Fin dai primi passi dell’album Intra Trasport, dovesi viene trasportati in una dimesione fatta di luci e ombre alternate su accenti in levare tipici del Dub tipico della musica underground, ma senza mai abbandonare definitivamente il sapore dell’esotico.
Si parladegli Analogue Birds, un trio composto dal didjeridoo di Tom Fronza, la batteria di Sven Kowaski e al violino/armonica Sascha “Salossi” Loss.
A dirla tutta le atmosfere sono prevalentemente elettroniche grazie ad un sapiente bilanciamento di suoni elettronici ed effetti che più di una volta evocano influenze Dubstep, Drum’n’bass e Nubeatz.
Il disco risulta nella maniera più assoluta vario e godibile sia dagli appassionati di didjeridoo (gli amanti del didje suonato “puro” potrebberò comunque storcere il naso) sia dagli amanti della musica elettronica ma assolutamente da sconsigliare a coloro che cercano musica commerciale o un banale sottofondo musicale.
Un orecchio attento si rende conto sin dai primi minuti che stiamo parlando di un linguaggio sperimentale, cioè la fusione di sonorità antiche o estranee agli idiomi tipici della società tecnologicamente strutturata.
L’immagine è quella di un’antico canto o invocazione agli Dei in un luogo sacro decorato con led luminosi e bordoni di voci elettroniche che creano l’architettura, sostenuta dall’alternarsi delle musiche attraverso delicati passaggi ascensionali a fasi introspettive.
Questo alternarsi di fasi colloca l’album a metà le produzioni di didje music con sonorità contemporanee, ampiamente sondati da maestri come Charlie MacMahon, Ondrej Smeykal, i Wild Marmelade e i Jamiroquai, a richiami di diverse identità culturali tipico della world music di cui nomino a titolo informativo, Mark Atkins e l’Ankara World Orchestra, Dubravko Lapaine e Micheal P. Jackson nella sua formazione con i Didjeridu Dingo.
A mio avviso e ascoltando con attenzione il disco ci si rende conto che questi richiami in realtà sono citazioni e in questo senso Tom Fronza non fa che omaggiare alcuni dei sopracitati artisti, proponenendo una soluzione estetica meno “Didje music” e “Dance & Folks music”.
Un esempio su tutti è “I’ll gotten benefits”, il cui titolo conferma quanto appena affermato, brano in cui possiamo osservare un gioco di bilanciamento alternato di suoni, prima eterei e freschi e poi caldi e terrestri grazie alle vibrazioni del didjeridoo.
Un album veramente apprezzabile e che difficilmente non finirà nella custodia dei CD da viaggio anche di quelle persone non completamente affini al mondo del didjeridoo.
Christian Muela http://www.christianmuela.it