come se colpisse le arcate dei cieli. Era una creatura vivente, coperta con una morbida pelle come la pelle di un uomo. E la testa di Karora era alla radice della grande tnatantja: era rimasta così fin dall’inizio. E Karora stava pensando e desideri e pensieri erano nella sua mente. Dei bandicootcominciarono ad uscire dal suo ombelico e dalle sue ascelle. Uscirono dal buco, presero vita e corsero per la pianura in cerca di acqua, cibo e luce. E ora l’alba cominciava a rompere le tenebre, lo stesso sole sorse a Ilbalintja e riempì tutto con la sua luce. Con la luce venne anche il calore che penetrò dentro il buco dove Karora stava dormendo. Egli si svegliò dal suo lungo sonno e muovendo da una parte e dall’altra la sua testa ruppe le radici del palo vivente che era nato dalla sua testa. Uscì dalla crosta che lo aveva coperto e il buco che lasciò dietro di se divenne la pozza Ilbalintja, riempita con il dolce e nero succo dei pistilli dei fiori. Il progenitore si alzò e si sentì affamato poiché i poteri magici erano usciti dal suo corpo. E siccome si sentiva confuso mosse le sue palpebre e le tenne aperte un poco, si mosse un po’ in questo stato e sentì un grande numero di bandicoot attorno a lui, che erano i suoi stessi figli. Pensò e desiderò. Avendo una grande fame tagliò due bandicoot a metà, li cucinò e li mangiò, i raggi del sole gli fornirono il fuoco per cucinare. Il sole sparì di nuovo e Karora soddisfatto si addormentò. Mentre dormiva qualcosa uscì dalle sue ascelle in forma di bull-roarer, prese la forma di uomo e si formò durante la notte finché non assunse la grandezza di un ragazzo, quello era il vero figlio di Karora, perché aveva le stesse sembianze del padre, il primo mortale nato a Ilbalintja; senza madre, dovendo la vita alla energia creativa del padre di tutti i bandicoot. Quando il sole sorse ancora Karora guardò con sorpresa all’immagine vivente di se stesso che giaceva immobile a fianco a lui. Mentre lo guardava, il figlio aprì gli occhi e si alzò, pose le mani sul petto del padre e il sangue cominciò a scorrere nelle sue vene. Essi furono una carne, padre e figlio, animati dallo spirito che aveva sostenuto Karora in tutto l’infinito tempo che aveva aspettato questo momento. “Tu sei mio figlio” Karora disse semplicemente. “È tempo che noi dividiamo il cibo. I bandicoot sono svegli e stanno giocando. Sali sulla piana uccidine due e cucinali quando il sole ha scaldato la sabbia. E allora mangeremo insieme” Nella notte altri due figli nacquero da Karora. Questo processo si ripeté per
molte notti e per molti giorni. I figli cacciavano e il padre dava loro vita nella notte. 


Gli antenati, in questo caso il grande padre di tutti i bandicoot, già esistono, non sono generati ma risiedono dentro la terra nella loro forma primordiale, in uno stato di sonno simile al torpore. Il mito sopra riportato ci descrive un importante caratteristica del cosmo aborigeno: l’assenza della creazione ex nihilo. Qualcosa già preesiste alla formazione del mondo come lo intendiamo oggi, il progenitore già esisteva, anche se addormentato e avvolto dalle tenebre. La ragione di questa presenza al di là del tempo è da ricercarsi nella principale caratteristica del Tempo del Sogno: l’eternità. Ciò che entra in quel periodo mitico esisteva, esiste ed esisterà a prescindere dal mondo che concorre a formare, anche se con lui ha legami indissolubili. È una terra che al suo interno porta i germi di quello che sarà domani la nuova terra abitata, una materia in potenza che aspetta il momento opportuno per diventare in atto. E gli antenati sono parte di questa terra feconda, immagini del mondo che andranno a formare, exempla di ogni specie vivente che popola il mondo aborigeno Il mito mette in risalto l’essenza dei progenitori, il loro stretto legame con gli uomini e con gli animali, o meglio, la loro natura di trasformisti. Gli antenati si presentano sotto varie forme, alcuni sono antropomorfi, altri hanno l’aspetto di animali o piante, mentre altri ancora possiedono la sembianza di oggetti inanimati come le rocce. E questa loro varietà non è fissata nella forma in cui essi scaturiscono dal suolo ma è soggetta a cambiamenti: infatti una delle caratteristiche salienti di questi progenitori è la possibilità di trasformarsi in altre forme, travalicando i confini del mondo ordinario. Da uomini ad animali:

Djanbun è l’ornitorinco. Era un uomo una volta. Egli uscì dal torrente Washpool, come dissero gli anziani. Djanbun sta viaggiando con un tizzone nelle sue mani attraverso le grandi montagne verso il fiume Clarence. Sta soffiando sul tizzone per fare fuoco. Ma non si infiamma, e dove le faville cadono dal tizzone diventano oro. La bocca dell’uomo ornitorinco comincia a diventare grande a causa del suo soffiare sul tizzone. Quando Djanbun arriva al fiume Clarence ha una grande bocca ormai, e incomincia a domandarsi: “Che cosa devo fare ora?” È stanco di provare ad accendere i tizzoni, allora li ripone e pensa “Salterò dentro all’acqua”. Appena salta dentro all’acqua si trasforma in ornitorinco. Ecco, ora è l’ornitorinco. Una volta era un uomo. Adesso Billy Charlie ha trovato questa pepita d’oro nel posto dove Djanbun è saltato dentro l’acqua. Quando ho sentito questo, ho pensato:
“Beh, ora ha trovato il tizzone.” Perché ha trovato quell’oro dove era stato tirato il tizzone. 


Nelle parole di questo mito registrato nella regione del fiume Clarence, nello stato del New South Wales, oltre alla giustificazione della presenza dell’oro nel fiume e della forma dell’ornitorinco, si ha una adeguata descrizione del trasformismo degli antenati, una trasformazione da uomo ad animale. Di seguito un altro esempio, proveniente dalle popolazioni Yolngu della Terra di Arnhem e più precisamente dal clan Mardarrpa della metà Yirritja:

Molto tempo fa Baaru (il coccodrillo) era un uomo e aveva una moglie chiamata Dhamilingu (la lucertola dalla lingua blu). Baaru aveva fatto una casa per lui e sua moglie. La moglie di Baaru era uscita per raccogliere lumache di mare. Ne raccolse una borsa piena, tornò al campo e cominciò a cucinarle. Baaru stava dormendo nel suo rifugio di corteccia. Sua moglie voleva parlargli e così cercò di svegliarlo. Ma Baaru continuava a dormire. Ella voleva che lui si muovesse così avrebbero potuto dormire assieme, ma egli continuava a dormire. Così sua moglie fece un grosso fuoco e si mise a cucinare altre lumache. Le tirò fuori dal fuoco, le ruppe con una pietra e tirò i pezzi bollenti sul corpo di Baaru. Ma ancora Baaru dormiva. Finalmente si svegliò e sentendo il dolore chiese a sua moglie perché continuava a lanciare pezzi di lumaca su di lui. Dhamilingu non si accorse di niente e continuò a lanciare i pezzi bollenti. Alla fine Baaru si arrabbiò tantissimo, si mosse dal suo rifugio e corse furiosamente verso sua moglie, portando la corteccia del suo riparo sulla sua schiena. Cominciò a comportarsi come un coccodrillo. Afferrò sua moglie e la gettò nel fuoco urlando: “Io sono il baaru, io sono il fuoco, io sono il coccodrillo, io sono Mardarrpa.” Dopo che Baaru e Dhamilingu ebbero finito di combattere, egli andò a vivere nel mare. Dhamilingu si trasformò nella lucertola dalla lingua blu, una lucertola con le gambe corte, perché suo marito l’aveva gettata nel fuoco e gliele aveva bruciate. E Baaru venne al mare e portò il fuoco con lui. Il coccodrillo non viveva lì ma entrò nell’acqua, con la sua casa di corteccia che gli bruciava sulle schiena, per cercare di spegnere le fiamme. E tu puoi vedere questi segni sul dorso del coccodrillo (la sua coda seghettata), quella è la casa attaccata alla sua schiena. E tu puoi anche vedere quei pezzi bianchi sul suo dorso, quelli sono i
pezzi delle lumache conficcati. 


Il mito spiega il perché delle caratteristiche fisiche di un animale e descrive l’originario trasformismo dei progenitori da uomini ad animali, ma anche in senso contrario possiamo trovare dei riscontri; è il caso del prossimo mito riportato, raccolto presso le popolazioni della valle del fiume Victoria nello stato del Northern Territory:

All’inizio, quando uscimmo da quel buco [nella terra] avevamo un lungo naso come quello di un cane. Il sogno camminava e prese il miele e la cera e si formò una testa [rotonda]. Questo siamo noi. Sogni dell’inizio che lavoravano. Il sogno non amava la sua testa che era simile a quella di un cane e voleva che fosse rotonda. Il sogno [Dingo] chiamò il pipistrello - che è il dottore - quello piccolo che vola di notte. La donna era come il cane e il pipistrello disse: “Vieni da me.” La cambiò. Le ragazze furono
tagliate e ai ragazzi fu sistemata davanti la coda. 


Uomini animali e animali uomini, la stretta connessione tra i due diversi regni è simbolo di quella che è l’organizzazione principale della società aborigena: il totemismo. L’affiliazione ad un animale o vegetale totemico è la base per un’identità sociale che sorregge ogni rapporto interpersonale, è prescrizione alimentare, statuto regolativo nella definizione di legami parentali e in assoluto sottende tutta la visione del mondo degli indigeni. Un uomo del clan del dingo chiamerà se stesso e i suoi fratelli come quell’animale, si considererà tale e fieramente sarà consapevole delle qualità che da questo animale gli sono pervenute. Non è solo una affiliazione metaforica o strumento per la distinzione dei gruppi matrimoniali a favore dell’esogamia, molto nel concreto un uomo si sente bandicoot perché dal progenitore primo, serbatoio di vita, sono scaturiti sia animali che uomini. Le cellule vitali presenti in potenza all’interno dell’antenato si potevano evolvere in questi due sensi, ma all’inizio nella loro presenza sotterranea erano uguali, erano formati della stessa materia. Scaturiti dal suolo o dal cielo, o da un non precisato luogo dove giacevano da un tempo immemore in una sorta di sogno, con il loro errabondo percorso attraverso la terra creano il paesaggio come è visibile oggi. Le strade che intraprendono diventano corsi d’acqua, file d’alberi o dune sabbiose, dove solcano la terra si creano delle valli, dove sanguinano si creano giacimenti d’ocra, dove scavano scaturiscono sorgenti d’acqua e si formano pozze. E quando muoiono - perché anche la morte hanno spiegato agli uomini - la loro essenza non svanisce, figli dell’eterno Tempo del Sogno si trasformano in rocce - ancora oggi sono visibili - per entrare, o meglio ritornare, in quella eternità da cui sono fuoriusciti per un momento. Da quel momento il mondo non è più una landa desolata avvolta dalle tenebre ma diventa un paesaggio familiare con un senso intrinseco ben preciso, le caratteristiche fisiche che ora sono visibili sono loro opera e per tanto portano i segni e il potere conferito loro da una eterna stabilità. Sono questi i temi fondamentali di un’altra importate caratteristica dei progenitori ancestrali ossia la possibilità di operare un’ulteriore trasformazione: da uomini o animali in caratteristiche geomorfologiche del paesaggio attorno. Come ci suggerisce Nancy Munn - “da soggetti in oggetti” - per fissarsi eternamente nelle conformazioni del terreno che staranno a loro imperituro esempio:

La trasformazione è costituita da una sorta di ‘doppio movimento’: da una parte un processo di separazione dal soggetto originante; dall’altra un legame dell’oggetto con lui in una permanente, atemporale identificazione. Mi riferiscono a questa caratteristica come una struttura ‘bi-direzionale’ della trasformazione, poiché comporta una tensione nel rapporto soggetto-oggetto. […] L’assunto fondamentale è che l’oggetto emerge come il risultato automatico della presenza e delle azioni
dell’antenato totemico. 


Le trasformazioni che il territorio ha subito nel corso del tempo del Sogno, ad opera di mitici esseri ancestrali, sono l’alba della creazione del mondo indigeno; di seguito ne riportiamo alcuni esempi:

All’inizio la grande montagna Iloata era nel profondo cuore della terra. E poi venne fuori come un piccolo filo d’erba. In principio solo il suo estremo picco si poteva vedere. Poi alzò la sua testa più in alto, e la sua massa aumentò e crebbe persino più in alto. Alla fine torreggiò sul terreno nella sua enormità; la sua completa forma poteva essere vista dagli uomini. Sull’ultima cresta del picco c’era una depressione del suolo: il suolo era stato indurito dal sangue mentre la montagna era ancora nelle profondità della terra. Quando l’intera massa della montagna fu emersa totalmente piccole montagnole come termitai cominciarono a spuntare dal suolo indurito, dal centro del picco più alto. E fu da questi
termitai che la donna termite prese vita: una donna per ogni montagnola. 


Questo è uno dei miti di formazione del territorio, e come lui molti altri stanno a descrivere le nuove caratteristiche fisiche in formazione e a prescrivere i comportamenti rispetto a queste ultime. È il caso del mito che segue raccolto da Ronald Berndt in una regione della Terra di Arnhem nello Stato del Northern Territory:

Egli stava andando da solo e vide un gruppo di oche. Le uccise e le mangiò. Ripartì e vide del miele. Lo mangiò tutto. Poi disse: “Voglio tagliare dei bambù da usare per farne delle lance”. Proseguì e vide dei piccoli bambù ma pensò: “Non voglio tagliare questi piccoli, aspetterò degli altri”. Continuò il suo cammino e finalmente ne vide di adeguati e disse “non ne taglierò molti solo due, due grandi uno per i canguri e uno per il pesce”. Proseguì. Sulla strada trafisse un canguro e lo mangiò. Se ne andò ancora. Arrivò ad una piana e se ne andò un po’ più in là ove pose il suo campo. “Non mi piace questa direzione” disse “la cambierò, andrò verso nord” così prese e camminò per molto tempo. Sempre camminando arrivò dove un grande mare stava scorrendo e cominciò a nuotare. E dopo di lui arrivò il canguro che aveva tentato di uccidere. E corse. Egli continuava a nuotare e a nuotare ma era un uomo vecchio. Continuava a nuotare ma il canguro e un cane vennero e lo inseguirono. Il cane correva vicino al bordo dell’acqua e il canguro anche. Il canguro continuava a correre e ad un tratto saltò sulla testa dell’uomo facendolo annegare. Quell’uomo sta ancora là, sotto la superficie dell’acqua con il canguro sulla sua testa. Il nome del posto è Neya-raingu, Wildmand River. Stanno là insieme, l’uomo e il canguro. Non lasciare che nessuno si avvicini a loro, dove “loro hanno fatto male”, perché è tabù, è da sempre un posto pericoloso. Se qualsiasi persona vivente si avvicinasse a quel posto una grande onda potrebbe sommergere la canoa e tutti annegherebbero, perché è sempre un tabù là, un posto pericoloso. [In quel posto una roccia esce solitaria nel mare aperto, nel mezzo
dell’acqua, con forti correnti attorno, N.d.A.]  


Un altro mito racconta di un cacciatore che insidiava una bella ragazza che non voleva cedere alle sue lusinghe:

Fra i vari cacciatori ce n’era uno molto bravo dell’Australia del Sud, che si chiamava Mangowa. Un giorno vide una donna molto carina, che spingeva una canoa. A quella vista lasciò cadere la lancia e corse verso la riva ad attenderla. Quando la ragazza mise piede a terra, l’uomo le si fece vicino ma lei scosse la testa, rifiutandosi di parlare. L’uomo non si lasciò scoraggiare dal suo atteggiamento e la seguì fino al suo accampamento. Essendo la sua bravura di cacciatore e pescatore molto nota si ingraziò a tal punto tutti gli anziani portando provviste di selvaggina, che alla fine gli concessero la mano dell’altezzosa ragazza. Pirili aveva probabilmente un altro corteggiatore e non condivise la decisione degli anziani. Ma la sua volontà non venne rispettata. Mangowa non la lasciava mai sola, in modo che nessun altro poteva avvicinarsi. Un giorno Pirili disprezzò apertamente un regalo di Mangowa ed egli perse la pazienza. L’afferrò e la trascinò via mente gridava e si avviò verso il campo della sua tribù. Camminò per ore ed ore, alla fine Mangowa aveva le gambe che gli facevano male e il volto graffiato e senza espressione. In un accesso di rabbia improvviso e esagerato, getto Pirili a terra per poi picchiarla con la lancia. Pirili, vedendo che era giunto il momento tanto atteso, scattò in piedi e con un balzo da togliere il fiato lasciò la terra e si innalzò al cielo, trovando rifugio nella Via Lattea. Le donne che abitavano in quel piacevole luogo avevano osservato il rapimento e la accolsero tra le loro braccia, nascondendole alla vista dell’amante esasperato. Mangowa, saltando anche lui nel cielo, tentò di riprendersi Pirili, ma non aveva fatto i conti con le donne che erano più forti di lui: lo afferrarono per i capelli, le gambe e le braccia e lo scaraventarono giù sulla terra. Pirili è sempre una
stella che brilla nella Costellazione di Orione. 


Come si comprende dalla varietà di esempi sopra riportati, le modalità di creazione sono diverse, il progenitore si può rapportare creativamente verso la terra con una propensione attiva o passiva, le caratteristiche fisiche del mondo risultano da tre tipi di trasformazioni: la metamorfosi (il corpo dell’antenato si trasforma in un oggetto materiale), il segno (il progenitore lascia traccia del suo corpo o di qualche oggetto che usa nel suo cammino) e la esteriorizzazione (dal corpo dell’eroe mitico esce qualche cosa). In ogni caso tutte queste azioni lasciano dei segni tangibili, evidenti spiegazioni dei fatti accaduti nel Tempo del Sogno. L’intero mondo ha un significato, tutti i fenomeni e le formazioni del paesaggio di una qualche rilevanza fisica hanno una spiegazione riscontrabile nelle storie dei miti antichi. Anche le caratteristiche animali più conosciute hanno una derivazione dal Tempo del Sogno. Ad esempio il canguro sta sulle sole due zampe posteriori perché si è alzato per osservare uno stormo di uccelli multicolore scendere dal cielo e per lo stesso motivo l’emù ha il collo così lungo. Altri animali invece furono spaventati da questo avvenimento e si nascosero nel terreno, da allora restarono animali che escono dalle tane solo per cibarsi. E anche la loro voce fu influenzata dal loro comportamento: il kookaburradivertito dalla miriade di colori si mise a ridere mentre invece quegli animali che furono spaventati emisero urla di paura sviluppando una voce dissonante e sgradevole. É una “terra parlante” quella che l’indigeno australiano si trova di fronte, una sorta di mappa che gli indica il passato, presente e futuro del suo mondo. Ma non solo le caratteristiche fisiche del mondo vengono sancite dall’azione degli antenati, anche le pratiche rituali, i comportamenti sociali, i tabù sono oggetto del loro potere creativo. Gli antenati totemici lasciano esempi con le loro azioni, norme incise nella terra, rituali istituiti da seguire rispettare e tramandare perché il mondo sia sempre quell’ideale sancito nel Tempo del Sogno. È il caso delle due sorelle Djanka’wu, figlie del Sole, che vengono, con la loro canoa di corteccia, dalla mitica terra dei morti situata in un qualche luogo nel Golfo di Carpentaria. Navigando da est ad ovest seguendo il cammino del sole sbarcano sulle coste della Terra di Arnhem dove creano alberi speciali già completi di foglie e uccelli. Formano il territorio, attribuiscono i nomi ai posti e, interagendo con altre figure mitiche già presenti, istituiscono i tradizionali costumi degli abitanti aborigeni di quell’area. E cosa più importante, danno la vita alle prime persone, ponendole nei giusti posti. Fatto questo spariscono ad ovest verso il tramonto del sole. Ed ancora si pensi al primo mito citato in questo capitolo: sulla testa dell’antenato Karora nasce e si sviluppa il palo rituale tnatantja, è fatto di pelle umana ed è continuazione del suo stesso corpo. Creare ed usare un palo rituale, dipinto con i colori dell’antenato, sarà d’ora in poi una prescrizione rituale che avrà la sua stessa autorità storica legata agli albori della cultura di cui è parte; con le sue descrizioni il Tempo del Sogno sancisce e regola le pratiche rituali. Per un esempio vediamo il mito che segue:

Il corvo Wahn e il native catBaripari avevano costruito insieme un’ingegnosa trappola per i pesci, costituita da un basso muro di sassi, che veniva coperto dall’alta marea. Così quando l’acqua calava i pesci che avevano nuotato nella laguna salata restavano intrappolati. Le tribù del corvo e del native cat si erano assicurate pesce in abbondanza in ogni stagione. I pesci che catturavano erano di solito di piccole dimensioni, ma durante un marea particolarmente alta Balin, il capo tribù dei Barramundi,si lasciò incautamente sorprendere da una marea che rifluiva velocemente. Una folla di genere eccitata si precipitò nella laguna dalle acque basse e gettò sulla spiaggia tutto il pesce, compreso Balin e i suoi congiunti. Vennero scavati dei pozzi, accesi dei fuochi e cucinato il pesce; alla fine si allontanarono lasciando solo un mucchio di ossa. Quando gli inventori e proprietari della trappola apparvero, restarono sconcertati nel vedere che non c’era pesce. Wahn non era preoccupato della perdita del pesce quanto del destino di Balin. “Ballin era il nostro totem” spiegò a Baripari. “Tu sai che non avrei mai osato mangiare il Barramundi, né vorrei farlo perché Balin era mio amico, la persona più nobile di tutta la tribù. Guarda, qui ci sono le sue ossa, due volte più grandi di quelle di ogni altro pesce” disse piangendo sinceramente. “Che facciamo ora che non c’è più?” “Non ci resta
che rendere omaggio alla sua memoria” ripose Wahn. 


Il mito racconta e spiega una delle più importanti prescrizioni aborigene, il divieto di cibarsi del proprio animale (o vegetale) totemico. L’identificazione con l’animale è totale, chi fa parte del gruppo del Barramundi ritiene che lui e tutti i suoi parenti si possano identificare con questi pesci, ma non solo in senso figurato, anche nella realtà del quotidiano. Nel passato ancestrale era un pesce e durante le cerimonie totemiche si dipinge il corpo con disegni che ricordano le striature delle sue squame e mima i movimenti del suo antenato animale. Questa indentificazione bene si inserisce all’interno di quella totalità di emozioni e realtà che è il Sogno, un universo che comprende il passato ed il presente e rende possibile un continuo contatto tra queste due dimensioni temporali. Progenitori totemici e uomini del presente sono una sola cosa, entrambi si comportano secondo le norme stabilite dal primo antenato, per questo di possono riscontrare numerose similitudini in miti diversi descritti, antenati totemici differenti che hanno destini in comune. Una delle costanti presenti in un grande numero di storie del Tempo del Sogno è la mobilità degli antenati totemici. Il progenitore bandicoot manda i suoi figli alla ricerca di cibo nelle piane vicine, l’uomo ornitorinco viaggia fino alla foce del fiume attraverso le montagne, il protagonista del mito della roccia uomo e canguro compie un cammino senza meta, tutti sono accomunati da un percorso compiuto verso un fine non meglio specificato. La mitologia tramanda gesta e viaggi degli antenati totemici, gli aborigeni sono, sin dalla fondazione, un “popolo in cammino”. Ogni paese che si va a formare, sede cultuale di un totem specifico, è attraversato da sentieri e piste - usualmente non contrassegnate - percorse nel Tempo del Sogno dai fondatori del mondo. Un’apparente contraddizione soggiace in questo moto perpetuo, in realtà è un’ulteriore conferma del carattere ambiguo del tempo del mito. Sembra strano potere conciliare un costante vagabondare all’immagine di eterna presenza. Ed è proprio nella formazione - stabilizzazione del proprio essere - che questo paradosso si risolve. Il moto perpetuo consacra la sua eternità nella dimora presso oggetti perenni quali le rocce e i fiumi. In questa trasformazione la vera essenza del progenitore e la sua forza si fermano e si stabilizzano in un luogo che potrà per la sua importanza diventare un centro rituale ed in questo modo la sua fertilità sarà continuamente rinnovata con pratiche propiziatorie. Il tempo del Sogno si produce nelle azioni dei suoi attori principali, la atemporalizzazione di quell’epoca è pratica creativa totale. La trasformazione non annulla la forma umana o animale che sia dell’antenato mitico ma, al contrario, ne fa immagine quotidiana, luogo con cui è possibile il confronto giornaliero. La lucertola non sparisce nel nulla, ma diventa paese, il buco dove si è riparata diventa pozza d’acqua perenne che servirà alla vita. E tutti questi luoghi non sono isolati gli uni dagli altri ma sono tutti anelli di una catena lungo il filo del mito che segue tracce di vita passata ma ancora ben presente. Ed allora:

[…] un posto con un mucchio di sassi, con un masso eretto, con una polla d’acqua, può segnare il punto dove egli riposò o dove scomparve temporaneamente alla vista. Un altro contrassegno può indicare l’ultimo suo luogo di sosta, dove il suo corpo fu tramutato in pietra o la sede dove il suo
spirito aspetta la reincarnazione. 


Tutti questi sono luoghi della memoria ma che hanno somma attinenza con il presente, narrano della presenza in un posto di un progenitore, della sua storia, della sua gente, sono luoghi di grande importanza “religiosa” e definiscono, come vedremo in seguito, le relazioni tra i gruppi. È infatti peculiarità da rimarcare il fatto che questi centri totemici non valgano da soli, per ogni totem, come luoghi di culto, ma molto spesso siano centri di incrocio di due o più vie, di diversi progenitori. Ed allora si instaureranno importanti punti di scambio e comunicazione di rituali, comunità che si prenderanno cura insieme di quel territorio su cui vivono. Come abbiamo visto spesso la vita di un antenato ancestrale inizia nella terra e nella terra termina, il percorso circolare è simbolo di un’altra di quelle caratteristiche che ci descrivono il Tempo del Sogno nella sua ripetitiva eternità. L’immortalità dell’antenato sarà sua eterna permanenza nel territorio che ha creato, e questa immortalità è una conseguenza necessaria del loro essere fonte di vita, uomini ma anche animali: non è pensabile una fonte di fertilità - data dalla continua creazione di animali commestibili - che abbia fine. Bisogna sancirne l’imperitura presenza attraverso la cristallizzazione in una caratteristica fisica del mondo che possa sempre essere presente. E questa è la roccia del paesaggio. Gli aborigeni pensano che finché ci sarà la terra ci sarà la vita e fino al giorno in cui un antenato sarà difeso nel suo giaciglio eterno allora sarà garantita la sopravvivenza della specie che rappresenta. In più, la roccia si può toccare, nelle cerimonie è sfregata e le migliaia di particelle che si liberano in questa abrasione sono migliaia di potenziali animali in fieri, semi di vita che andranno a nascere nel terreno da qualche parte continuando la specie. E come sono presenti nel terreno così il loro seme è presente nella terra, in ogni metro della traccia che hanno lasciato nel loro vagabondare creatore è presente la scintilla creatrice, migliaia di cellule vitali attendono di generare vita in questi luoghi serbatoio. È così forte la presenza della vita che ha un alto potenziale fecondativo, qualsiasi donna che passasse sopra una di queste tracce potrebbe rimanere incinta. È questa una credenza molto radicata presso le popolazioni indigene,il momento del concepimento è quello in cui una donna si accorge di essere incinta, va allora dagli anziani del gruppo e racconta loro quello che le è successo, questi stabiliscono, vedendo il posto in cui lei si è accorta della sua futura maternità, di che antenato si tratti, di che gruppo totemico il nuovo nato farà parte. E sarà un uomo, ma sarà anche una volpe volantee progenitore ancestrale. L’uomo è tutto questo. Non solo erede degli antenati, ma eroe mitico egli stesso perché generato da una cellula di vita presente nel luogo dove l’avo risiede per l’eternità, luogo sacro perché contiene la spirito del progenitore ancestrale. E sarà anche animale, di lui avrà caratteristiche nel suo comportamento e da lui trarrà insegnamenti utili alla sua condotta. Risultano allora chiari i motivi che portano le popolazioni indigene verso un attaccamento alla terra e bene si comprendono ora le motivazioni addotte a difesa della stessa nelle politiche di lotta per i diritti terrieri di cui abbiamo parlato nel capitolo precedente. Come vedremo meglio nel paragrafo a seguire, la terra, per gli aborigeni australiani, è più di un luogo, è una parte del proprio corpo; si faccia riferimento a quanto segue:

La terra è la mia spina dorsale. Io posso stare in piedi diritto, contento, orgoglioso e non vergognarmi del mio colore perché ho ancora la mia terra. La terra è l’arte. Posso dipingere, danzare, creare e cantare come hanno fatto i miei antenati prima di me. La mia gente ha registrato queste cose in questo modo cosicché io e tutti gli altri potessimo fare lo stesso. Io penso alla terra come la storia della nazione. Ci dice come siamo nati e in quale modo dobbiamo vivere. I miei grandi antenati che vissero nel tempo della storia hanno pianificato tutto quello che noi facciamo oggi. La legge della storia dice che non dobbiamo prendere la terra, combattere sulla terra, rubare la terra, dare via la terra e così via. La mia terra è mia solo perché io sono venuto come spirito della quella terra e allo stesso modo hanno fatto i miei antenati. La terra è il mio fondamento. Io sto, vivo e agisco
fino a quando ho qualcosa di fermo e solido su cui stare. 


Sede prima e ultima dei progenitori ancestrali totemici la terra è la vita, il paese e le stesse ossa delle popolazioni indigene.



3.2.3 Il Paese creato



Come abbiamo visto nel paragrafo precedente, le azioni dei progenitori hanno formato il territorio, sono venute alla luce tutte le caratteristiche fisiche della terra abitabile. Ma cosa si è creato? Come si relazionano gli aborigeni rispetto a queste terre? La risposta a questi interrogativi è la base di tutta l’ontologia aborigena: il territorio fondato dagli antenati totemici è il paese, la patria di ogni uomo. Si è creato un paese che è dispensatore di identità e di conoscenza, base per le pratiche religiose, regolatore di rapporti di gruppo e molla di un sentimento affettivo non paragonabile ad altro. La frase “Il nostro paese è la nostra vita”, ricorrente nell’etnografia e slogan principale nelle lotte per il riconoscimento delle terre, ben definisce questo sentimento e non si tratta di una metafora. Tutto quello che esiste nel cosmo aborigeno proviene dal paese. La stessa storia è storia del paese, il paese è la terra e la terra è il paese. Nello svolgersi di questo paragrafo porremo l’attenzione sulle modalità con le quali gli indigeni si rapportano al loro paese e sulle caratteristiche salienti di queste pratiche di relazione. Come prima cosa poniamo l’accento sulla percezione che gli aborigeni hanno del paese che gli sta attorno, in questo non vedono solo colline o pozze d’acqua, ma ritrovano significati, istituzioni rituali e cultuali, luoghi e tempi della propria storia. Il paese è vivo, e come una persona vivente viene percepito dai suoi abitanti. La gente dice che il paese sa, sente, parla, profuma, si preoccupa, è contento o infelice, è, come lo definisce Deborah Rose, un terreno nutriente.Un posto che dà e riceve vita, sorgente o ricettacolo di energia. Come si vedrà in seguito il paese è “il nesso geografico tra il sogno e la gente.”   Ed ancora, potremmo dire che il paese è una multidimensione composita, animali, uomini, piante e minerali al suo interno, ma anche i Sogni, e la Legge. Il paese conosce le sue origini, al suo interno luoghi sacri e luoghi pericolosi, il paese ha al suo interno i suoi abitanti, la sua Legge, il suo modo di vita. Dire paese significa dire vita, esso è la matrice di ogni creazione - luogo di provenienza di tutto - e per questo, come si potrà constatare più avanti, l’arte, la musica, la danza e i rituali lo hanno assunto ad argomento principe delle loro manifestazioni. La vita è ovunque ed anche aree che dagli europei furono considerate come inabitate e dove addirittura molte specie animali non riescono a sopravvivere sono viste con occhi ben diversi dagli aborigeni che in quel posto hanno la propria patria. Gli antenati sono scaturiti dalla terra ed ovunque se ne sono andati cantando il paese, gli aborigeni di oggi sono i loro discendenti e le loro immagini; nella terra è scritto il loro passato ed il loro futuro, essi considerano la terra come entità viva e che di diritto spetta loro. E non è soltanto un diritto spirituale o storico - come la sentenza Gove voleva dimostrare - ma anche produttivo; è anzi al contempo spirituale e produttivo: questo è il punto su cui non è stata data piena giustizia negli sviluppi del Caso Yirrkala. Se la proprietà spirituale è stata riconosciuta, non è stata conferita ad essa la vera natura produttiva che ricopre all’interno della società indigena. L’interazione quotidiana - economica e produttiva - è allo stesso tempo anche spirituale, e viceversa. Il paese è una realtà totalizzante nella cultura aborigena australiana, è un paese posseduto e amato, terra per cui si lotta e per questo, prescrizione basilare, bisogna prendersene cura. Il paese delimita uno spazio, questa è una caratteristica molto importante presso gli aborigeni australiani, ove anche i sogni (reali - nella loro narrazione mitica - che siano o immagini mentali) hanno coordinate spaziali. Non è concepibile nessun evento narrativo senza un riferimento spaziale ben determinato, tutto è spazializzato e tutto quello che viene definito diventa paese, patria. Grazie ad un addomesticamento che vede i suoi sviluppi nel tempo mitico del Sogno anche un paese che il giudizio europeo-occidentale definirebbe arido ed inospitale, diventa la propria casa. Il paese (ngurra in lingua Pintupi)è la base della vita e il modo di agire che sottende la possibilità di trovare un campo pressoché ovunque nel territorio è un modo di pensare che crea significati attorno a sé, e che ha creato il paese mitologico in cui gli aborigeni australiani si trovano. L’equilibrio fra i due tempi è sempre presente: “ngurra non è solo la creazione umana di un campo ma anche la creazione del Sogno di un paese”. E il riferimento non solo si pone nella fisica dello spazio, ma va oltre per sconfinare nell’ambito culturale sociale delle relazione di gruppo. Sono le persone che fanno - perché lo sanciscono e mantengono - un campo e il loro progenitori - che come abbiamo visto sono in ultima analisi identificabili con loro stessi - hanno determinato cosa ci doveva essere in quel posto. Come Myers ci suggerisce:

I posti nominati acquistano la loro identità attraverso le attività dei personaggi mitici nel Sogno, ngurra ha un riferimento sociale. Né campo né paese esistono senza il significato creato dalla azione degli eventi, ma il paese resta una identità che dura attraverso il tempo che va oltre la scelta umana. L’azione umana e quella del Sogno contribuiscono a creare il paesaggio sebbene la loro costituzione
abbia diverse proprietà. Una è storica, l’altra potremmo definirla trans-storica. 


Il concetto di ngurra è variegato e molti fattori concorrono a determinarlo: il clan dello stanziamento può determinare il paese, ma anche le aree geografiche sono alla base di una distinzione di paese, così come il linguaggio, e non si può dimenticare il ruolo svolto dalla mitologia.

Il paese è un nesso di individui, gruppi sociali, Sogni, relazioni nutritive, nascite e morti. E per
effetto un individuo è un nesso di paesi. 


In sintesi si può dire che ngurra sia lo spazio vitale, visto in una duplice veste: umana e non umana. L’idea di campo è temporalmente e spazialmente limitata, gli stanziamenti in una società di cacciatori e raccoglitori sono necessariamente provvisori, mentre il paese è imperituro, testimone eterno dell’identità di ognuno, creato dai progenitori e mantenuto in vita da ogni suo abitante. C’è un luogo però dove le due dimensioni si intersecano, è il luogo del rito. Il rito è compiuto in un campo o sito all’interno del proprio paese. L’eternità viene a patto col quotidiano che da lei attinge le storie di vita che regolano il suo svolgimento, nella dimensione rituale è lo spazio che regola il tempo. Il posto in cui ci si trova parla di tempi lontani ma presenti, racconta storie di tutti i giorni ma anche avvenimenti epici. Il paese creato da una storia - le gesta ancestrali - è a sua volta storia, exemplum in narrativa dell’intero universo. Ed ogni luogo è un verso del poema universale della creazione, ogni luogo è legato ad un altro sul sentiero percorso nell’onirico viaggiare dell’eroe ancestrale. Dal punto di vista degli indigeni la terra è parte della stessa sostanza corporea dei mitici progenitori: una certa collina rocciosa era il grasso del canguro, la terra sotto un dato punto era la carne dello squalo, e le formazioni montuose vicine erano la sua spina dorsale. Il brano sopra citato pone l’attenzione su una questione molto importante: l’azione umana coopera con quella dei progenitori nella formazione spazio-culturale del territorio. Ma non si pensi in questo luogo al semplice, seppur molto importante, paradigma dell’antropologia culturale che ci descrive come culturalmente determinato ogni spazio abitato dall’uomo, un avvenimento molto più importante prende piede in questa cultura: l’uomo è artefice della sua vita passata e futura, la stessa identificazione con esseri mitici del passato crea una logica di sfruttamento del territorio e regola i rapporti interpersonali. I progenitori non sono semidei lontani e inaccessibili ma esempi di comportamento e parti del territorio su cui si vive ed il terreno stesso è parte del corpo di ognuno. Le ossa sono gli oggetti sacri contenuti all’interno di centri cerimoniali e la stessa terra è la spina dorsale di ogni vivente. È una cultura che potremmo definire umanistica, non soggetta ad un determinismo imposto da un dio sopra gli uomini. La determinazione di uno spazio vitale porta necessariamente con sé la conoscenza dello stesso, la quale renderà possibile l’azione rispetto alle varianti ambientali contenute nell’habitat. Conoscenza ed azione sono linee di condotta che si favoriscono e determinano a vicenda. Proprio per essere mantenuto nella sua migliore condizione il luogo di vita si deve conoscere, bisogna sia chiara la sua conformazione, le sue risorse. Conoscere è osservare e dedurre informazioni da quello che si vede, così le informazioni di un paese vivo sono lì pronte ad essere colte da chi è capace di interpretarle. Gli eventi, più che il calendario, parlano del mondo attorno. Alla fine della stagione secca, una sola volta l’anno, i coccodrilli depongono le uova, nello stesso periodo le mosche cominciano a pungere così gli Yarralinsanno che quando la mosca comincia a farsi vedere le uova sono pronte ad essere raccolte. Questa conoscenza, basata su diversi canali di informazione che provengono dall’osservazione attenta del territorio, la loro connessione, attiva un processo di interpretazione della realtà. Questo sistema è semplice ed efficace ma limitato localmente al paese di appartenenza, la conoscenza si forma durante tutta una vita - ed è tramandata dalle vita di chi è venuto prima - ma si riferisce solo ad una specifica area. È anche per questo che l’allontanamento dal proprio paese di origine provoca negli indigeni australiani un senso di alienazione e di disorientamento. Quello che gli aborigeni chiamano conoscenza proviene, nella loro idea, direttamente dal paese in cui vivono, e non è solo analisi estemporanea, è anche e in gran parte conoscenza degli avvenimenti mitici occorsi nel passato Tempo del Sogno. Il sogno è conoscenza, la sapienza antica verrà tramandata nella sua eterna presenza geografica. Il paese è dispensatore di conoscenza, esso - anzi, con gli aborigeni potremmo dire - non è solo passivamente osservato, ma si connota come attivo dispensatore di quel logos contenuto nelle sue viscere, nella sua superficie, in ogni cosa visibile.

La conoscenza - locale, dettagliata, testata lungo il tempo - è la base per essere nel paese. Gli aborigeni prendono coscienza del loro paese e attraverso le attenzioni che gli conferiscono la loro comunicazione diventa su due piani. La comunicazione è basata sull’abilità di capire cosa sta
accadendo e dove. 


Questa conoscenza dei grandi miti, conoscenza delle tracce del Sogno ecc., ha all’interno di se stessa un senso geografico che ti aiuta a trovare la tua strada girando nel paese; stabilisce anche i tuoi diritti alla terra, ti permette l’accesso ai siti sacri ecc. Così religione, geografia e economia sono tutte legate insieme.  È la conoscenza dei singoli luoghi totemici che permette alla cultura aborigena di instaurare un nomadismo organizzato. I diversi clan totemici sono legati in particolari centri condivisi tra due o più eroi mitici, e questo perché non c’è solo un paese. In certi punti due paesi diversi si fondono ed è dovere di entrambi prendersene cura, questi centri sono molto importanti per le relazioni e il sostentamento. Il paese è rispecchiato nel nome che ognuno gli dà, culturalmente diverso, ma spesso si sta parlando dello stesso progenitore.

Un emù non è solo un emù, ma è strettamente connesso con un grande numero di associazioni culturali e semantiche all’interno di un gruppo culturale prima e poi attraverso altri gruppi culturali. Quelle reti di associazione connettono la gente coi posti in una miriade di modi che sono progressivamente
arricchiti dalla conoscenza che ognuno sviluppa lungo l’arco temporale della sua vita. 


Ancora la conoscenza in primo piano, la divisione dello spazio. L’ordine spaziale è infatti segmentato in una serie di singoli siti che sono determinati sulla base di specifiche conformazioni morfologiche e che hanno nomi ben identificabili, i siti sono “posseduti” o, diremmo meglio, mantenuti, dai diversi clan. L’intero cosmo è una determinazione a cavallo tra tempi passati ed azioni presenti, è:

[…] un mondo di forme (un ordine visualmente definito, nominato e socialmente segmentato) definito da esseri ancestrali, che è la media tra la libera creatività degli antenati e la conseguente ricettività
degli esseri umani che si prendono cura di questo prodotto ancestrale. 


Da tutto questo risulta chiara l’importanza della relazione di scambio binario tra l’uomo e il suo paese - entrambi danno e ricevono conoscenza e vita - è condizione sine qua non per la vita in un ambiente difficile, le norme e le regole di questa vita diventano la Legge, quella Legge che l’uomo aborigeno riceve ed apprende dalle sue piane verdi e dalle sue depressioni salmastre. A differenza di una cultura, quella occidentale, che per autodefinizione è quella dei consumatori, il mondo aborigeno punta al mantenimento costante delle sue coordinate e delle sue istituzioni, e per assicurarsi questa stabilità iscrive le basi dei suoi comportamenti nella cosa più duratura che esista: la terra. Il paese le pietre e le sacre tavole sono viste come la vera fondazione della legge. Come un uomo potrebbe dire: “Essi sono le legge dei morti; l’antenato è divenuto il paese”. Violare il paese significa profanare la vera essenza della legge dei morti, essa sancisce i comportamenti e determina i legami tra i diversi gruppi. Un individuo si può relazionare con il proprio paese di concezione, con il paese totemico del proprio gruppo ed anche con una serie di paesi affini i cui legami sono sanciti secondo discendenze usualmente patrilineari. Nella traccia che il proprio progenitore ancestrale ha lasciato sul terreno si alternano vari paesi e le popolazioni di questi hanno il dovere comune di mantenere la stabilità. “La stessa canzone” è diffusa in più luoghi, tutti sono
tenuti a cantarla. 


Ogni gruppo possiede un corpo di miti, tipi di canzoni, disegni e oggetti sacri, e un programma di cerimonie, tutte legato al proprio paese. Questi oggetti sacri sono divisi con gli altri gruppi. Una paese ha legami con molti altri della stessa sezione attraverso i viaggi ancestrali e i condivisi oggetti
sacri. 


Il brano sopracitato pone l’attenzione sui particolari rapporti che intercorrono tra i diversi gruppi, relazioni che si basano su una reciproca cooperazione; non è pensabile l’idea di colonizzazione di un altro paese perché lo stesso paese è senziente; conquistare significa conoscere, e poiché per vivere bisogna entrare in intima relazione con la propria terra che è ecologicamente diversa dalle altre, non è possibile che un gruppo totemico prenda possesso di un territorio di cui non conosce le modalità ecologico-produttive. La Legge e la conoscenza appartengono al paese e alla gente e sono inserite profondamente nella cultura, la conoscenza localizzata obbliga gli stranieri a rispettare la sapienza del gruppo locale. Per attraversare un paese che non è quello conosciuto bisogna chiedere il permesso e ci si deve fare accompagnare dai rappresentanti dei suoi abitanti. Le relazioni tra gruppi di paesi diversi seguono quella che Myers chiama la modalità “domanda sempre”. I confini fra i diversi territori non sono spazi di separazione ma linee di intersezione per scambi anche rituali. La conoscenza del proprio paese sancisce autorità e mette a disposizione le necessarie risorse alimentari. È per questo che la persona è legata indissolubilmente al proprio paese e per questo prova nei suoi confronti un forte sentimento affettivo. Badare al paese o prendersene cura è una delle prescrizioni principali del modo di vita aborigeno. La conoscenza porta vantaggi e diritti ma anche doveri, per vivere in un paese bisogna saperlo mantenere e per conservarlo adeguatamente è necessario un alto grado di conoscenza delle sue caratteristiche. Ancora una volta l’ontologia aborigena si presenta con un sistema di feedback attivo di ritorno, in cui i due poli del discorso si definiscono a vicenda. Come ha avuto modo di apprendere Robert Layton dalla sua indagine sul campo: “Per “mantenere” un paese devi prima conoscere la sua legge e farne la base dei tuoi comportamenti. Non puoi semplicemente dire “Questo è il mio paese,” devi viverci.” Una persona mantiene il suo paese vivendoci e mantenendo le sue sacre tradizioni. Secondo lo studio che ha condotto Deborah Rose i principali doveri verso la propria terra sono:

Tenerlo pulito: per esempio bruciarlo in modo appropriato. Usarlo cacciando, raccogliendo, pescando e generalmente lasciando che il paese sappia che là ci sono persone. Proteggere l’integrità del paese non lasciando che altre persone usino il paese o i sogni (in contesti cerimoniali) senza domandare. Proteggere i siti sacri Definire una nuova generazione di proprietari che se ne assuma la responsabilità Educare i nuovi proprietari alla conoscenza ed alla responsabilità Imparare ed
eseguire cerimonie che tengono il paese vivo 


Se si seguiranno tutte queste prescrizioni il paese saprà come ricompensarli. Anche in questo caso il rapporto è riflessivo: le persone si prendono cura del paese ed il paese si prende cura delle persone. Questa relazione è basata sulla conoscenza e sulla assunzione di responsabilità, per questo, come ci suggerisce Elizabeth Povinelli,

la conoscenza e l’esperienza sono i mezzi attraverso cui i reclami per la terra si sono trasformati in
diritti. 


Il rapporto con la terra va oltre alla dimensione produttiva, e quello che non ha voluto capire la corte del Northern Territory, di fronte alle rimostranze nel caso Gove, è di fronte agli occhi di tutti. Il sentimento di amore verso il proprio territorio è testimone del diritto di possesso sullo stesso, diritto dato dalla presenza mai scomparsa - addirittura eterna - di quei progenitori ancestrali che sono, nella loro reincarnazioni, quegli stessi uomini che camminano sul suolo, oggi. La terra è vita, determina con la legge della sua storia le pratiche sociali e religiose, sancisce la legittimità degli scambi tra gruppi, parla del presente, racconta del passato e stabilisce il futuro dell’intera popolazione indigena australiana.



3.3 Organizzazione sociale



3.3.1 Il totemismo



Come si è visto nel capitolo introduttivo di questa esposizione, parlare di un sistema di vita aborigeno è un presupposto che non trova la sua corrispondenza nella realtà etnografica, data l’ampia varietà di istituzioni culturali sparse per il grande continente australiano; tuttavia si possono trovare degli “universali” sufficientemente diffusi all’interno dei diversi gruppi da poterli assumere ad esempio nelle varie aree analizzate. Per quanto riguarda l’organizzazione sociale si può trovare un termine comune nella divisione riscontrabile in un significativo numero di gruppi di aree culturali diverse. Queste società sono divise in “metà”, due parti opposte ed esogamicamente complementari tra loro, nelle quali gli individui sono ascritti secondo una regola di discendenza matrilienare o patrilineare. In alcuni casi questa divisione binaria influenza l’intera concezione dell’universo indigeno. È il caso degli Yolngu: le due metà Dhuwa e Yirritja diventano le due principali categorie in cui il mondo è diviso, non esiste nessuna entità che non appartenga ad una delle due. Dagli uomini agli animali, fino ai progenitori ancestrali, tutti appartengono a una o all’altra, fin dal Tempo del Sogno le imprese formatrici degli antenati di appartenenza del gruppo sono partite dall’interno del proprio paese ed hanno seguito le strade segnate della propria metà. Questa regola delle metà è una prima divisione della società, ad essa se ne possono sommare altre che definiscono meglio l’appartenenza ai diversi gruppi all’interno della comunità. Un’ulteriore divisione avviene in linea verticale secondo parametri generazionali di modo che il gruppo si trova diviso in quattro sezioni raggruppate a due a due. Supponendo un individuo maschio (ego) appartenente ad una metà a discendenza patrilineare, la sua sezione di appartenenza non sarà né quella del padre né quella della madre, ma quella del nonno paterno e potrà stringere legami matrimoniali con una persona della quarta sezione. Un eventuale figlio di ego apparterrà alla sezione del padre di ego e potrà prendere moglie nella sezione della madre di ego. Tutti i gruppi formati sono riconosciuti da ego attraverso un legame parenterale reale o classificatorioche ne definisce le modalità di relazione con gli stessi: la propria sezione - quella dei fratelli e delle sorelle, la sezione delle madri e dei fratelli della madre, quella dei padri e delle sorelle del padre e quella dei cugini - figli dei fratelli della madre o delle sorelle del padre - all’interno della quale potrà trovare il coniuge. Si ponga l’attenzione sullo schema seguente:

A1 PADRE - sorella padre

A2 EGO - sorella ego

B1 madre - FRATELLO MADRE

B2 cugini (figli sorella padre - fratello madre)

A1 e A2, B1 e B2 sono le due diverse generazioni delle stessa metà in opposizione indica il rapporto di filiazione indica il rapporto di unione matrimoniale

In alcune società il sistema è maggiormente ampliato con l’introduzione di ulteriori sottosezioni, portando così la divisione del gruppo a otto o a sedici unità classificatorie. Il complesso sistema di legami è unico nella sua peculiarità perché permette una gestione semplificata delle relazioni tra i gruppi poiché a differenza delle organizzazioni che si basano su termini parentelari questa assume come suo fondamento le sottosezioni che non sono egocentriche ma sociocentriche. Su questo punto seguiamo Myers:

Ognuno appartiene ad una sottosezione e le categorie sono ordinate in relazione reciproca secondo il comportamento parentelare che avviene fra di esse. Perciò, una sezione è sempre “il fratello della madre” o “madre” di una certa altra sezione. Per le attività organizzative tra le persone che non conoscono le loro precise relazioni genealogiche - come accade nei grandi ritrovi rituali - questa dimensione offre ovvi vantaggi. Se gli individui conoscono le loro rispettive sottosezioni, allora sanno
quale tipo di comportamento è appropriato verso le altre. 


Le relazioni che nascono favorite da questo sistema sono ampie e ramificate poiché il grande numero di sottosezioni permette una maggiore divisione sul territorio e, di conseguenza, un più efficace controllo dello stesso. Le relazioni possibili con gruppi anche lontani garantiscono, in questa economia di caccia e raccolta, una maggior possibilità di sopravvivenza dato che in aree di cui non si ha conoscenza - e che quindi non si possono trattare come proprio personale paese da cui trarre risorse - sono comunque territori che magari fanno parte della basilare divisione binominale e quindi sfruttabili a diritto. La descrizione svolta sopra del sistema di organizzazione parentelare è stata condotta con uno sguardo etico e scomposta in classi senza nomi e attributi “visti dall’interno” delle società analizzate, in realtà queste culture riconoscono i complessi legami sociali con un sistema di riconoscimento ed attribuzione di qualità ben differenziate tra i diversi gruppi. Questo sistema, ampiamente studiato dall’etnografia e presente anche in altri contesti culturali, è il totemismo. Il totemismo è l’associazione di un gruppo con una certa classe di cose animate o inanimate, ogni gruppo si autoidentifica con un animale, vegetale, od oggetto (dai fenomeni atmosferici alle conformazioni morfologiche del territorio fino agli esseri mitici) e a questo legame attribuisce qualità parentelare. I gruppi che abbiamo descritto sopra si possono pensare come diretti discendenti e fratelli del dingo, dello stringybark,della nuvola. Il totemismo porta con se una serie di regole che definiscono i rapporti con gli altri gruppi e con la natura stessa, spesso vige il divieto di cibarsi del proprio totem (se non in occasioni particolari) e forte risulta anche il tabù dell’incesto all’interno del proprio gruppo totemico. Questa istituzione non è, come vuole una certa etnografia, solo una istituzione per regolamentare i matrimoni, è una concezione della natura e della vita, dell’uomo e delle creature viventi che influenza ed è influenzata da diversi fattori portanti dell’ontologia aborigena. Il totemismo ha stretti legami con la mitologia del Tempo del Sogno, i progenitori totemici di allora sono gli stessi riconosciuti dai gruppi che vivono oggi sul continente e le loro azioni sono la storia del proprio totem e le istruzioni prescrittive regolamentative della vita. Questa istituzione permette una adeguata regolamentazione della vita all’interno di un sistema che spesso appare precario, con de Martino diremo che il totemismo si connota anche come un sistema di riscatto dal rischio dell’assenza, rischio che in una economia di caccia e raccolta in un ambiente spesso ostile come è il territorio australiano, è sempre bene presente. Il totemismo non è un sistema di naturismo generico, piuttosto è un impianto che regolamenta i rapporti tra il singolo (o il suo gruppo) e una classe di “oggetti naturali” presenti nel suo territorio; è uno strumento di conoscenza e regolamentazione naturale, e, sovrapponendosi perfettamente al precedente sistema analizzato, presenta una varietà interna molto ampia, seguendo Elkinne troviamo sette forme diverse. Totemismo individuale: relazione tra un individuo ed una specie naturale. Definisce i paesi caratterizzati dalla presenza di un solo totem principale. Totemismo dei sessi: divide la tribù in due gruppi in base al sesso ed al totem ad esso associato.
Totemismo di fratria: due gruppi divisi in base ad una relazione di parentela e discendenza patrilineare o matrilineare.
Totemismo di sezione e di sottosezione: ognuno dei quattro o otto gruppi di parentela è connesso con uno o più totem propri.
Totemismo di clan: il gruppo possiede un totem che lo distingue dagli altri e definisce l’area di appartenenza.
Totemismo locale: l’appartenenza ad un gruppo dipende da un criterio geografico e non genealogico. Si ricordi ad esempio il sistema di attribuzione del totem presso gli Aranda: il nuovo nato entra a fare parte del gruppo totemico del territorio in cui è stato concepito, ossia il momento in cui la madre per la prima volta si è accorta delle gravidanza.
Totemismo multiplo: un certo numero di uomini ed oggetti naturali sono accomunati sono uno stesso totem. Questo può essere un aspetto di totemismo di fratria, di sezione, di clan o locale.
Nell’attribuzione dell’identità personale una o più di una di queste opzioni entrano in gioco, una persona può avere diversi totem, ossia appartenere a diversi gruppi totemici, i suoi e quelli dei suoi gruppi parentelari. Un’altra distinzione va fatta per una maggiore comprensione di questo fenomeno, è quella che Elkin opera tra totemismo sociale e cultuale. Il primo appare regolamentatore delle relazioni sociali e del matrimonio mentre il secondo opera nel campo del sacro influenzando le cerimonie e i rituali. Come abbiamo accennato sopra l’organizzazione basata sui totem provvede la società aborigena australiana di regole che definiscono in che modo i diversi gruppi si debbano relazionare. Tra queste quella della proibizione dei legami endogamici relativamente al proprio totem è una delle più forti. L’attribuzione di due persone allo stesso gruppo totemico, per quanto esse siano lontane in ordine genealogico o geografico - il gruppo del canguro può essere molto esteso spazialmente su tutto il territorio - è base per la regolamentazione di un tabù assoluto come quello del matrimonio endogamico. Ed ancora, il totemismo di sezione o sottosezione, come abbiamo visto nello schema precedente, è regolamentatore dei legami possibili separando le generazioni e i cugini incrociati. La regolamentazione provvede anche al proliferare controllato della specie totemica a cui si è associati: dato il tabù (anche se non riscontrato in ogni cultura) che impedisce il cibarsi del proprio animale o vegetale, questa prescrizione mantiene inalterato il sistema della catena alimentare della propria area di stanziamento. A fianco del totemismo sociale, quello cultuale garantisce un’altra serie di comunicazioni interculturali tra gruppi diversi. Tutto il sistema fa riferimento alla mitologia che già abbiamo analizzato a proposito del Tempo del Sogno. I progenitori ancestrali nel loro cammino hanno lasciato segni della loro presenza nel territorio, luoghi che, pregni della loro potenza, sono diventati serbatoi di vita e magazzini di potentissimi oggetti sacri. Questo luoghi sono i centri totemici. Sono posti in cui secondo i racconti mitici è cominciato tutto, sono chiamati “casa” dagli stessi aborigeni che attribuiscono a loro grande importanza.

Ecco il mio sogno [il posto del sogno]. Mio madre mi ha mostrato questo posto quando ero un bambino. Suo padre l’ha mostrato a lui. Mi ha detto: “Il tuo Sogno è qua, devi badare a questo posto,
non lo devi lasciare andare [dimenticarlo, non curarsene], viene dal primo uomo [totemico]. 


All’interno di ogni posto una forza comune spinge gli uomini ad interessarsene, una forza creatrice necessaria per la continua formazione del mondo aborigeno.

Che cosa c’è in quel posto? Noi non lo sappiamo. Qualcosa è là. Come il mio spirito, come mio fratello, come il mio Sogno. […] Come un motore, come un potere, pieno di potere, fa un lavoro duro,
spinge. 


In questi centri totemici si regola la vita cultuale e la presenza degli stessi nel territorio è regolamentazione di un’altra serie di fattori sociali. I centri sono posti su tracce, strade mitologiche descritte dagli indigeni come sentieri, originariamente percorsi dagli antenati. È lungo queste strade che la vita del territorio si sviluppa, come ha osservato l’etnografia, pur conoscendo benissimo l’ubicazione di questi luoghi, spesso il cammino degli aborigeni nell’avvicinarvisi segue strade che non necessariamente sono le più brevi o vantaggiose perché più della meta è importante il percorso, è fondamentale restare sulla propria linea totemica. L’avvicinamento deve seguire lo stesso percorso dei progenitori, e tutt’altro che in senso metaforico, si tratta proprio di seguire una pista - invisibile per un occhio occidentale - che hanno tracciato per primi gli originari antenati totemici del Tempo del Sogno. I motivi di questi percorsi “forzati” sconfinano nell’economico, è facile ipotizzare che la strada seguita, se non conveniente sotto il punto di vista della distanza da coprire, lo sia dal punto di vista alimentare. I centri totemici sono spesso pozze d’acqua in cui rifornirsi e attorno alle quali periodicamente arriva un gran numero di animali da cacciare. In più il sentiero spesso è percorso in comune con altri clan perché questi centri cultuali non sono esclusivo appannaggio di un solo gruppo totemico. Al contrario è spesso dovere di gruppi diversi salvaguardarne l’integrità e “prendere in consegna” il Sogno quando cambia il paese attraverso il quale il sentiero mitico si sviluppa. Per questo i confini non sono netti limiti di demarcazione ma spesso linee di unione tra diverse culture. Attraverso lo scambio di cerimonie e il comune canto dello stesso tema ritmicolegami rituali tra gruppi diversi sono sanciti. Spesso tra due zone di una stessa sottosezione è presente un altro gruppo totemico, tra i due è sancito un accordo che permette il passaggio del sentiero sulla base di un “prestito” che spesso trova le sue origini nei racconti mitologici. Diversi gruppi possono dire di appartenere ad un solo paese poiché diverse regolamentazioni permettono a gruppi contraddistinti da totem diversi la gestione in comune di uno stesso sentiero mitico, con tutte le possibilità di sostentamento che queste relazioni implicano. Il totemismo è una struttura che ha importanti implicazioni economiche, ma non solo, è l’immagine di una concezione di vita che lega indissolubilmente l’uomo alla terra in cui vive. È strumento per il mantenimento dell’ordine naturale attraverso un contatto (di relazione e di identificazione) della persona con una classe naturale, atto di classificazione dell’habitat sociale e geografico in cui ci si trova ma anche ontologia creativa che rispecchia la caratteristica globale di tutta una società che vive la propria esistenza a metà tra il reale esperito quotidianamente e il mito sentito e riconosciuto nel sottosuolo delle reale visibile. Lontano da qualsiasi rigida classificazione, il sistema di organizzazione sociale adottato dalle popolazioni indigene australiane è quanto più si possa trovare di dinamico e soggetto a “negoziazioni”. La presenza di luoghi e piste in cui le diverse linee ancestrali di due o più antenati totemici si sovrappongono sta a dimostrare come ci sia un continuo e importantissimo scambio di informazioni e di conoscenza. La negoziazione delle canzoni nella pratica rituale, come vedremo nei prossimi capitoli, è una delle caratteristiche fondamentali della cerimonialità aborigena. Il totemismo indigeno si connota come affettivo e produttivo; come le parti in causa della Sentenza Gove volevano dimostrare, la dimensione economica e di gestione del territorio non può prescindere da quella religiosa, così nell’organizzazione sociale si deve considerare che il sistema di gestione della produzione, correlato ai gruppi totemici, ha una forte e fondamentale componente affettiva. L’importanza che gli aborigeni attribuiscono al proprio paese come fonte di vita ha perciò un duplice aspetto. Nel tempo del Sogno mitologia totemica e concezione storica si intersecano, le azioni dei progenitori che appartengono alle leggende sono visibili nella storia delle conformazioni geografiche del territorio. Tentando di definire ad un livello più profondo le basi concettuali del totemismo, ci porremo come terzo angolo del triangolo che vede agli altri angoli le teorie in opposizione di Malinowski e del primo Radcliffe-Brown da una parte, e di Lévi-Strauss dall’altra. Seguendo Kolig definiamo il totemismo come una struttura di potere, potere che proviene dalla conoscenza e dalla organizzazione dei fenomeni naturali. La prima teoria dei due antropologi funzionalisti considera il totemismo come una organizzazione economica principalmente orientata verso fini naturali a scopo sostentativo, in pratica un animale diventa totem solo se è “buono da mangiare”. Al contrario Lévi-Strauss formula una teoria che risente di tutta l’impostazione strutturalista della sua etnografia: il totemismo appare una struttura classificatoria che divide la realtà sensibile in una opposizione binaria, opposizione che sta alla base dell’intero modo di pensare dell’intelletto umano.

Gli animali del totemismo cessano di essere soltanto, o soprattutto, creature temute, ammirate o desiderate: la realtà sensibile lascia trasparire nozioni e relazioni, concepite dal pensiero speculativo
a partire dai dati dell’osservazione. 


Le specie totemiche diventano “buone da pensare”. Erich Kolig formula una terza tesi: il totemismo è un struttura rituale-organizzativa che assume, attraverso la conoscenza dell’ambiente e la sua classificazione, un potere sull’imprevedibilità dello stesso.

La cultura aborigena attribuisce al rito il potere sulla natura, sul mondo e sulla società e vede il rito come pratica necessaria per garantire la loro esistenza. Il rito e il simbolo hanno la precedenza sui
processi naturali che sono pensati come incapaci di funzionare autonomamente. 


La tesi riecheggia le idee di de Martino che descrive la mitologia come il prodotto di un riscatto culturale dall’angoscia territoriale. La divisione in metà, sezioni e sottosezioni rappresenta un sistema di ordine universale che, a detta degli stessi indigeni, va al di là del loro paese per investire il cosmo intero. La classificazione totemica resta un sistema incompleto - non è possibile un ordine tassonomico dell’intero mondo naturale in una cultura orale - ed aperto perché la sua principale caratteristica, scopo della sua azione, è conoscere per ordinare.

La sua capacità di comprensione per ordinare l’universo conosciuto è più importante dell’istituzione
di una tassonomia simil-scientifica nella quale ogni oggetto trova il suo posto. 


Lo scopo del totemismo è mantenere un legame tra l’universo sensibile del quotidiano e l’uomo che in quel mondo vive e cammina, e per fare questo deve conoscere per ordinare. Questa sapienza è potere, potere che serve - nel consueto rapporto di feedback attivo - a mantenere la sapienza e a tramandarla. L’istituzione è originata dall’intima natura della società stessa, natura che vede come elementi formativi del suo carattere una serie di fattori che fanno parte del passato ancestrale mitico e del presente sensibile e vissuto. Come si esprime Elkin, il totemismo:

Porta uomo e natura in un unico sistema morale e psicologico, annulla la divisione tra l’umano e il
naturale. 


È in sintesi una struttura che crea esoneri per l’ambiente naturale “patito” ma anche istituzioni derivate dal sistema mitologico, come definisce ancora una volta Kolig:

Il complesso sistema totemico aborigeno combina l’idea di una associazione simpatica che può essere usata per scopi magici, con quella di un mondo sistematizzato. Questo permette una forma di manipolazione simbolica nella quale i totem, attraverso la loro simpatica congiunzione con l’intero sistema, agiscono sul mondo cosmicamente ordinato. I simboli dei sistemi di sezione e sottosezione sono in loro stessi solo pezzi della natura, classi di persone, ecc., ma uniti esprimono l’ordine del mondo. Attivati nel rituale possono lavorare sull’intero sistema attraverso le intricate regole di interazione simpatica. L’intero sistema di interazione umana, una volta strutturato in accordo con l’ordine cosmico, risuona dello stesso sistema. Come ogni livello è capace di influenzare gli altri, l’interazione umana usa il suo potere per mantenere l’ordine cosmico del piano descritto del Sogno
nella vita del quotidiano. 


Garanzia di successo in un ambiente di vita duro, grazie alla rete di relazioni che instaura, il totemismo prende le sue origini dai racconti mitici del Sogno ed organizza il sensibile perché quel Sogno da cui prende vita sia continuamente fecondo. Il rapporto circolare è bene evidente anche in questa struttura sociale organizzativa, che come le altre necessita di un sostegno continuo dato dalla pratica rituale. È attraverso questa pratica rituale che il potere creato nel Tempo del Sogno e posseduto dai mitici essere antenati viene trasferito nel presente del quotidiano presso le popolazioni che di quegli antenati sono i diretti discendenti.



3.3.2 La Legge



Uno dei punti fondamentali dell’ontologia aborigena è il concetto di Legge. All’interno di questa idea si raggruppano diversi ed importanti nuclei tematici. Legge sono le usanze, la “giusta pratica” del passato, le indicazioni da seguire, la regolamentazione rituale e cerimoniale. Il legame con la Legge costituisce l’essenza stessa della vita per le popolazioni indigene, seguire la Legge non è solo un precetto, ma anche una necessità; mantenere invariate le pratiche economiche e rituali e tramandare le efficaci modalità di adattamento all’ambiente sperimentate nel passato è lo scopo principale di questa stretta osservanza. Ma c’è di più: come già evidenziato per altri aspetti, la componente emozionale ha il suo peso importante. Il sentimento nei confronti della terra è parte del sistema più ampio di affetto verso tutto un universo di regole e ritualità che trovano la loro somma identificazione con la legge. Seguire la Legge è la prima regola per gli aborigeni australiani:

Noi seguiamo una Legge. Numero uno Legge. Non due leggi, non tre leggi, non quattro leggi, non
cinque leggi. No! Solo numero uno! Una Legge! Questo è il modo giusto. 


Ma non si pensi che ci sia una qualsiasi sorta di costrizione nell’osservanza di queste regole: la legge è seguita perché è parte stessa della natura, come le conformazioni morfologiche del terreno, naturalmente presente e sempre visibile, come ci racconta Deborah Rose:

Doug Campbell, uno degli anziani Yarralin, mi ha spiegato che io dovevo osservare le regole aborigene perché non ci possono essere eccezioni sotto la Legge: “Vedi quella collina laggiù? La nostra Legge è come quella collina. Non cambia mai. La legge dei bianchi va in questa direzione, poi in quella, cambiando continuamente. La nostra Legge è diversa. Non cambia mai. La nostra Legge è
dura come la pietra, come la collina. La Legge è nel terreno.”  


Presente nella terra la legge fa parte di quell’universo che vede sempre il progenitori ancestrali come principali attori nell’organizzazione della vita indigena, furono essi, infatti, a descrivere e fondare la Legge, durante il Tempo del Sogno. La legge è nel terreno, la vita ed i suoi modi espressivi provengono dalla patria che ogni uomo riconosce tale. I progenitori - identificabili con la stessa patria - hanno posto le basi per questa legge e ciò che resta di loro sono i codici applicativi di questa
normativa. 

Come abbiamo accennato sopra nel termine Legge si possono comprendere diversi concetti, per questo a giusta ragione viene spesso intesa come una sorta di regolamentazione comportamentale: la “giusta pratica” come ci suggerisce Ian Keen:

Il vocabolo rom, che si riferisce all’esecuzione di una cerimonia, gli Yolngu lo traducono “legge” o “cultura”. Il cibo che un animale o un’altra creatura mangia abitualmente è rom. Rom si può tradurre con l’espressione “giusta pratica”. La rom di un gruppo è compresa nel corpo di miti che si riferiscono agli antenati totemici. Il capo del gruppo totemico dello Stringybark mi chiese se ero a conoscenza della rom del suo gruppo e quando capì che ne ero all’oscuro mi raccontò la storia delle sorelle Wagilak usando un dipinto su corteccia per indicarmi i principali protagonisti e i posti della
storia.


La Legge è fonte di vita, essenza prima e per questo entra nel corpus di miti che raccontano fin dall’origine l’esistenza dell’uomo nel mondo. Le azioni dei progenitori ancestrali - visibili nel terreno - sono codificate nella Legge, norme che sanciscono un altro importante aspetto: il rapporto dell’uomo con la natura e con i sui simili.

La Legge si occupa di rapporti. Nei sogni vengono determinate regole di comportamento tra paese e paese, paesi e specie animali e vegetali, persone e paesi, persone e specie, persone e persone. Gli individui di ogni specie vanno e vengono ma i rapporti tra loro restano. La Legge è una cosa seria, spiega come il mondo è tenuto assieme. Non osservare la Legge significherebbe non osservare la stessa fonte di vita o permettere che il cosmo precipiti. Doug definiva la Legge (Yumi) in questo modo: “Yumi: Legge viene dal Sogno. Quello che il Sogno ha fatto, non puoi perdere la Legge. Il
nostro sogno ha fatto in quel modo e noi dobbiamo continuarlo.”  


Se si possono comprendere molti concetti all’interno di quello che gli aborigeni definiscono come Legge, la nostra attenzione è rivolta ad una costante: il dovere di ogni singolo individuo è fare sì che le norme stabilite dagli antenati totemici nel Tempo del Sogno siano tramandate di generazione in generazione.



3.3.3 La proprietà e la conoscenza



Il concetto di proprietà è stato a lungo dibattuto nell’etnografia passata e soprattutto in quella recente anche per le importanti implicazioni giuridiche riguardo ai diritti sulla terra nel periodo dell’autodeterminazione. Un’attenta analisi è stata svolta per definire cosa fosse proprietà per le popolazioni indigene e come si dovesse interepretare questo concetto in relazione alle normative “occidentali” vigenti in quegli anni. Da queste indagini risulta evidente che il concetto di proprietà era profondamente differente, in particolar modo per quanto riguarda la provenienza di questo diritto: secondo gli aborigeni il possesso deriva in parte dai progenitori ancestrali ed in parte dalla conoscenza e dalla responsabilità con la quale ogni individuo si relaziona alla propria terra (paese). Per questo agli occhi delle popolazioni indigene appare naturale che il territorio dove hanno sempre vissuto sia di loro proprietà:

Gli Yolngu credono che tutta la terra che è oggi l’Australia è posseduta da qualche gruppo di aborigeni. Una volta ho sentito un uomo di Yirrkala che visitava un’altra area che diceva: “Non sappiamo chi possiede questa terra; non abbiamo sentito la storia. Ma sappiamo che qualcuno la possiede.” Gli Yolngu credono che il possesso della terra derivi sempre allo stesso modo: esseri ancestrali in un passato remoto hanno viaggiato per la terra, per il mare e mentre viaggiavano
nominavano le cose. 


Come abbiamo visto in altri casi, le popolazioni autoctone non concepiscono l’amministrazione della terra e le strutture politiche indipendentemente dalla religione e dalle sue espressioni, è per questo che è sempre in corso un acceso contrasto con le nozioni occidentali di proprietà basate sullo sfruttamento ad uso economico del territorio. Ma anche un’altra forte distinzione va fatta seguendo questa analisi: la proprietà, come i diritti sulla terra, provengono in parte da un’eredità ancestrale, ma sono mantenuti attraverso un esercizio della conoscenza e della pratica rituale. Per avere diritto su un terra e o su una cerimonia - la proprietà non è solo terriera - bisogno profondamente conoscere le origini e le implicazioni di quella storia o linea totemica da cui l’oggetto in questione ha preso forma.

“Tenere” un paese è avere certi diritti su esso, principalmente il diritto di essere consultato sulle visite al posto, sulle cerimonie eseguite là, o sulle cerimonie rivelatrici che riguardano le sue associazioni rituali tenute in un altro luogo. Per conservare questo status uno deve conoscere (ninti) la storia del posto, i rituali associati, le canzoni e i disegni. Ciò che uno mantiene o quello che perde o passa è essenzialmente conoscenza. Su questo punto si basano le critiche di Tjanya sulla rivendicazione di Alex tjapanangka di essere il possessore di Yawalyurrunya. Sebbene Alex fosse stato concepito dal Sogno Tingarri, non era mai stato ad Yawalyurrunya e non aveva visto i rituali. Perciò non li conosceva. Mara Mara tjungurrayi, d’altro canto, era un originario possessore. Aveva visto il posto e conosceva il rituale. Il controllo di questa conoscenza fornisce un metodo di organizzazione dei rapporti tra i vecchi e i giovani, tra i possessori e i non possessori. Molte persone possono rivendicare possedimenti su un sito ma non lo possiedono veramente fino a che altri possessori
acconsentono ad accettare le loro richieste e li istruiscono sulle cerimonie. 


Ed allora si diventa “proprietari” del sito, della canzone, del racconto totemico, degli oggetti sacri contenuti del paese. Si diventa responsabili per quel tratto di paese e quel tratto di storia, si possono intrecciare relazioni con altre storie e paesi, ci si fa carico di doveri molto importanti per tutta la comunità, ma si acquistano anche importanti diritti:

I diritti dei “proprietari” della terra si riferiscono alle risorse dell’area, ossia al controllo delle trasformazioni ancestrali (oggetti e siti sacri), e delle canzoni e cerimoniali associate. Nessuna parte del paese - sia che ci siano tavole sacre segnate alloggiate in crepe o cavità, che ci siano altre normali pietre che possono essere trasformazioni degli antenati - deve essere toccata senza la loro
approvazione. 


Avevamo già visto sopra come l’idea di conquista non fosse annoverabile nell’universo indigeno, e qui ne abbiamo avuto la conferma: l’unico potere che si può esercitare su un territorio è quello che deriva direttamente dalla linea totemica ancestrale e il mantenimento di questo diritto è dato dal grado di conoscenza che si possiede. La conoscenza è fonte di potere e strumento di negoziazione nei rapporti con gli altri gruppi: per passare in un paese sconosciuto ci si deve fare accompagnare dai proprietari di quel territorio, ed è allora che si instaurano importanti rapporti produttivi. Si deve poi anche considerare il fatto che sulla stessa linea totemica - il percorso compiuto nel Tempo del Sogno dall’originario progenitore ancestrale - si trovano distribuiti diversi paesi che fanno parte della stessa storia e per i quali la fonte della conoscenza è lo strumento principe di comunicazione. Starà ad ogni gruppo salvaguardare la propria parte della storia per permettere che il sentiero vitale segnato dagli antenati non si interrompa mai, e per questi “proprietari” lo strumento di conservazione resta la attenta conoscenza del racconto e degli eventi occorsi lungo l’ancestrale cammino formatore.



3.3.4 I paesi e i confini



Un singolo paese (ngura gudju) include generalmente l’insieme di siti circostanti che rappresentano i residui corporei di più di un antenato, ma solo uno è quello più rappresentativo. La trasformazione ancestrale costituisce una sorta di casa per una serie di uomini e donne, i cui diritti derivano loro
direttamente dal padre. 


Nancy Munn definisce in questo modo il concetto di paese che è, come abbiamo visto nel paragrafo 3.2.3, il fondamento di tutta la vita aborigena, sia economica che rituale. È importante sottolineare a questo punto come non esista un solo paese, ma, come abbiamo visto sopra, una rete di relazioni tra diversi paesi che fanno parte della stessa linea totemica e che sono in stretto contatto poiché hanno in comune la stessa storia originaria, per questo seguiamo il brano sotto:

Un paese è l’unità di base per comprendere l’identità di un gruppo. Ogni gruppo possiede un corpo di miti, tipi di canzoni, disegni e oggetti sacri e modalità cerimoniali, tutti in relazione al loro paese. Queste madayin [tutto ciò che abbia a che fare con gli antenati, N.d.T.] sono divise con gli altri gruppi. Un paese ha legami con molti altri della stessa “metà” [moiety] attraverso i viaggi ancestrali
e gli oggetti sacri in comune. 


La relazione che si instaura tra tutte queste unità forma una sorta di rete connettiva che si estende per tutto il territorio, attraverso la negoziazione della conoscenza della propria storia si entra in contatto con altri paesi.

Gli Yolngu che vivono tra Djmardi (il fiume Blyth) e Wurrunguyana (la foce del fiume Walker, nella parte settentrionale dello stato del Northern Territory) comunicano tra di loro nelle proprie lingue. Noi ci dipingiamo tutti nello stesso modo e seguiamo gli stessi sentieri del Sogno nelle nostre cerimonie. Noi tutti balliamo il coccodrillo e lo squalo. Questi sono i totem e i solo sogni che noi condividiamo - la nostra comune storia. Il sentiero e la cerimonia del Sogno del coccodrillo ci unisce poiché il coccodrillo ha viaggiato da est verso ovest. Il coccodrillo è un sogno importante che si estende e unisce tutta la regione: lo squalo è lo stesso. C’è anche il sogno delle sorelle Djan’kawu.
Molti sogni uniscono l’area dalla terra ferma fino al mare. 


Si può viaggiare, attraverso territori sconosciuti con l’aiuto di chi conosce quella terra. Si basa tutto su una serie di diritti che si acquisiscono chiedendo il permesso a chi li possiede, così si intrecciano rapporti che vanno dal produttivo al matrimoniale.

I legami che legano i paesi seguono le tracce del Sogno, le vie del commercio, i legami matrimoniali. L’intero continente australiano era parte di un unico, grande sistema di commercio e conoscenza, e i legami di informazioni sono apparentemente vecchi di migliaia di anni. I viaggiatori del sogno interagiscono, e su una base regionale possono essere legati gli uni agli altri in comunità rituali che comprendono anche le persone che officiano le sacre celebrazioni della vita. Le regioni sono
connesse, come sono connessi i paesi, e le informazioni viaggiano su queste “autostrade culturali.”  


I paesi sono uniti e tra di loro anche i confini sono linee che accomunano invece che separare. Tutt’altro che linee di demarcazione per quadrare un territorio, i confini si configurano come linee che si intersecano all’interno dei vari territori e dove si incontrano spesso sono presenti siti totemici importanti nei quali vengono eseguite cerimonie e dove avviene lo scambio di conoscenza e informazioni. I confini sono, come altri aspetti della vita indigena, soggetti a negoziazioni ed interpretazioni sulla base dei racconti mitici per questo devono essere considerati come strade di comunicazione e non come linee di separazione.

Gli Yolngu indicano l’esistenza e la qualità dei confini in molte maniere. Nel mito i siti che, tra le altre cose, stanno a simbolo della terra e del suo possesso, sono focali, però non necessariamente geograficamente centrali, alle area di cui fanno parte. La posizione di questi siti e dei loro importanti confini viene espressa con diversi simbolismi. In un mito, per esempio, un essere-spirito è alla ricerca di miele. In certi posti trova miele che non è buono o addirittura non mangiabile. Gli Yolngu spiegano che il miele, gli alberi in quei siti, e la terra circostante, appartiene a un diverso gruppo di persone, usualmente un clan dell’opposta moiety. In un altro mito, un essere-spirito con le sembianze di un pesce, incontra uno sbarramento di roccia nel corpo d’acqua in cui stava nuotando - una barriera fisica al suo viaggio. Il pesce spirito capisce che questa barriera rappresenta il confine di una terra appartenente ad un altro gruppo, ancora un clan della moiety opposta. Gli Yolngu non rappresentano solo così i loro confini, mettono in relazione anche i confini raccontati dal mito con quelli naturalmente presenti nella terra. Sebbene i confini definiscono la terra come appartenente da un particolare gruppo e perciò di una moiety oppure di quella opposta, non tutto all’interno di un’area definita appartiene esclusivamente solo ad una moiety. I confini sono comunque soggetti a
negoziazione e reinterpretazione come lo sono altri aspetti della terra in relazione alle persone. 


I paesi, perciò, non sono territori chiusi e limitati, ma al contrario, si estendono nello spazio seguendo le tracce del Sogno lungo una via che si definisce continuamente nei rapporti che gli abitanti intrecciano tra loro.



3.4 Mito, cerimonie e manifestazioni artistiche rituali



Tutta la pratica rituale ha una funzione fondamentale nell’organizzazione sociale aborigena, ai riti sono connesse le più importanti concezioni “religiose” dell’intera ontologia indigena. Tutti gli aspetti della vita sociale hanno un riferimento nei riti che sono per la loro stessa natura associati al Tempo del Sogno da cui traggono le loro origini. Il particolare complesso cerimoniale è eseguito nella maggior parte dei casi all’interno di luoghi ben stabiliti come i centri totemici, simbolo ed effettiva risorsa della spiritualità dei progenitori ancestrali. Chiara risulta allora la correlazione tra mito e rito ove quest’ultimo si pone come una trascrizione nel quotidiano della dimensione “sognata” dell’altro. Il rito organizza e soddisfa bisogni spirituali ed economici della società, Erich Kolig descrive come cinque le sue principali funzioni:

Assicura la procreazione umana. 

È un prerequisito per lo sviluppo spirituale e la maturazione sociale.
Assicura la fertilità di animali e piante e la probabilità di piogge.
È necessario per mantenere tutto il cosmo.
La società e la cultura hanno bisogno del rito per diffondersi. 

Tutta questa serie di fattori può essere vista come produzione di significati. Il cosmo viene organizzato attraverso la riscrittura della sua morfologia all’interno di un rituale che permette all’uomo di imbrigliarne e canalizzarne la potenza. Il nuovo significato acquisito porta con sé la costruzione di un’istituzione culturale il cui scopo è quello di aumentare il potere che l’uomo esercita sulla natura. In questa ottica trovano posto i riti di incremento attraverso i quali si intende incrementare la fertilità di una o più specie animali o vegetali. Queste cerimonie sono eseguite di norma nel centro totemico della specie da incrementare e dalle persone appartenenti a quella famiglia totemica. Nel corso del rito viene ripercorsa la storia del mito formatore del totem, dei posti segnati dal percorso dell’antenato comune. Ricordare questi avvenimenti è di per sé incremento della specie perché è strumento per la conoscenza. La pratica rituale stimola la conoscenza, anche attraverso la dimensione mitologica, del territorio, e di conseguenza sviluppa un adeguato metodo di sfruttamento dello stesso, atto a fare sì che le varie specie animali e vegetali non si impoveriscano mai. Oltre a questa produzione “passiva” se ne trovano anche altre attive, in alcune cerimonie il sangue che esce da una vena del braccio incisa, o dall’organo genitale maschile, è donato al terreno per aumentarne la fertilità. È questo un elemento molto diffuso nelle cerimonie di accrescimento, il sangue viene usato per dipingere sul corpo gli emblemi totemici dei progenitori, per decorare qualche oggetto o, appunto, per ridonare energia alla terra. Il terreno, sede dei progenitori ancestrali, deve essere continuamente alimentato perché l’energia di quegli antenati sia sempre presente e le specie che derivano da loro siano sempre abbondanti. Tutta questa attenzione al territorio si constata nell’espressione che abbiamo più volte trovato presente nell’etnografia a riguardo del sentimento nei confronti nel proprio paese, ossia quel “badare”, “prendersi cura” [to look after] che, come uno dei doveri fondamentali di ogni individuo all’interno della società aborigena, viene tramandato di padre in figlio. In questo modo il potere del passato ancestrale sarà sempre disponibile per le nuove generazioni. Nel rito, infatti, avviene la comunicazione-consegna del potere contenuto nel passato ai gruppi umani che oggi occupano la terra. Secondo l’analisi di Morphy, presso gli Yolngu si possono distinguere due categorie di miti: quelli di creazione e quelli di eredità. La prima serie di miti, che abbiamo analizzato nei paragrafi precedenti, si riferisce ad avvenimenti che hanno plasmato il mondo come lo si può vedere oggi e che non si riferiscono direttamente alla specie umana. I miti di eredità, invece, si riferiscono ad un complesso di episodi che interessano direttamente la creazione della specie umana nel paesaggio e il trasferimento dei diritti dei progenitori, con tutti loro poteri, alle popolazioni Yolngu di oggi. Rimasti nel paesaggio come segni della loro antica presenza, gli antenati totemici continuano a diffondere la loro energia attraverso le istituzioni rituali che essi stessi hanno istituito. Pur derivando dai progenitori, e anche se parzialmente si identificano con essi, gli uomini non sono esseri spirituali, di conseguenza non ricevono che per irradiazione quel potere di cui i loro antenati erano e sono provvisti, e con il potere ricevono anche le “istruzioni” circa le cerimonie e i comportamenti da attuare, l’identità e la divisione dei gruppi totemici. In quel tempo “le indifferenziate forze creative del Sogno divennero le sacre conoscenze, socialmente differenziate, dei
clan.” Seguiamo un mito degli Yolngu:


Barrama, un essere wangarrdella metà Yirritja, emerse dal terreno a Gaarngarn nel paese Dharlwangu. Barrama mandò tre emissari da Gaarngarn, Laanytjung, Banatja e Galbarimun, per dare mardayinagli altri clan Yirritja. Laanytjung arrivò a Wandapuy dove incontrò Banga, uno Yolngu e uno degli antenati fondatori del clan Galpiny. Laanytjung viaggiava da un posto all’altro per dire alla gente le loro cerimonie, per mostrare loro cosa fare e cosa tenere in ogni posto. Egli portò con se alcuni dipinti. Egli si era dipinto anche il corpo e vestiva della bande sulle braccia. Egli guardò dietro di sé verso l’acqua fresca e vide una borsa di zuccherochiamata birrkuda - una borsa di zucchero che vive negli alberi chiamati con un nome speciale - tjurna. Farò di questo un rangga [oggetto sacro] per la gente Galpiny. Farà per loro un miny’tji (dipinto) speciale chiamato ----. Poi Laanytjung fece un terreno, un terreno cerimoniale, una regola per la gente che veniva e andava in quel terreno cerimoniale. Poi fece una borsasacra per Galpiny per usarla quando c’è un bunggul [cerimonia sacra] o quando stiamo combattendo. Laanytjung ci ha dato tutto quello che noi usiamo in
quella terra. 


Il progenitore pone le basi, istruisce gli umani sulle modalità cerimoniali, spiega “come fare e cosa mettere nei posti giusti.” Tutte le pratiche derivano dal Tempo del Sogno, la giusta esecuzione delle stesse apporterà un accrescimento dell’energia presente in circolo in tutta la società. La cerimonia dell’iniziazione è una delle più sacre ed ha al suo interno molteplici significati. In questo tempo al giovane iniziato viene disvelata una parte della conoscenza segreta e sacra del gruppo, gli vengono fatti vedere degli oggetti sacri che rappresentano - sono - la sua stessa essenza. Durante la sua infanzia ogni ragazzo viene a conoscenza di una serie di rituali segreti che gli restano tali fino al momento in cui non sarà pronto a conoscerli interamente nella loro potenza. Il rivelamento di queste cerimonie ai non iniziati è assolutamente vietato, gli stessi luoghi in cui sono nascosti gli oggetti sacri sono conosciuti solo dagli anziani ed il loro accesso è assolutamente interdetto a donne e ai giovani. Presso gli Aranda il giovane ragazzo viene separato dalla comunità per diverse settimane e deve nascondersi lontano, sorvegliato da altri uomini. Durante questo periodo viene istruito sui rituali e sulle pratiche che dovrà compiere una volta che sarà un uomo adulto. Nel fatidico giorno della sua iniziazione gli sarà praticata la circoncisione e gli verrà mostrato il suo sacro churinga, alla consegna il novizio si sente dire: “Questo è un tuo osso”. Il churinga è l’oggetto più sacro della cultura aborigena, è un ovale di legno o pietra le cui dimensioni possono variare sul quale sono incisi o disegnati i simboli appartenenti ai diversi gruppi totemici e le strade compiute dal progenitore ancestrale. Al momento della nascita il churinga è sepolto nel centro totemico e viene consegnato all’iniziato solo dopo la circoncisione. La grande importanza sacrale di questo oggetto risiede nel fatto che è la prima e più forte testimonianza dell’appartenenza di un individuo al proprio gruppo totemico e al proprio territorio, è parte dello stesso corpo del progenitore e, di conseguenza, è ossa dei suoi discendenti. Per la loro importanza i churinga sono stati usati come prove nei tribunali allorquando si discuteva un caso di diritti territoriali. Quando presenta dimensioni più piccole il churinga è chiamato bull-roarer, bucato ad una sua estremità e corredato di una corda viene fatto roteare. Il suo movimento produce una sorta di muggito simile a quello del toro, da cui proviene il nome. Questo suono è molto sacroper tutte le popolazioni ed è usato per spaventare i novizi che non vedendo da dove proviene lo associano con le voci tonanti dei progenitori ancestrali. La presenza di oggetti sacri nel territorio è simbolo dell’identificazione dell’uomo con lo stesso e la caratterizzazione di questi manufatti come parti fisiche del corpo umano (ossa, costole, spina dorsale) testimonia il posto di rilevo che la terra (terra come paese, identità, insieme di molteplici varianti) detiene all’interno dell’organismo umano. Il vocabolo usato in profusione in tutta l’etnografia inglese in questo ambito è embodiment: incorporamento, incorporazione. Avremo modo di trattare l’argomento estesamente nel capitolo che seguirà; per adesso poniamo l’attenzione sul fatto che, come più volte dimostrato all’interno di questa esposizione, la relazione tra due soggetti-oggetti apparentemente separati come possono essere corpo e territorio è biunivoca, si basa cioè su uno scambio attivo in forma di circolo di entrambe le parti. Di questa modalità di circolo “virtuoso” abbiamo avuto abbondanti testimonianze, nell’ambito cerimoniale ricordiamo che il potere trasferibile dai progenitori agli umani odierni è possibile solo attraverso la continua alimentazione dello stesso da parte dell’impianto rituale umano e quest’ultimo, per contro, detiene la sua potenza ed è stato generato, da quel potere che contribuisce a mantenere. Un’altra importante abitudine rituale che accompagna un grande numero di cerimonie è la pratica musicale mista a quella della danza. L’espressione musicale sarà oggetto di un’analisi approfondita nello svolgersi di questa esposizione e merita per la sua importanza un capitolo a sé, in questo luogo però potremmo dire che essa è di primaria rilevanza perché tutta l’attività dei progenitori si è svolta, come vuole il mito, secondo i suoi canoni. Gli antenati totemici hanno creato il mondo cantandolo e le loro stesse piste che attraversano il continente sono descrivibili come tracce sonore. Interi cicli di canzoni stano alla base dei legami interculturali tra i diversi gruppi totemici. La conoscenza del luogo non può prescindere dalla conoscenza della canzone presente nel territorio, la traccia ritmica insita nello stesso terreno che viene dal Tempo del Sogno. La danza poi, è parte integrante delle cerimonie più importanti, e viene accompagnata con le espressioni musicali più varie: dalla semplice canzone di una voce solitaria, al ritmo incalzante ottenuto con strumenti a percussione,al sottofondo monotòno del didjeridu. Nelle loro evoluzioni coreutiche gli aborigeni descrivono il mondo come fu creato e come è adesso. Si inventano nuovi tipi di danze ma tutti hanno un senso descrittivo degli avvenimenti del passato, e soprattutto in tutte vengono mantenuti dei dettagli che caratterizzano la storia del proprio antenato rispetto a quella degli altri. Le danze, come tutte le altre manifestazioni artistiche rituali sono un veicolo di trasmissione del sapere, e in aggiunta sono anche un elemento di scambio tanto quanto le cerimonie che vengono messe in comune tra i vari gruppi culturali nei centri totemici interessati da più di un percorso ancestrale.



3.4.1 Segni e disegni



Come abbiamo visto sopra, il rito ripercorre l’azione dei progenitori, nella pratica cerimoniale vengono descritte, quanto più fedelmente possibile, le loro salienti caratteristiche fisiche. In questo processo la produzione grafica rituale ha un ruolo fondamentale: a questo riguardo citiamo la seconda parte del mito descritto in precedenza (vedi paragrafo 3.2.2), è lo stesso protagonista che parla:

Puoi vedere i segni sul suo corpo [i segni della trasformazione da uomo ad animale] (il tema a diamante dei dipinti) quelli appartengono a Baaru [il coccodrillo], quelli sono i segni che egli stesso dipinge sul suo corpo. Quando gli Yolngu eseguono cerimonie per il coccodrillo quelli sono i segni che devono dipingersi sul corpo. Baaru prima stava in un altro posto e poi andò da un luogo ad un altro, facendo i mardayin, facendo il sogno, facendo la terra. Baaru ha il “possesso” di questa terra e quello che faccio è questa cerimonia: quando faccio il nido, quando faccio il posto, quando faccio fuoco, quando faccio giovani coccodrilli, quando faccio gli stessi Yolngu. La gente Yolngu farà lo
stesso che sto facendo io adesso. 


Il racconto mitologico ha, nell’universo indigeno, un ruolo principale; in questo ambito l’importanza del simbolismo grafico è fondamentale perché si pone come tramite tra il mondo degli antenati totemici e il presente vissuto. I segni che i progenitori portano sul loro corpo o quelli che hanno impresso sul territorio sono gli stessi segni che vengono ripetuti sotto forma di disegno durante le cerimonie. Per questo, come sostiene Howard Morphy:

I disegni degli antenati non rappresentano semplicemente gli esseri ancestrali secondo un codice che spiega le storie accadute nel passato. Secondo gli Yolngu, i disegni sono parte integrale degli stessi esseri ancestrali. Dipingendo i disegni nelle cerimonie, cantando le canzoni, eseguendo le danze, gli Yolngu stanno ricreando gli eventi ancestrali. Ciò che fa dei disegni qualcosa in più che semplici rappresentazioni del passato ancestrale è il fatto che questi stessi disegni possiedono o contengono il potere dell’essere ancestrale. Il potere (maarr) che i disegni hanno è lo stesso di quello che proviene
dagli oggetti sacri del clan e che può essere invocato attraverso canzoni rituali.  


Il segno si identifica nel disegno, le due dimensioni - passato ancestrale e vissuto rituale quotidiano - si fondono in una nella rappresentazione cerimoniale. Esistono diverse modalità di espressione grafica, dai disegni sulla sabbia, a quelli sul corpo o su altri supporti, vediamoli in breve. I disegni sulla sabbia sono vere e proprie storie in movimento dato che il processo di narrazione “consiste nel ritmico alternarsi di una continua notazione grafica con gesti del corpo e canzoni.” Nei disegni rituali su diversi supporti possiamo distinguere due modalità espressive: la pittura rituale sul corpo e i dipinti mitologici su tela o corteccia. Nel primo caso, prima dei riti, i corpi dei partecipanti vengono dipinti con i colori e le forme appartenenti al clan totemico del nonno materno, questi moduli grafici servono ad identificarsi con il progenitore ancestrale, per assumerne presso di sé la potenza. Nel secondo caso i disegni applicati su tele o cortecce d’albero narrano le gesta degli antenati mitici. Attraverso una codificazione simbolica vengono trascritte dimensioni spazio-temporali che fanno parte del Tempo del Sogno, ma anche indicazioni ben più concrete per esempio l’ubicazione di pozze d’acqua. Intere storie e una particolare organizzazione spaziale del territorio sono raccolte in semplici grafemi che sono interpretabili a diversi livelli secondo il grado di conoscenza posseduto e la posizione sociale occupata. Questa pratica assume per certe popolazioni un ruolo centrale nella stessa comprensione del mondo attorno, come nel caso del Walbiri descritto da Nancy Munn:

I significati che si riferiscono all’esperienza quotidiana ed alla tradizione sono regolarmente trasposti nella dimensione grafica, e così la forma grafica entra nell’immaginario Walbiri come una specie di ordine visuale per ordinare i significati in generale, piuttosto che come un semplice set fisso di forme
per rappresentare o riferirsi agli antenati totemici.  


La rappresentazione grafica si traspone su un piano diverso da quello per cui originariamente era stata adottata, da descrittiva si tramuta in esplicativa o, meglio, in creativa di significati grazie a cui si sviluppa una più accurata comprensione dei fenomeni naturali. Lo scopo perseguito è lo stesso della pratica cerimoniale “religiosa”: la spiegazione e il controllo di tutto il creato. Il disegno rituale ha diversi scopi ed usi all’interno della società aborigena: non è una semplice forma artistica di celebrazione nel ricordo del passato ma arriva ad assumere di per sé stessa una forza significante che deriva originariamente dal potere del progenitore che rappresenta. Ha poi scopi politici e sociali di coesione e regolamentazione della vita interna ed esterna al gruppo, è, nella pratica cerimoniale, indissolubilmente legato ad altre manifestazioni come danza, musica e canto di cui ci occuperemo in seguito. Secondo Howard Morphy:

Ci sono tre motivi per cui i disegni vengono usati nelle cerimonie degli Yolngu - ragioni che trasformano i disegni in oggetti pregni di significato. Queste si possono applicare anche a altre componenti della sacra legge del clan come canzoni e danze. Primo, i disegni sono loci del maarr, potere ancestrale. Maarr è un attributo dei disegni che esiste indipendentemente dal loro significato intrinseco o dal gruppo di appartenenza. Secondo, i disegni sono usati per scopi politici. L’uso di un particolare disegno serve a dimostrare i diritti di un individuo, come membro del clan, ad usare quel disegno ed è segno di consenso. Terzo, i disegni sono usati perché sono riattualizzazioni degli esseri ancestrali. Dipingere un disegno è parte di un processo di ricreazione di un evento ancestrale, portare avanti un evento dal passato ancestrale ed intergrarlo con il contento contemporaneo. Il disegno è una ricreazione in due sensi: era dipinto sul corpo dell’essere ancestrale od originato attraverso le sue azioni e porta con sé significati che si riferiscono ad eventi ancestrali occorsi in particolari località,
che si possono riscontrare nella trasformazione del paesaggio.  


È anche attraverso i disegni che le differenze tra i gruppi diventano strumenti di relazione, come per le tracce del territorio o quelle sonore anche i disegni sono messi in comune con altri gruppi totemici, perché la storia non si ferma mai al racconto di un progenitore solo. La cerimonia pone l’individuo a metà tra la dimensione del Tempo del Sogno e il presente quotidiano vissuto, i confini vengono aboliti, le due parentesi temporali si compenetrano per formane una nuova: il circolo virtuoso della cultura aborigena australiana.



3.5 Il circolo virtuoso e i suoi elementi: un’introduzione



Nel corso di questa indagine etnografica sulle popolazioni indigene australiane ci siamo accorti che molte delle loro caratteristiche forme ontologiche funzionavano in modo circolare, concorrevano, cioè, attraverso un rapporto di alimentazione reciproca, alla formazione di un circolo “virtuoso” che ne esaltava contemporaneamente entrambe le componenti. È il caso della pratica rituale: la fertilità della terra è data dalla presenza dei progenitori ancestrali in essa - di conseguenza sono loro che mantengono la vita - ma loro stessi hanno bisogno di cerimonie per incrementare il loro potere, per cui a ben ragione si potrebbe dire che è l’uomo che garantisce la sopravvivenza della terra. Il circolo si autoalimenta in un equilibrio che può rimanere tale solo se entrambe le parti restano in simbiosi. Le parti in gioco sono collegate da diversi fattori, esistono cioè parti in comune tra le due dimensioni, che hanno radici in entrambe e che permettono la congiunzione delle stesse. Sono corpo e paesaggio i fattori di unione tra il Tempo del Sogno e il presente vissuto e queste due importanti “entità” sono elementi che pervadono l’intera ontologia aborigena senza i quali la stessa identità personale, di gruppo e del paese in cui si vive, sarebbero destinate a crollare. Nel prossimo capitolo ci occuperemo estensivamente di questi due media e delle loro importanti implicazioni.



TORNA ALL'INDICE


contatta Alberto Furlan


La riproduzione totale o parziale dell'opera è consentita previa esplicita autorizzazione della proprietà.

Alberto Furlan copyright © 1999